Salmo del 4 aprile 2020

Annunciàtela alle isole più lontane
Ger 31, 10-13

"Ascoltate, genti, la parola del Signore,
annunciàtela alle isole più lontane e dite:
«Chi ha disperso Israele lo raduna
e lo custodisce come un pastore il suo gregge».

Perché il Signore ha riscattato Giacobbe,
lo ha liberato dalle mani di uno più forte di lui.
Verranno e canteranno inni sull’altura di Sion,
andranno insieme verso i beni del Signore.

La vergine allora gioirà danzando
e insieme i giovani e i vecchi.
«Cambierò il loro lutto in gioia,
li consolerò e li renderò felici, senza afflizioni»"


I profeti sono visionari, nel senso che il loro vedere arriva lontano, oltre il limite dell'oggi racchiuso nei suoi drammi.
Abbiamo sempre bisogno di uomini che irrighino la nostra speranza, che scorgano il giorno quando non c'è ancora nessuna luce dell'alba.
Questa parola di Geremia è l'inno che ci risolleva oggi, prezioso perché ci mostra un domani che non è il semplice risultato dei nostri sforzi, creato con i nostri parametri, le nostre precauzioni, i calcoli statistici che ci affanniamo a redigere e che sono prontamente vanificati il giorno dopo!
Il profeta parla di ciò che vede già: i suoi occhi spingono il nostro sguardo dove l'irruzione della novità di Dio sta per arrivare come una sorgente che dà vita in abbondanza.

"Ascoltate, genti, la parola del Signore,

annunciàtela alle isole più lontane".
Ascolto e annuncio sono il cuore della mistica biblica.

Il Dio vivente parla e tutto il creato è in ascolto: questa "connessione" globale, fino alle terre che nessuno conosce, realizza un incontro altrimenti inimmaginabile.
Ascoltare la Parola del Signore, rimanerne fecondati, per poi rilanciarla verso gli estremi confini della terra è esperienza dello Spirito.
Ogni uomo è chiamato ad essere profeta per il fratello, a rianimare i cuori spenti che non credono più alla salvezza.
L'immagine delle isole è calzante: nessun uomo sarà come un'isola irraggiungibile, chiuso dal confine dell'abisso. La salvezza raggiungerà ogni cuore; anche i più solitari sentiranno riecheggiare la parola che unisce e sceglieranno di camminare con i fratelli.

Bisogna essere visionari d'amore come il Papa per sostenere nazioni incapaci di far fronte al male e piegate dalle sofferenze che sembrano crescere come un fiume in piena.
Egli dice con un'immagine bellissima che "La speranza è come buttare un'ancora all'altra riva".
Nessun popolo deve sentirsi isolato in questa emergenza che ci affligge. Tutti devono sentirsi ancorati agli altri nella solidarietà e nel soccorso reciproco.

"Chi ha disperso Israele lo raduna
e lo custodisce come un pastore il suo gregge".

Preziosa verità di fede che la Bibbia annuncia a più riprese: in ogni circostanza siamo nelle mani del Signore.
Lui disperde e lui raduna; anche nella separazione non siamo soli ma siamo accompagnati dalla sua mano paterna.

"Perché il Signore ha riscattato Giacobbe,
lo ha liberato dalle mani di uno più forte di lui".

Il Dio, di cui Israele conosce la voce, è un liberatore, colui che riscatta chi è schiavo e a cui nessun potere può opporre resistenza.

L'esperienza dell'esodo dall'Egitto non è mai dimenticata e diventa parametro e segno di speranza per ogni altra esperienza di liberazione.
Quando gli uomini sono in balia di un male più forte di loro, viene il "Forte", quello che un altro profeta, il Battista ha visto e annunciato ai discepoli (cfr. Mc 1, 7)

"Verranno e canteranno inni sull’altura di Sion,
andranno insieme verso i beni del Signore".

Geremia parla al popolo in esilio, spaventato e scoraggiato perché non vede la fine della schiavitù e non ha speranza di tornare in patria.
Ma col suo sguardo profetico contempla le file dei deportati di Babilonia che già ritornano, come in una grande processione, verso il monte Sion, l'amata Gerusalemme.
Il pellegrinaggio festoso ci sarà veramente e i figli dispersi potranno gioire e radunarsi al cospetto del Signore nel Tempio riedificato.

"La vergine allora gioirà danzando
e insieme i giovani e i vecchi".

Finalmente abbandonata la tristezza di chi era schiavo in terra straniera, tutto intero il popolo, giovani e vecchi uniti nella stessa gioia, riprenderanno a danzare come nei giorni di festa.

Mai i nostri anziani, i nostri nonni e i nostri genitori sono stati più presenti nelle nostre preghiere e nelle nostre notti insonni. Un mondo che corre freneticamente si dimentica dei vecchi, dei deboli, degli handicappati e dei malati.
Coloro che sembravano un intralcio sono diventati il centro della nostra speranza e tutti lottano e lavorano per toglierli dalla morte.

«Cambierò il loro lutto in gioia,
li consolerò e li renderò felici, senza afflizioni».

Ecco un annuncio che dice senza equivoci chi è il nostro Dio e cosa fa per noi spinto dal suo amore e dalla sua fedeltà.
E' per fede che parla chi ha davanti morti e malati. E' nella speranza che non si lascia abbattere chi continua a sostenere i fratelli.

Questa visione di Geremia è un vero fertilizzante per la debole pianticella della nostra speranza, una spinta ad attendere con fiducia la salvezza e la guarigione della nostra vita aggrappata, nella tempesta, al Dio vivente.
E' la certezza che il Signore non abbandona mai i suoi figli nella morte perché non si può chiamare Dio dei morti colui che ha resuscitato il Figlio!
Ascoltando la Parola, in cammino verso la Pasqua, non ci stanchiamo di annunciare il Signore vivo, presente e sofferente in mezzo a noi.
Gioia, consolazione, felicità, è ciò che desideriamo e che siamo sicuri il Signore tornerà a far fiorire nel mondo.

Commenti

  1. Ecco il cuore di questo annuncio: "Il Signore ha redento Giacobbe, lo ha riscattato dalle mani del più forte di lui" (Ger 31,11). Lo sfondo storico di queste parole è costituito da un momento di speranza sperimentato dal popolo di Dio, a circa un secolo da quando il Nord del Paese, nel 722, era stato occupato dalla potenza assira. Ora, al tempo del profeta, la riforma religiosa del re Giosia esprime un ritorno del popolo all’alleanza con Dio e accende la speranza che il tempo del castigo sia finito. Prende corpo la prospettiva che il Nord possa tornare alla libertà e Israele e Giuda si ricompongano in unità. Tutti, anche le "isole più lontane", dovranno essere testimoni di questo evento meraviglioso: Dio, pastore di Israele, sta per intervenire. Lui che ha permesso la dispersione del suo popolo, ora viene a radunarlo.
    (www.atma.org)

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  2. L'invito alla gioia è sviluppato con immagini che coinvolgono profondamente. È un oracolo che fa sognare! Delinea un futuro in cui gli esiliati "verranno e canteranno", e ritroveranno non soltanto il tempio del Signore, ma anche tutti i beni: il grano, il mosto, l’olio, i nati dei greggi e degli armenti. La Bibbia non conosce un astratto spiritualismo. La gioia promessa non riguarda soltanto l’intimo dell’uomo, giacché il Signore si prende cura della vita umana in tutte le sue dimensioni. Gesù stesso non mancherà di sottolineare questo aspetto, invitando i suoi discepoli a fidarsi della Provvidenza anche per le necessità materiali (cfr Mt 6,25-34). Il nostro Cantico insiste su questa prospettiva: Dio vuole rendere felice l’uomo intero. La condizione che egli prepara per i suoi figli è espressa dal simbolo del "giardino irrigato" (Ger 31,12), immagine di freschezza e fecondità. Il lutto si converte in festa, si è saziati di delizie (cfr v. 14) e colmati di beni, tanto che viene spontaneo danzare e cantare. Sarà una gioia incontenibile, una letizia di popolo.
    (www.atma.org)

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