Vangelo dell'1 giugno 2021

Quello che è di Dio
Mc 12, 13-17

"In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso.
Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».
Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono.
Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui."


Nella tradizione giudaica le discussioni interminabili intorno ad ogni questione riguardante le leggi divine e umane erano una consuetudine. Spesso scribi e farisei tentano di coinvolgerne Gesù il quale se ne esce con poche parole di una saggezza disarmante, spostando sempre il problema ad un livello più alto e puntando a coinvolgere in prima persona gli ascoltatori.

"In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso".

Il Vangelo ci rivela subito qual è l'intenzione di farisei, specialisti nella religione ebraica, e gli erodiani, seguaci del tetrarca Erode Antipa e politici per passione.
Fare parlare Gesù, sperando che si butti la zappa sui piedi, è la missione che i capi hanno affidato a questi esperti legalisti.

"Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità".
La premessa è un bell'elogio che dice quanto ritengono saggio e imparziale il giudizio di Gesù. Ma rimane il fondato sospetto che vogliono solo "lavare la faccia" a Gesù prima di fargli lo sgambetto per farlo cadere.
Vogliono che si scopri, che dica sinceramente ciò che pensa, perché ritengono che egli non sia né per la fazione religiosa né per quella politica. E quindi un nemico!

"È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?»"
La domanda nasce dalla concezione della regalità in Israele: solo Dio è il vero Re, il sovrano indiscusso e nessuno poteva dirsi padrone d'Israele.
Pagare il tributo a Cesare equivaleva a riconoscere ad un uomo, l'imperatore romano, un diritto che spettava solo al Signore.
Domanda utopica perché i romani avevano occupato la Palestina e non si era liberi di decidere se pagare o meno: da sudditi le tasse andavano pagate come gravame, imposizione di una dittatura che li schiacciava.

"Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono".
Gesù conosce la loro ambiguità, ed è vero che non ha "soggezione di alcuno", tantomeno di loro.
Prima di rispondere li smaschera: è chiaramente una prova quella che gli tendono, non è certo una volontà di ascoltare una parola saggia, un discernimento sulla realtà, così necessario in un momento di prova dura come la dominazione di un impero.
Gli chiede una moneta corrente, vuole vederla, vuole che tutti la vedano portandogliela.
E la moneta appare, uscendo dalle loro tasche: fanno i filosofi sui diritti e le libertà, ma loro si sono già venduti per denaro. Sono schiavi dell'oppressore che se li è comprati per quattro soldi e non se ne rendono conto.

"Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare»".
Le monete antiche erano pezzi di argento o di oro che avevano il loro valore in base al peso, e portavano l'immagine del "proprietario" cioè dell'autorità che l'aveva emessa. Anche le monete erano una caduta idolatrica: infatti era vietato agli ebrei farsi qualsiasi effige di Dio, e usavano, si facevano pagare e si arricchivano, con segni di un'idolatria economica, di un uomo-dio che si ergeva su tutti gli altri.

"Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio»".

L'oro è di Cesare è va restituito a Cesare pagando le tasse.
Di Dio è l'uomo con tutta la sua vita che riceve in dono e al Signore va indirizzato e restituito affinché si scopra amato senza interesse.
Gesù supera il problema fiscale e dà una risposta ampia e profonda che coinvolge l'intera esistenza dell'uomo e di tutto Israele.
Lui che parla e tutti coloro che ascoltano sono di Dio: figli, amati, scelti, voluti, profondamente conosciuti da un Dio geloso che non permette a nessun potere di strapparli dalle sue mani.
Ridate l'uomo a chi non lo schiaccia e non lo usa, ridategli la dignità che lo rende libero, ridategli l'identità di figlio e strappate via quella di contribuente, di suddito, di schiavo!
Gesù è venuto per questa liberazione e li implora: non lo impedite per denaro o sete di potere, ridate i figli a suo Padre!

"E rimasero ammirati di lui".
Anche chi lavora contro la dignità umana non può che ammirare la potente e disarmante autorevolezza di chi non usa, pur potendo, parole-armi che succhiano la vita agli altri.
Anche noi siamo ammirati davanti a tanta saggezza, e siamo anche toccati profondamente dalla volontà di Dio che rende umano l'uomo più di quello che lui stesso voglia.
Togliendo il potere ad una moneta, ad un'effige, Gesù ridona un volto di figli liberi ad ognuno di noi.
"Quello che è di Dio" non è un potere, una santità da tutelare, un diritto che lui pretende.
"Siete di Cristo e Cristo è di Dio"! (1Cor 3, 23), dirà San Paolo.
Per quanto possa sembrare incredibile, la buona notizia è che noi siamo il tesoro che si è scelto il Padre, noi il fine dell'opera salvifica del Figlio, noi la meta del loro Amore.

Commenti

  1. «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
    Io sono di Dio.
    La mia vita è di Dio.
    Il mio passato è di Dio.
    Il mio presente è di Dio.
    Il mio futuro è di Dio.
    Il mio cuore è di Dio.
    Il mio inizio è di Dio.
    La mia fine è di Dio.
    Questo mio giorno è di Dio.
    Tutto da restituire a Dio,
    con gratitudine.

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  2. Lo dobbiamo dare, o no?».
    Fare la propria parte per il bene comune.
    I servizi si pagano.
    Lascia stare che c'è chi lucra sul bene comune.
    Ma la tua parte è quella di condividere secondo il tuo reddito.PUNTO:
    Questo devo prendere anche per la mia figura di cittadino che paga le tasse.
    La Parola è la mia guida per tutte le decisioni da prendere,anche in materia fiscale.

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