Prima lettura del 14 giugno 2019

Tutto infatti è per voi.
2Cor 4, 7-15

"Fratelli, noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi.
In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo.
Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita.
Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: «Ho creduto, perciò ho parlato», anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio".

È uno dei vertici della riflessione di Paolo in questa lettera. È un inno all'opera meravigliosa di Dio, che fa fiorire il deserto, cambia l'acqua in vino, e con poco sfama molti.

È un'immagine molto forte. Chi è il credente, l'apostolo, il testimone di Cristo?

"Noi abbiamo un tesoro in vasi di creta".
Paolo onestamente non si illude, né di se stesso, né della sua comunità.
Si sente e li sente traboccanti di doni, ma conosce le fragilità e il limite di ognuno.
Chi, di buon senso, affiderebbe un tesoro prezioso in simili limitatezze? Chi porrebbe la sua speranza in incostanti slanci e precarie fedi?
Un tesoro si mette al sicuro, in contenitori di sicurezza, inviolabili!
Ma se i vasi di creta siamo noi, ci rallegriamo che qualcuno rischi per colmarci di tesori.
E' vero: siamo fragili, contraddittori, incoerenti, peccatori, sempre a rischio di rovinare tutto.
Ma in questa nostra vita Dio ha sepolto il suo tesoro, il suo Spirito, il nostro essere suoi figli, l'essere suoi eredi.

Che senso ha una scelta del genere?
"Affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi".

Quando si leggono le vicissitudini di Paolo, sempre in cammino verso una nuova città, cacciato dalle sinagoghe, incarcerato, calunniato, oltraggiato, sembrerebbe di leggere le storie idilliache di un super eroe.

Non è così. Gli Atti degli apostoli ci mostrano un uomo vero, con le sue cadute e le sue angosce, con i combattimenti interiori e le arrabbiature, le stesse che proviamo anche noi.
L'apostolo si mostra ai Corinzi nella sua povertà ferita e nella sua piccolezza (Paolo in latino significa piccolo), "portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo".
Fragilità e precarietà non impediscono a Dio di far passare i suoi doni da noi agli altri.
"In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi".
Il mistero pasquale si rende presente ancora una volta nella croce feconda della nostra vita faticosa e umiliata anche nel servizio ai fratelli, dice in definitiva l'apostolo.
E conclude: "Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita".

Cosa spinge Paolo all'annuncio? La fede. "Ho creduto, perciò ho parlato"!

Paolo è convinto, la sua fede è certa che "colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi".
Annunciatore e ascoltatori, per la stessa fede, partecipano alla resurrezione di Gesù.

Come abbiamo già visto due giorni fa, Paolo non si illude di parlare ad una comunità di cristiani integerrimi: tanti sono i conflitti da affrontare e sanare ma non si sente sconfitto né fallito dalle resistenze che gli vengono dai fratelli che ha portato alla fede.
Anche le difficoltà, le resistenze e ogni tipo di contrasto che si creano in questo rapporto padre-figli, tutto alla fine è a servizio e vantaggio della fede.

E quindi può affermare con fiducia: "Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio".

Servire i fratelli, fare del bene, non è mai stato facile, e l'esperienza di ognuno di noi testimonia che non è assolutamente certo l'automatismo che se fai il bene, ricevi bene!
Ma non è inutile l'impegno e il servizio, insegna Paolo.
La grazia "faccia abbondare l’inno di ringraziamento"!
Anche ringraziare, innalzare la lode è dono della grazia. Siamo così fragili che lo Spirito ci viene in soccorso per cosa chiedere e per come lodare.
Ringraziamo l'apostolo Paolo per queste parole di conforto.

Noi ci sentiamo fragili terracotte, ma anche ricolmi dei doni incommensurabili di Dio.
Colui che ci ha plasmati con le sue mani, ci ha donato non solo un alito di vita, ma la sua stessa vita!
Neanche il nostro limite può impedire che noi, i fratelli e tutta la realtà, si trasformi in "eucarestia", rendimento di grazie: "in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi" (1Tes 5, 18).
La nostra vita sia portata alla lode e la gloria di Dio riempia la nostra esistenza e quella dei nostri fratelli.

Commenti

  1. "Noi abbiamo un tesoro", dice Paolo. Qual è? È il tesoro con cui Dio ci ama. È il tesoro della sua presenza in noi. È il tesoro della silenziosissima potente azione del suo Spirito in noi e anche attraverso noi. Quanto siamo ricchi, mio Signore! È per questo che anche in situazioni limite, possiamo dire con Paolo, "siamo tribolati ma non schiacciati, siamo sconvolti ma non disperati, perseguitati ma non abbandonati". Paolo c'insegna dunque il segreto di questo tener testa alle situazioni anche più avverse, senza capitolare nello scoraggiamento e nella depressione. È quel "portare sempre e ovunque nel proprio corpo la morte di Gesù, ma perché poi sia la vita stessa di Gesù a manifestarsi "nella nostra carne mortale". Così la sua vita opera poi anche nei destinatari del nostro bene operare. È davvero una potenza straordinaria! E viene da Dio tutto questo!
    (Casa di preghiera s. Biagio)

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  2. Nel tentativo di testimoniare la Buona Novella di Cristo lungo i suoi viaggi e nei suoi incontri, Paolo tocca con mano le resistenze che sono la sorte di tutti gli amici di Dio in un mondo che molto spesso ha altre priorità. Interpreta queste difficoltà come l’opera delle potenze di morte dentro di sé: è il suo modo di conoscere nella sua vita concreta (questo è il significato della parola “corpo” nel v. 10) la morte di Gesù. Ma poiché, grazie alla sua fede nella risurrezione di Cristo, è legato a una Vita più forte della morte, le sue sofferenze sono in ultima analisi solo un’occasione per questa Vita di scaturire con maggiore ampiezza. E spesso sono gli altri che raccolgono nella loro esistenza i frutti di questa vita donata, mentre Paolo da parte sua percepisce solo il lato buio.

    Ciò che rende possibile quest’opera di Dio in lui è la sua vulnerabilità, i suoi limiti umani. Per spiegarlo, l’apostolo prende in prestito l’immagine di un tesoro deposto in un vaso di creta: le imperfezioni del recipiente contribuiscono ad elevare lo splendore del contenuto. È infatti necessario che “l’essere fisico” vada disfacendosi col tempo, lasciando tutto lo spazio a ciò che rimane – un nuovo essere, trasfigurato dallo Spirito di Dio. E allora un’altra immagine, sotto la penna di San Ireneo di Lione, esprime meglio la realtà finale: un liquore di valore che fa ringiovanire il vaso che lo contiene.
    (www.taize.fr)

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  3. Il mondo si agita, il corpo fa sentire il suo peso, il demonio insidia: non cado, perché sono stabilito sulla roccia. Ho peccato gravemente? La coscienza sarà turbata ma non sconvolta, perché mi ricorderò delle piaghe del Signore. Infatti, «è stato trafitto per i nostri delitti» (Is 53, 5). Che cosa c’è di mortifero che non sia vinto dalla morte di Cristo? Se mi ricorderò di un rimedio tanto potente ed efficace, non mi lascerò spaventare dalla gravità del male. Per questo errò colui che disse: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono» (Gn 4, 13). Disse così perché non era membro di Cristo, né gli appartenevano i suoi meriti, in modo che potesse considerare e dire suo ciò che era di Cristo, come un membro che appartiene al capo.

    Io invece fiduciosamente mi approprio di quel che mi manca dalle viscere di Cristo, perché sono ricche di misericordia, e in esse non mancano aperture dalle quali può scaturire: trapassarono le sue mani e i suoi piedi e con una lancia gli forarono il costato. Per queste spaccature posso «succhiare miele dalla rupe e olio dai ciottoli della roccia» (Dt 32, 13), cioè gustare e vedere «quanto è buono il Signore» (Sal 33, 9).
    (Bernardo di Chiaravalle)

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  4. Bella la maestosità di questa apoteosi di amore, che il Signore manifesta anche a me!
    Io ci credo?
    Vivo pienamente convinto che Lui mi adora tantissimo?
    Che sono una perla rara?
    Non Ancora....
    Pietà

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  5. La Pasqua per s. Paolo è un dinamismo esistenziale una potenza spirituale che entra nella nostra vita l afferra la trasforma.Paolo dice portiamo sempre e ovunque nel nostro corpo la morte di Gesù. Questa logica Pasquale ci permetta di vivere in essa ogni situazione o circostanza.

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