Prima lettura del 13 agosto 2019



Il Signore cammina con te
Dt 31, 1-8

"Mosè andò e rivolse queste parole a tutto Israele. Disse loro: 
«Io oggi ho centovent’anni. Non posso più andare e venire. Il Signore inoltre mi ha detto: “Tu non attraverserai questo Giordano”. Il Signore, tuo Dio, lo attraverserà davanti a te, distruggerà davanti a te quelle nazioni, in modo che tu possa prenderne possesso. Quanto a Giosuè, egli lo attraverserà davanti a te, come il Signore ha detto. 
Il Signore tratterà quelle nazioni come ha trattato Sicon e Og, re degli Amorrei, e come ha trattato la loro terra, che egli ha distrutto. Il Signore le metterà in vostro potere e voi le tratterete secondo tutti gli ordini che vi ho dato. 
Siate forti, fatevi animo, non temete e non vi spaventate di loro, perché il Signore, tuo Dio, cammina con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà».
Poi Mosè chiamò Giosuè e gli disse alla presenza di tutto Israele: «Sii forte e fatti animo, perché tu condurrai questo popolo nella terra che il Signore giurò ai loro padri di darvi: tu gliene darai il possesso. Il Signore stesso cammina davanti a te. Egli sarà con te, non ti lascerà e non ti abbandonerà. Non temere e non perderti d’animo!»"


Siamo nei capitoli finali del libro, e Mosè sta per concludere il suo servizio e la sua esistenza.
E' ormai pronto a cedere il bastone del comando al suo successore, un bastone prezioso che gli ha dato coraggio davanti al faraone, ma che è stato anche motivo di inciampo e simbolo di una responsabilità a volte insopportabile.
Non fa il passaggio nel silenzio, ma da profeta parla ancora, perché la sua eredità sia feconda, le sue parole un testamento di vita.

"Io oggi ho centovent’anni".
La tradizione divide la vita di Mosè in tre tappe di quaranta anni (cfr. At 7, 23-30): la prima in Egitto alla corte del faraone, la seconda da straniero a servizio del suocero a Madian, la terza da guida di Israele in fuga dall'Egitto verso la terra promessa.
Ogni tappa è simbolicamente identificata nel numero 40, eco di quel primo salto nel buio di Noè per quaranta giorni e quaranta notti (cfr. Gn 7,4).
Ogni passaggio è un esodo verso il nuovo, abbracciando ruoli completamente diversi.
E questo è il definitivo: qui Mosè mostra la sua dolcezza di padre, il suo affetto al popolo, la sua appartenenza e docilità al Signore.

"Non posso più andare e venire".
Vecchio e con poche energie, il profeta sente tutto il peso di una vita spesa sulle vie di Dio. I suoi limiti sono evidenti e non li nasconde a sé stesso e ai suoi.
Nella Bibbia di solito un'espressione che dice un'azione e il suo contrario indica un potere, una possibilità di libertà: andare e venire, entrare e uscire, sciogliere e legare...
Mosè tocca il limite della sua esistenza e delle sue possibilità.
Benedetto il momento in cui ci si rende conto che la vita ci fa rallentare e, senza ribellarci, accettiamo in pace il limite, lasciando agli altri la nostra eredità spirituale.

"Il Signore inoltre mi ha detto: «Tu non attraverserai questo Giordano»”.

Abbiamo visto l'episodio della disobbedienza nel deserto, quando Mosè dubita di potere, con una sola parola, far sgorgare l'acqua dalla roccia (cfr. Nm 20, 8-13 dell'8 agosto).
Lì il Signore dice a Mosè che non entrerà nella terra della promessa, perché non è capace di reggere il peso di un nuovo destinato ai figli.
Mosè, l'uomo più mite del mondo secondo la scrittura (cfr. Nm 12, 3), è profezia del Messia in Zaccaria 9,9 che viene citata da Matteo per annunciare che il "docile" alla parola era veramente arrivato:
"Ecco, il tuo re viene a te
mite, seduto su un'asina,
con un puledro figlio di bestia da soma" (Mt 21,4).

La mitezza alla parola di Dio è salvifica per Mosè che si prepara a riposare sulla sua bocca e per il popolo nuovo che entrerà nella terra tanto attesa.
In Gesù la docilità è aderire, coincidere con la volontà salvifica del Padre per il passaggio al nuovo della resurrezione per lui e per noi.

"Il Signore, tuo Dio, lo attraverserà davanti a te".
Il popolo non è lasciato in balia di se stesso: il Signore lo precederà, lui il vero condottiero di tutto l'Esodo, lui la guida e il pastore del popolo e di Mosè.
Questo termine "attraverserà" è fondamentale, non solo perché ricorda il passaggio nel Mar degli Giunchi davanti alla furia faraonica, ma perché tutto il nuovo per il Signore è un attraversamento, una "pasqua", passi suoi prima di ogni passo dei discepoli.
Solo il Signore vince e conquista la terra davanti agli altri popoli, solo lui porta ad una dimora stabile nei cieli, prima il Figlio e poi noi.

"Siate forti, fatevi animo, non temete e non vi spaventate di loro, perché il Signore, tuo Dio, cammina con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà".
Consolazione e incoraggiamento in queste parole rivolte al popolo. Il cammino è stato lungo e le fatiche sono ancora tante, ma la fiducia nel Signore fa ritrovare coraggio e forza.
Ripenso a quella bella espressione di Paolo: "Tutto posso in colui che mi dà la forza" (Fil 4,13).
Una consolazione grande nella vita è la certezza di un compagno di viaggio affidabile, che non viene meno, che sostiene nelle prove.
Per noi lo Spirito è questo super "integratore multivitaminico":
"Consolatore perfetto, ospite dolce dell'anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo, nella calura, riparo,
nel pianto, conforto".


"Poi Mosè chiamò Giosuè e gli disse alla presenza di tutto Israele".
Molto di più di un'esortazione a Giosuè, questo è il rimettere nelle mani di un figlio, è la benedizione che lascia se stesso e la propria ricchezza al successore in cui un padre si compiace.
E' necessario per Giosuè ricevere queste parole: quando la voce del profeta che parlava per bocca di Dio, si sarà spenta, egli non rimarrà in un deserto.
Giosuè, nuovo condottiero d'Israele, camminerà sicuro perché quelle parole lo sosterranno assicurandogli che "Il Signore stesso cammina davanti a te. Egli sarà con te, non ti lascerà e non ti abbandonerà. Non temere e non perderti d’animo!".

Come sarebbe completante e pacificante, alla fine della vita, lasciare tutta la nostra fede, il nostro bagaglio di certezze e dubbi, di cadute e di rinascite, nelle mani di chi continuerà il cammino senza di noi!
Il Signore è l'Emmanuele, il Dio con noi, che non abbandona nessuno, e ha cura di ognuno dei suoi figli, cammina sempre avanti e continua l'opera sua che noi abbiamo raccolto.

Commenti

  1. Mosè resta la figura simbolica del grande cammino della fede, il protettore e il grande intercessore del cammino del popolo di Dio fino ai nostri giorni. La figura privilegiata del Messia del Signore che nella pienezza dei tempi guida il popolo come il pastore il suo gregge. Quel “Tu non…” esprime dunque nello stesso tempo il limite della missione di Mosè, come di tutte le “missioni” che nel loro limite rimandano a Colui che esse profetizzano, cioè Gesù, e nello stesso tempo ne fa il simbolo del grande cammino della storia della salvezza.
    (Giovanni Nicolini)

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  2. «Come ci appare qui Mosè? In primo luogo mi colpisce l’onestà con cui Mosè riconosce che il
    tempo della passività per lui è venuto: “Non ce la faccio più, non posso più entrare e uscire, non
    posso più governare”. E sapendo che non ce la fa più si spoglia delle sue prerogative con grande
    libertà: “Il Signore vi guiderà; Giosuè vi guiderà”. Come avrebbe potuto agire Mosè? Avrebbe
    potuto dire: “In fondo sono ancora forte, ancora me la sento e ce la faccio; inoltre, se non ci
    sono io, cosa farà questo popolo? Voglio stare con loro, voglio seguirli: grandi pericoli li
    minacciano….” Mosè, invece, è libero e distaccato. Egli dice: “Io non ci sarò più, ma voi andrete
    avanti benissimo anche senza di me; il Signore vi guiderà e avrete grandi vittorie, più grandi di
    quelle che avete avuto con me: quest’uomo che vi lascio, Giosuè, è un uomo forte, buono e
    coraggioso; abbiate fiducia in lui”. Notate che non dice di Giosuè, come si fa spesso: “Non è
    capace, non ha esperienza; come farà? Devo stargli vicino…”. Mosè, che è stato pazientemente
    educato a considerare l’opera come opera di Dio, adesso volentieri vede quest’opera procedere
    senza di lui, realizzandosi ancora meglio come opera di Dio. Anche in questa occasione, poi,
    Mosè è il servitore del popolo, in quanto è colui che svolge un ministero di consolazione: “Fatevi
    coraggio, state tranquilli e tutto andrà bene; il Signore sarà con voi”»
    (Carlo Maria Martini).

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  3. Il verbo entrare, unitamente ai verbi connessi uscire e camminare, fa parte dello specifico schema letterario dell'esodo, attraverso cui vengono illustrate le tre dimensioni fondamentali che contrassegnano il passaggio dalla terra della schiavitù (uscita dall'Egitto) alla terra della libertà (ingresso in Canaan), passando per il lungo cammino nel deserto. Il verbo entrare è presente spesso nei testi fondatori della Bibbia (la Torah), che non riportano aneddoti secondari, ma intendono mettere a fuoco ciò che, sulla base dell'esperienza emblematica di Israele, risulta essere costitutivo della condizione umana. Quanto detto ci porta ad affermare che la dinamica dell'uscire ed entrare riveste nella Scrittura una particolare rilevanza antropologica, e una forte valenza simbolica. Si rimanda, infatti, all'esperienza connessa all'attraversare una soglia, al passare da una determinata posizione ad un'altra. Ciò trova riscontro nel linguaggio corrente, in cui si usano espressioni quali "uscire di senno" quando si perde l'equilibrio razionale o "entrare nell'idea" a significare il convincersi progressivamente di una determinata cosa; "uscire dal seminato" o "entrare nel vivo dell'argomento", per indicare che si perde il filo del ragionamento o si passa ad affrontare il cuore di una tematica.
    (Maurizio Teani)

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  4. Signore non è facile dopo aver lavorato tanto cercando di ascoltare la tua Parola e di seguire i tuoi sentieri accettare di non vedere compiersi la nostra opera o lasciare che altri raccolgano i frutti della semina. Donarci la mitezza e la fiducia di Mosè, il coraggio e la docilità di Giosuè. Insegnarci a diventare come bambini che si fanno custodire dalle tue mani e confidano nelle tue promesse.

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  5. Tutto quello che compio e merito di chi mi dà possibilità di realizzarlo.
    Ciò che lascerò di quanto fatto è per chi rimane, mi sussegue.
    Ora trovo magnifica l'affermazione...
    Magari potessi lasciare come testamento ANCHE la mia esperienza, la mia appartenenza a TE, la gratuità nello sperimentare la TUA vicinanza anche qui dove mi ritrovo, faccio a mia volta tesoro del TUO INSEGNAMENTO, quindi eredito ciò che mi hai tramandato.

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  6. La vita è una entrata ed una uscita continua. Le tappe del cammino di Mosè, sono anche le nostre, non si può sempre scappare o per paura o per sfiducia o per vergogna, il cammino di ognuno di noi se pur faticoso è comunque il nostro cammino personale, è la nostra storia ed è proprio grazie a questa storia che possiamo dire di essere figli e fratelli liberi e appartenenti ad un unico Padre. Per uscirne è necessario entrare dentro le cose, dentro la vita che è un dono di Dio.

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