Prima lettura del 31 gennaio 2019

Gesù, via nuova e vivente
Eb 10, 19-25

"Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura.
Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.
Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone. Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma esortiamoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi il giorno del Signore."

Accostarsi alla Lettera agli Ebrei, attribuita all'apostolo Paolo, ci risulta sempre un pò difficile. Eppure apre a spunti di riflessione importanti per la nostra fede.
Sembrerebbe ripetitiva ma in effetti, secondo il metodo usuale per gli ebrei del tempo, ritorna ogni volta approfondendo i concetti fondamentali della fede per rivelarne il centro.
Questo brano comincia a tirare le conclusioni dei capitoli precedenti.

Gli ebrei convertiti al cristianesimo avevano bisogno di una nuova lettura per sganciarsi dall'ottica della Legge e ancorarsi al messaggio nuovo di Cristo in cui si inaugura la nuova alleanza col Padre.
L'illuminazione di Paolo lo ha portato ad un cambiamento radicale della sua religiosità: "ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo" Fil 3, 8-9
Ecco perché questa lunga epistola che sviluppa il sacerdozio nuovo di Gesù, rivoluziona tutto il modo di intendere il culto e il rapporto col Signore.
Il sommo sacerdote entrava una volta l'anno nel Santo dei Santi del Tempio di Gerusalemme: era un luogo che conteneva la shekiná, la presenza di Dio e si accedeva varcando un grosso tendaggio che precludeva la vista a chi era fuori.
Dentro, il designato, offriva il sacrificio annuale per l'espiazione dei peccati di tutto il popolo.
L'epistola non intende però dire che si sia semplicemente sostituito il sommo sacerdote del rito giudaico con il Cristo: ci troviamo ad una realtà totalmente altra, perché egli in effetti egli è l’eccellente, l'unico Sacerdote presso il Padre.

"...abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù.."
La porta di accesso adesso è aperta, Cristo è  nostro passepartout, la possibilità mai avuta prima di essere invitati ed accedere al luogo dell'incontro col Signore, senza più timore, senza più divieti opprimenti.
Il velo di separazione tra il profano e il sacro che toglieva la possibilità di entrare in una relazione intima con l'Amato, è lacerato da Dio stesso.
In Matteo il momento della morte di Gesù, che potrebbe sembrare quello di massima lontananza tra Dio e gli uomini, diventa la porta attraverso cui passa la grazia.
Per volontà del Padre, dall'alto, come a voler dire che finalmente Dio si libera di un impedimento che non aveva mai sopportato, " .. ecco che il velo del Tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremó e le rocce si spezzarono"! MT 27,51
È il segno tangibile che il sacrificio del Figlio rompe l'antica separazione che separa l'uomo da Dio e inaugura il tempo di grazia in cui tutti possono attingere alle sorgenti della salvezza.
Le rocce, la durezza della legge si rompe per mostrare la "via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne".

L'incarnazione unisce ciò che era inconciliabile, toglie il velo sulla volontà del Padre e svela di quale amore siamo circondati.
"...abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio".
Quella casa è anche la nostra, la dimora dove il Figlio ci ha preceduto e in cui tutti abbiamo un posto per dimorare con l'Amore. (Gv 14, 1-4)

"Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso."
Che bella questa espressione : Professione della speranza! Noi siamo abituati alla Professione di fede, il Credo, ma quanta necessità per il nostro cuore è alimentare la speranza e ricordarci su cosa sia fondata!
Gesù Cristo stesso è la nostra speranza (1Tim 1,19), una speranza fondata, dice Paolo che non delude "perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" RM 5,5
Su questa speranza certa possiamo riposare la nostra vita perchè a mantenere fede alle promesse non siamo noi, ma il Fedele, il Padre!
Siamo stati rivestiti della veste del Vittorioso, immersi nella morte e resurrezione del Cristo mediante l'acqua del Battesimo "con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura."

La conclusione è molto bella perché ricorda quanto sia importante confortarsi a vicenda, vegliare sulla vita degli altri, sollecitare all'amore.
La comunità è la primizia di quel dimorare escatologico che attendiamo nella speranza.
È il già e non ancora, il luogo in cui la carità si fa continuamente carne.

Commenti

  1. "...abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio".
    Quella casa è anche la nostra, la dimora dove il Figlio ci ha preceduto e in cui tutti abbiamo un posto per dimorare con l'Amore. (Gv 14, 1-4)....troppo bello questo passo, che bella sensazione sentirsi a casa e dimorare insieme all'amato e sentirsi al sicuro.La casa di Dio è tra le più accoglienti dove tutto il bello e il buono è in abbondanza , dove la gioia allontana la tristezza e la solitudine non fa più paura....nella casa di Dio ci sono i fratelli e con loro si cammina insieme tenendosi per mano ,incoraggiandoci a vicenda sicuri di non rimanere delusi. La tua casa Signore è un luogo sicuro e io mi sento circondata dal tuo amore, grazie.

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  2. IL CAMMINO SPIRITUALE DELLA LETTERA AGLI EBREI

    In realtà, non è una lettera, ma un'omelia pronunciata, probabilmente, durante una solenne liturgia cristiana, non dall'apostolo Paolo, ma da un maestro del primo secolo d.C. Questa predica è rivolta ai cristiani, compresi quelli di origine ebraica, disorientati e scoraggiati, per spronarli a sperare in Cristo Gesù, nostro unico mediatore. Che si tratti di un discorso lo si deduce dal fatto che l'autore stesso afferma di parlare e richiede attenzione al suo discorso (cf 2,5; 8,1;9,5 ). Mancano il mittente e il destinatario richiesti dalle lettere.

    La particolarità di questo testo, rispetto agli altri libri del Nuovo Testamento, è nella descrizione originale - e alla luce della liturgia dell'Antico Testamento - del mistero di Cristo nel suo rapporto filiale con Dio e nella solidarietà fraterna con l'intera umanità peccatrice. Il sacerdozio di Gesù consiste in questa duplice ed esclusiva mediazione.

    L'omelia agli Ebrei è composta da 13 capitoli. Inizia con un discorso solenne che fa contemplare Gesù glorioso, Parola ultima e definitiva di Dio. Riflette, quindi, sul percorso storico di incarnazione, sofferenza, morte e risurrezione di Gesù che lo resero l'unico mediatore tra Dio e l'umanità.

    Il cuore del messaggio di questo scritto è contenuto nel capitolo 9,11-14, dove si afferma che Gesù è il nuovo sacerdote, non perché - per ottenere la purificazione dei peccati del popolo - abbia offerto vittime sacrificali esterne, come si offrivano gli animali nel Tempio di Gerusalemme, ma perché offrì se stesso come sacrificio a Dio e senza mediazioni sacerdotali esterne. Egli è la vittima per eccellenza, il sacerdote che permette di vivere in comunione profonda con Dio. L'immagine di Gesù sacerdote proposta dall'omelia agli ebrei è diversa da quella del sacerdote dell'Antico Testamento. Costui si presentava a Dio, nel Tempio, ogni anno per offrirgli, per il perdono dei peccati, gli animali. Gesù, invece, ha offerto se stesso, una volta per sempre. Il suo dono volontario aprì definitivamente l'accesso dei cristiani al Padre e rese possibile la nuova alleanza.

    I capitoli 10-13 invitano i battezzati a vivere la nuova alleanza, iniziata da Gesù, nel quotidiano. A lasciarsi, cioè, purificare dal peccato, a vivere da figli di Dio ubbidienti alla sua Parola, a essere forti dinanzi alla sofferenza, ad accogliere la correzione che proviene dal Signore, e, come Gesù, a realizzare rapporti fraterni solidali. La fede adulta che affronta con coraggio le prove della vita cristiana e l'amore fraterno è il culto della nuova alleanza che Dio gradisce.

    Lo scritto agli Ebrei presenta Gesù, nostra speranza certa, con l'immagine dell'àncora già gettata nel porto (Ef 6,19). Egli è già entrato nei cieli. I cristiani che sono con lui sono certi della loro salvezza, pur sapendo che devono ancora percorrere le 'piste giuste' aperte da Gesù.

    (Filippa Castronovo)

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  3. LA SPERANZA ULTIMA A MORIRE?

    La lettera agli Ebrei può scoraggiare per il suo linguaggio, ma il brano di oggi dice cose belle e fondamentali che schematicamente si possono così riassumere:

    10,19: Premessa a tre punti fondanti, che viene dalle riflessioni dei capitoli precedenti: Gesù ha inaugurato un via nuova e vivente per accostarci a Dio.
    10,20-24: I tre imperativi: circa la fede («accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati », v. 22), circa la speranza («Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.», v. 23), e circa la carità («Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone. », v. 24).
    10,25: Invito a non disertare le riunioni (problema di sempre a quanto pare!).


    "Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso".

    La speranza è uno dei doni più preziosi della vita perché permette di andare avanti anche quando la realtà che si vive sembra senza vie di uscita. E non sono d'accordo che sia l'ultima a morire, perché spesso è la prima cosa ad essere mortificata dalle avversità della vita, e una volta persa la speranza so perdono di seguito un sacco di altre cose. È una realtà fragile, a rischio ogni giorno, che dobbiamo proteggere e custodire, alimentandola con la memoria della promessa e della fedeltà di Colui che ha promesso.


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  4. L'OCCASIONE DELLA LETTERA AGLI EBREI era determinata dalla preoccupazione che le comunità cristiane, probabilmente dell'Asia, subissero il fascino del culto mosaico presentato dai predicatori giudaizzanti. Accanto a questo, c'era il grave pericolo delle azioni ereticali rivolte a ledere alla radice il messaggio cristiano. Poco dopo il martirio di Giacomo il Minore (62/63), ci fu nell'area di Gerusalemme un certo Tebuthe (Eusebio di Cesarea, Hist. Eccle, IV, 22, che dipende in ciò da Egisippo), che, apostatando, riconosceva in Gesù il Messia, ma non quale Figlio di Dio, e affermava che si doveva osservare la legge di Mosè. Probabilmente Tebuthe fu uno dei promotori, se non l'iniziatore, della setta degli Ebioniti (ebhyonim: poveri). Le insidie degli Ebioniti si aggiunsero a quelle dei falsi maestri già denunciati nelle lettere ai Colossesi e agli Efesini, e ne furono probabilmente l'estremizzazione. Non a caso le due lettere di Paolo ai Colossesi e agli Efesini sono le più affini alla lettera agli Ebrei.  (www.perfettaletizia.it)

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  5. IL "VELO" DEL TEMPIO

    Il cosiddetto Velo del Tempio, infatti, non era una tenda qualsiasi, e non solo per il suo aspetto sim­bolico. Di veli, nel Tempio di Gerusalemme, ce n'erano due: uno stava davanti all'altare dell'incen­so, dove i sacerdoti accedevano ogni giorno; l'al­tro separava la zona riservata ai sacerdoti da quel­la del Santo dei Santi, nella quale poteva entra­re solo il Sommo Sacerdote una volta all'anno nel Giorno dell'Espiazione. Fu quest'ultimo il velo che si squarciò. E i sacerdoti del cortile dell'incenso lo trovarono diviso in due, dall'alto in basso.
    Ma la meraviglia sta nel fatto che si trattava di un drappo enorme. Alto quasi venti metri e spesso dieci centimetri. Dice lo storico Flavio Giuseppe che nean­che la forza di due cavalli, uno di qua e uno di là, sarebbe riuscita a lacerarlo. Per tirarlo giù, arrotolarlo e portarlo a lavare ci volevano decine di uomi­ni (pare una settantina). Perché un velo (Parokhét, questo il suo nome in ebraico) e non una normale è più pratica porta? Perché così obbligava la Scrit­tura:
    «Farai poi una cortina di porpora violacea e scarlatta, di cremisi e di lino fine ritorto, lavorato a ricamo, con cherubini, e l'appenderai a quattro colonne d'acacia ricoperte d'oro, con ganci d'oro e posate sopra quattro basi d'argento. Metterai . cortina sotto i fermagli; e, al di là della cortina, nell'interno, vi collocherai l'Arca della Testimonianza; e la cortina servirà da divi­sione tra il luogo Santo e quello Santissi­mo» (Es 26,30). Infatti, ancora oggi nelle sinagoghe si usa un velo Parokhet, che fa da sipario sulla parte anteriore dell'Aron Kodesh, dove si conservano i rotoli del­la Torah. (Rino Cammilleri)

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    1. Significativa l’indicazione di Esodo su come creare questa cortina di separazione “di lino fine ritorto”, per poi arrivare a quella al tempo di Gesù che si presenta come un muro di stoffa alto quasi venti metri e spesso dieci centimetri!
      Se il primo velo del Tempio ti preparava ad entrare in una nuova dimensione di presenza, questa realizzazione mastodontica era un vero e proprio portone che metteva davanti al proprio peccato e alla difficoltà di fare un passo avanti verso Dio.
      Una mazzata in fronte per il culto dell’epoca che ha avuto un danno enorme e un segno inconfondibile da questa lacerazione a dir poco sorprendente, della potenza di un fulmine.

      E’ provvidenziale l’azione di Dio: non vuole fermare o impedire, invita e prepara un posto affinchè tutti godano della sua presenza. Egli si è messo fuori affinchè tutti quelli che non erano entrati lo possano incontrare.
      In At 17, 24 c'è la constatazione migliore che distrugge la necessità di porte e portoni che solo noi mettiamo: “Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo”.
      Se Dio abita da un'altra parte e non nel Tempio, ci apre gli occhi alla ricerca perchè ogni posto adesso è shekinà e ci spinge a rimuovere veli e paure.

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  6. Si non ho remore ad incontrare UNO che non si cela!
    UNO che si fa incontro,si rapporta a me venendomi incontro!
    Grazie Gesù!

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  7. Signore,grande gioia saperti raggiungibile ogni volta che ti cerco;
    sapere che ti posso trovare;
    sapere che sei un padre vicino che mi dà energia e speranza

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  8. Molte volte ho sentito dire questa frase" Gesù bussa alla porta del tuo cuore, aprilo per farlo entrare". Gesù non ha bisogno di entrare dentro il cuore di nessuno perché è già nei nostri cuori, Dio ha messo dentro di noi qualcosa di Sè, il suo Rhua (Alito), siamo noi il nuovo tempio, siamo noi che con tutti i nostri sensi e il nostro corpo dobbiamo godere di questa Sua presenza, lasciarci guidare dalla carità, lasciarci confortare dalla speranza. E vivremo il Paradiso, la vita eterna

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  9. Dio è stato riversato nei nostri cuori.Ri Versato,continuamente ti versi Signore nella mia vita ,nelle mie insicurezze nelle mie paure non ti stanchi di dissetarmi .Come vorrei tenerlo sempre presente

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