Prima lettura del 10 giugno 2019


Il Signore chiamò l'uomo.
Gen 3, 9-20

"Dopo che l’uomo ebbe mangiato del frutto dell’albero, il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: "Dove sei?". Rispose: "Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto". Riprese: "Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?". Rispose l’uomo: "La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato". Il Signore Dio disse alla donna: "Che hai fatto?". Rispose la donna: "Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato".
Allora il Signore Dio disse al serpente:
"Poiché hai fatto questo,
maledetto tu fra tutto il bestiame fra tutti gli animali selvatici!
Sul tuo ventre camminerai
e polvere mangerai
per tutti i giorni della tua vita.
Io porrò inimicizia fra te e la donna,
fra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno".
Alla donna disse:
"Moltiplicherò i tuoi dolori
e le tue gravidanze,
con dolore partorirai figli.
Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
ed egli ti dominerà".
All’uomo disse: "Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: "Non devi mangiarne",
maledetto il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba dei campi.
Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra,
perché da essa sei stato tratto:
polvere tu sei e in polvere ritornerai!".
L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi".


Pagina famosa e spesso fraintesa, che se letta con la prospettiva giusta, quella che parte dalla fede di chi ha conosciuto e creduto l’amore di Dio (cfr. 1Gv 4,16), rivela tutta la sua bellezza.
Leggiamo, quindi, con fiducia, il testo della liturgia di oggi.
"Il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: "Dove sei?".
Domanda vitale, domanda che al solo ascoltarla ci dovrebbe far saltare dalla gioia!
E' salvifico l'intervento di Dio che ad un passo della rovina, và in cerca dell'uomo, prima ancora che l'uomo cominci a cercare Dio.

È sempre Dio a fare il primo passo: "In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi"  (1Gv 4,10).
L'amore di Dio per noi è all'origine di ogni nuovo passo nella nostra relazione con lui.

La nostra è sempre una risposta a lui che parla per primo, ama per primo, ci precede sempre, come nel cammino dei figli di Israele in Esodo.
E questa domanda "Dove sei?" blocca dal precipizio, salva dall'anonimato di chi si sente solo e abbandonato, apre gli occhi sulla propria situazione qui e ora.
Ogni esistenza, pur arrivata di fronte al terrore di vedere la profondità del peccato, della desolazione e del male fatto, può essere salvata dall'autodistruzione se scopre che il Signore non ha smesso di cercare e desiderare la sua creatura.
La pecora perduta vale più delle 99 che non si sono perse; l'uomo perduto si scopre cercato e amato con una passione che non aveva mai scoperto quando era tranquillo alla presenza del Signore!
Nel chiamare il Signore rivela: l'identità all'uomo, di essere ormai in relazione definitiva con questo figlio, in ricerca e in attesa di chi vorrebbe nascondersi.

"Ho udito la tua voce nel giardino".
La relazione con Dio inizia dall'ascolto della sua voce che parla per primo, nel giardino piantato come dimora profumata e accogliente.

Ci ricorda la Scrittura: "la fede viene dall’ascolto" (Rm 10,17) e, in Giovanni: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono" (Gv 10,27).
Il modo profondamente umano di vivere una relazione è nel dialogo, fatto di ascolto e risposta. È utile qui ricordare che se parlare è un bisogno, dialogare è invece un'arte. L'uomo si svela e si scopre dialogando.

Colui che scopre l'opera di Dio nella sua vita, risponde:
"Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio!" (Sal 138,14)

"Chi ti ha fatto sapere che sei nudo?".
Una scoperta difficile per l'uomo, di cui fatica a portarne il peso. È la scoperta che più ci confonde, quella in cui tocchiamo con mano la nostra povertà, la nostra fragilità, la nostra inconcludenza.
Dio non mette l'uomo davanti alla sua nudità in modo brutale, ma quando l'uomo la scopre, lo protegge dalla vergogna, rivestendolo: "Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì" (Gen 3,21).

"La donna che tu mi hai posto accanto".
Sconcertante! Adamo sottintende: la colpa è tua, perché tu mi hai messo accanto la donna!
È un meccanismo che scatta sempre ad ogni peccato, ad ogni fallimento: scaricare la colpa su chi mi sta vicino e, in ultima analisi, su Dio che mi ha messo vicino quella persona, che mi ha portato in quegli avvenimenti.
Che grande errore di prospettiva nel leggere la nostra storia!

"Il Signore Dio disse alla donna: "Che hai fatto?". Rispose la donna: "Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato".
La donna non è da meno: scarica la colpa sul serpente, l'ingannatore, ma finalmente mostra la verità.
Il peccato è frutto di un inganno! La nostra limitatezza, la nostra scarsa conoscenza del mistero ci espone all'inganno, all'equivoco.
Riconoscere questa realtà ci mette nella via giusta per interpretare ciò che viviamo.
Abbiamo bisogno che il Signore ci apra gli occhi e ci liberi dall'illusione della rettitudine nel giudicare la realtà.
È quello che dice Gesù parlando con i farisei a proposito della vista: riconoscersi ciechi è l'inizio del cammino di guarigione, illudersi di vederci bene ci lascia nella cecità (cfr. Gv 10, 40-41).

Leggendo al rallentatore questo brano così intenso notiamo che Dio non maledice l'uomo e la donna che hanno peccato. Maledice il serpente che ha ingannato, e il suolo su cui si scarica la conseguenza di questo peccato.
All'uomo e alla donna, viene rivelata la nuova situazione in cui si trovano da questo momento in poi.
I due aspetti fondamentali con cui la benedizione originale si realizza nella storia, cioè il lavoro e la generazione dei figli, sono ora sorgente di fatica e sofferenza.
La Genesi riconosce che non c'è fecondità in questo mondo che non passi attraverso un dolore e un travaglio continuo.

Come finisce questa pagina di conflitto, drammatica e dolorosa e cosa ci rivela su Dio e sull'uomo?
Dio, "offeso" dalla nostra disobbedienza, non imputa la colpa all'umanità e la soccorre quando si trova nei guai proprio a causa del male che ha provocato.

E non è proprio quello che fa ogni papà e ogni mamma?
"Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa, e perdonato il peccato.
Beato l'uomo a cui Dio non imputa alcun male" (Sal 31, 1-2).

La storia dell'umanità in rapporto col suo Dio si apre con una remissione di colpa, senza revoca della benedizione, con Dio che deve raddrizzare il tiro e ricercare l'uomo dove si è nascosto per riportarlo alla luce e alla verità.
Come dice il Salmo, l'uomo si scopre beato perché Dio lo ha tratto dalla morte in cui si stava cacciando e, pur riconoscendo che la vita non sarà più rose e fiori come prima, la fecondità e i doni non smettono e, faticosamente, può continuare l'esistenza.

Dell'uomo questa pagina ci mostra che l'opera co-creatrice che era stata data da Dio ad Adamo, non finisce col peccato.
L'uomo, che ha dato il nome ad ogni vivente (cfr. Gen 2,19), traendolo dall'indistinto e donandone caratteristiche e fine, dà anche il nome alla donna che gli è posta a fianco: non la chiama danno, intralcio, guaio alla sua vita, come potremmo immaginare, ma colei dalla quale sgorga la vita di tutti i viventi.
La prima benedizione sull'umanità era stata: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra" (Gen 1,28).
Le benedizioni di Dio sono irrevocabili e neanche questa è stata cancellata dal peccato: "L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi".
La donna dopo il peccato riceve comunque un nome di vita!
Da quel momento in poi sarà Eva, "Chawa", culla, generatrice di viventi!
Il peccato non ha diminuito questo, è solo diventata più complicata la vita, più intralciata, faticosa.
Il nome di Eva non è un riconoscimento della sua cooperazione al peccato, non è questo che la marchia per sempre, ma è un memoriale che ricorderà a tutti che la benedizione originaria di fecondità è superiore ad ogni sventura, maledizione, colpa e peccato.

Commenti

  1. «Dove sei?» domanda Dio all'uomo peccatore. La risposta, che Adamo non sa dare, la darà Dio stesso nell'incarnazione del Figlio: siamo in lui, in Cristo. Essere in Cristo è uno dei temi più cari e ricorrenti in Paolo ed emerge anche, oltre che nel brano della lettera ai Romani, nel brano della lettera agli Efesini: "In Dio ci ha benedetti, ci ha scelti, ci ha fatto anche eredi...". In Lui si fonda la nostra speranza e per questo salgono al Padre la nostra benedizione e la nostra lode alla sua gloria.
    (Raffaello Ciccone)

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  2. Terribile verbo: aver paura. È l’uomo che ormai dubita di Dio, l’uomo che non si fida di Dio. «Non mi
    fido di te, dice, quindi ho paura perché sono nudo e perciò mi sono nascosto». Non essendosi fidato in
    partenza, l’uomo ha scoperto la propria naturale debolezza, la sua creaturale limitatezza e la ritiene una
    cosa non amata da Dio. È lui che proietta in Dio cose che Dio non pensa e quindi ha paura perché si sa
    limitato, si sa debole, ha paura perché non si è fidato e quindi continua a non fidarsi e perciò vuole
    nascondersi, vuole interrompere la relazione. Ha paura che questa relazione sia negativa per lui. Perché
    crede che la relazione con Dio possa essere negativa?
    (Claudio Doglio)

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  3. Chi schiaccerà la testa di questa progenie del serpente antico, ovvero di Satana? Sarà un discendente della donna, qualcuno quindi che sarebbe appartenuto alla razza umana, non un angelo o un essere puramente spirituale come insegnato da diverse eresie.

    Proprio nell’Apocalisse vediamo che sarà Gesù Cristo a sconfiggere in maniera definitiva Satana, a dimostrazione che questa lotta andrà avanti fino alla fine dei tempi, ma sarà la discendenza di Satana ad avere la peggio.

    Quando Gesù è stato crocifisso e messo in una tomba, per qualche giorno,  poteva sembrare che la vittoria andasse in direzione del serpente. Ma fu solo una ferita al calcagno, una vittoria effimera, momentanea. Infatti il terzo giorno Gesù risorse per non morire più e proprio il libro dell’Apocalisse dimostra che alla fine sarà Gesù, la progenie della donna, a trionfare schiacciando definitivamente la testa del serpente.
    (oggi.in cristo.net)

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  4. “Questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”. La testa del serpente è la sua astuzia: è la più astuta di tutte le bestie. Il calcagno dell’uomo è la sua debolezza, sulla quale il demonio fa leva per condurci nell’inganno. Ma proprio questa debolezza, se si sottomette a Dio, può diventare l’arma della vittoria che schiaccia la testa del serpente.
    (Aldo Vendemiati)

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  5. "Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno."
    Il testo ebraico annunziando un'ostilità tra la razza del serpente e quella della donna, oppone l'uomo al diavolo e alla sua "razza", ma lascia anche intravedere la vittoria finale dell'uomo: è il primo barlume di salvezza, il "protovangelo". La traduzione greca, cominciando l'ultima frase con un pronome maschile, attribuisce questa vittoria non alla discendenza della donna in generale, ma a uno dei figli della donna: così è preparata l'interpretazione messianica che molti Padri espliciteranno. Con il Messia, sua madre è implicata, e l'interpretazione mariologica della traduzione latina "ipsa conteret" è divenuta tradizionale nella Chiesa.
    (nota della Bibbia di Gerusalemme)

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  6. Dove sono?
    A leccarmi le ferite, :
    I rimpianti, le mancate realizzazioni, l'incapacità a rapportarmi a Te!
    Stanami e sarò libero!
    Amen

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