Prima lettura di Domenica 4 agosto 2019


Tutto è vanità
Qo 1, 2; 2,21-23

"Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.
Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!"


Il libro di Qoèlet è uno dei più strani della Bibbia. Intanto non parla di riti e di precetti ma, in soli 12 capitoli, sonda l'esperienza umana con la crudezza disincantata del sapiente.
Il modo di ragionare è stringente e sgombro da sentimentalismi, eppure mistico perché nel suo ragionamento arriva a salvare solo Dio come unica realtà vera, non vana, non idolatrica.
La vita è dura e inclemente con chi basa la sua casa su un fondamento vacillante e si attacca alla realtà che passa.

Questa meravigliosa pagina della sapienza biblica ha un inizio quasi onirico.
"Vanità delle vanità", "Hebel habelim", in ebraico, sarebbe da tradurre fumo, vapore, nient'altro che inconsistente fumo.
Illusione delle illusioni, potremmo tradurre in un linguaggio più corrente.
La realtà è vista nella sua inconsistente apparenza e ciò sembrerebbe in antitesi con la speranza cristiana.
In effetti la disillusione davanti a realtà passeggere diviene il punto di partenza di una vera sapienza.
Tante nostre scelte, a volte drammatiche e con conseguenze pesanti e distruttive, nascono dall'errata visione di ciò che è caduco.
Le nostre cose, in quanto terrene, non sono eterne ed è necessario arrendersi all'evidenza che niente è per sempre e tutto va trattato con sano realismo.
È il grande messaggio del Qoelet, un libro dissacratore, che nella Bibbia svolge il necessario compito di far crollare quelle illusioni che perfino nella fede possono insinuarsi.

E parte infatti proprio da ciò che riteniamo più alto: la sapienza.
"Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato".
Nemmeno un lavoro onesto e sapiente è esente dalla sconfitta; comunque la morte spoglierà stolti e sapienti.
Cosa manca a questa sapienza umana? Il necessario distacco dalle cose, riconoscere che in fondo niente ci appartiene veramente, tutto, prima o poi, va lasciato a chi ci seguirà.
Spesso questa constatazione, andando avanti con gli anni, diventa fonte di amarezza specialmente per chi ha avuto tanto ed è stato molto colto.
Siamo gelosi non solo di cose, ma di idee, di ragionamenti, di sapere.
Si stringono gelosamente tesori che marciranno, quando invece sarebbe fonte di gioia donarli a chi ci seguirà nella vita.

"Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni".
Tutto ci sfugge dalle mani, o per dirla con una frase fatta, non ci porteremo niente all'altro mondo.
A che pro allora tanto affanno e tanto accumulo? Ci accorgiamo spesso troppo tardi dell'inconsistenza delle nostre crociate che vogliono solo affermare quello che crediamo e quello che pensiamo.
Corriamo dalla mattina alla sera, ritrovandoci vuoti e con progetti vani nelle mani.
Nei momenti di fallimento o di stanchezza affiora questo sguardo sulla vita e il libro vuole portare a ciò che dà riposo e fa rialzare la testa verso una realtà che non muore.
Il sapiente, che nelle esperienze vissute si è fatto guidare dalla Parola, scava nel senso delle cose passate per distaccarsi da ciò che è vano e senza fondamento.

"Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi".
E' sottolineata con forza la fatica del vivere.
Sono parole pesanti come pietre, che colpiscono ogni nostra illusione di grandezza, di sapere, di potere, perché alla fine non siamo che terra, destinata a tornare alla propria origine.
Qoèlet fa una sana meditazione che taglia alla radice ogni superficiale illusione e ci mette nella necessità di cercare l'essenziale, ciò che resta, quello che non nasce e non muore.
Paolo fa eco a questa sapienza quando scrive: "Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!" (1Cor 7, 29-30).

"Neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!"
Il brano finisce con un sintomo chiaro: ciò che non riusciamo a gestire e ci assilla, di notte diventa un macigno che porta all'insonnia.
Se non sappiamo staccarci da ciò che è materiale, vano fardello di cose e di pensieri, la nostra vita, schiacciata, perderà la pace e il riposo.
In conclusione cito un brano a me molto caro di Peguy da "Il Portico del Mistero della Seconda Virtu", che supplica di rimettere a domani quelle angosce e quei pesi che non riusciamo a gestire.
Colui che veglia sulla nostra vita se ne prenderà carico:
"Colui che dorme come un bambino
E’ anche colui che dorme come la mia cara Speranza.
E io vi dico Rimandate a domani
quelle preoccupazioni e quelle pene che oggi vi rodono
e oggi potrebbero divorarvi.
Rimandate a domani quelle lacrime che vi riempiono gli occhi
e la testa.
Perché da qui a domani, io, Dio, sarò forse passato.
La saggezza umana dice: Disgraziato chi rimette a domani.
E io dico Beato, beato chi rimette a domani.
Beato chi rimette. Cioè Beato chi spera. E che dorme".

Commenti

  1. Il taglio della riflessione del Qoelet è ben diverso da quella dei profeti. Quest’ultimi contempla-
    vano la storia con gli occhi puntati sul Signore della storia, aprendo il cuore del suo popolo alla spe-
    ranza della salvezza (Is 43,19) con la creazione di cieli nuovi e di una terra nuova che faranno di-
    menticare le tribolazioni passate (Is 65,17-18; 66,22). Perciò, nonostante gli orrori presenti, nelle
    loro menti ispirate prendevano corpo sogni impossibili di restaurazione, di alleanze nuove, di desti-
    ni gloriosi, di cui il Signore dell’impossibile si faceva garante. Qoelet, invece, è un «saggio», non
    un profeta. Non è un veggente, ma scruta la realtà presente con occhi molto umani, molto laici, cioè
    dal punto di vista di ciò che gli uomini sentono, pensano e fanno, qui e adesso. E, vista così, è vero
    che essa può apparire come una gabbia soffocante, un insieme di eventi che girano e rigirano cicli-
    camente, affannosamente, senza apportare nulla di veramente nuovo, routine noiosa, un soffio im-
    menso di creature che nascono, amano e odiano, desiderano e aspirano a cose grandi, più grandi di
    loro, ma poi muoiono tutte, senza conoscere neppure la loro ora (cf. Qo 9,12), senza sapere cosa av-
    verrà (o se avverrà qualcosa) dopo di loro sotto il sole (cf. Qo 3,22; 6,12; 8,7). Non c’è nulla di nuo-
    vo sotto il sole, che ciò che è stato sarà ancora, e ciò che si è fatto si rifarà e i tempi passati non sono
    migliori del presente (cf. Qo 1,9-11; 2,12; 3,15; 7,10).
    (www.oblati.org)

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  2. Un mito che è legato alla ricchezza e al potere è quello che tutti invidiano maggiormente:
    permettersi ogni piacere e soddisfare ogni desiderio. Tanti pensano che questa sia la formula della
    felicità, legata al godere e al fare, ai piaceri della vita e alla soddisfazione per le opere realizzate.
    Qoèlet descrive tutti questi piaceri come un impegno intelligente e laborioso che lui ha intrapreso per costruirsi un piccolo paradiso sulla terra. Tutto fatto con intelligenza, con classe, con gusto, con
    signorilità, senza ostentazioni pacchiane di lussi smodati e senza abbruttirsi nelle droghe e nei vizi.
    Non è forse questo lo scopo della vita che tutti desidererebbero realizzare?
    La critica di Qoèlet è puntuale: la ricompensa che viene dai piaceri e dalle opere è la soddisfazione del momento per ciò che si è fatto e goduto, ma il cuore resta sempre insoddisfatto e i desideri
    diventano sempre più grandi e inappagabili. Non c’è alcun guadagno sotto il sole che compensi la fatica e le complicazioni dei piaceri e delle opere, e dia l’appagamento vero dello spirito.
    (Sergio Carrarini)

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  3. Qoèlet connota impietosamente il destino della prosperità materiale con formule che invitano alla disillusione, quando in modo pungente descrive la miseria che spesso si nasconde in una ricchezza ammassata a costo di ansie infinite, nella ricerca di prestigio, potenza, successo e piacere: parla di "dolori e fastidi penosi", di "un cuore che neppure di notte riposa".
    A che vale all'uomo la fatica per sviluppare tutte le energie del suo sapere o per costruire un'opera nella quale egli potrà a stento lasciare un'impronta personale, quando con la morte "dovrà lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato"?
    Per di più al fallimento di tutte le fatiche, si aggiunge "l'affanno del cuore", così che tutti i giorni diventano un penoso agitarsi che produce solo dolore e delusione.
    Da un certo modo di possedere le ricchezze - avverte Qoèlet -l'uomo può uscire distrutto, ingoiato dal nulla e dall'assurdo.
    (Carla Sprinzeles)

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  4. Legarsi a cose materiali è devastante
    Il possesso lacera
    Tutto va lasciato qui, anche il sapere
    Staccami dalla bramosia del possedere, anche una semplice idea, di cui sono morbosamente geloso!

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  5. La voce dell antico predicatore di Israele trova il coraggio di esplicitare una grande realtà : non siamo altro che un soffio.Non è cinismo in realtà coglie il segno: la fatica sembra una fatica vana una bolla di sapone che presto o tardi svanisce senza apparente significato. E allora signore aiutami ad avere uno sguardo più lungo a guardare più in la a non restare intrappolata da inutili pensieri azioni e situazioni. Con Paolo fammi rieggheggiare in cuore: se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù. ..

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  6. Questa bellissima pagina del vecchio testamento mi richiama molto la pagina evangelica di Marta che si affanna a cucinare e Maria che resta seduta ad Ascoltare. Eppure Gesù si " sarà deliziato" di ciò che ha cucinato Marta, però elogia Maria che ha scelto l' ascolto, quella parte che non le sarà tolta. Il punto è che è giusto lavorare, sudare, lottare, ma non fare di tutto questo come fine a se stesso, e per dirla come Sant'Agostino: "Ama e fa quello che vuoi" perché solo l'amore e i frutti dell'amore non avranno mai fine

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  7. Molto interessante e vera questa pagina di Qoelet.... Quante cose inutili abbiamo nella la testa dice una famosa canzone e io aggiungo, quante cose e azioni inutili facciamo creando solo vuoto dentro e fuori di noi! Mi rendo conto che la vita ha senso solo rimanendo nel Signore, tutto è vanità, illusione, menzogna. Tu Signore, fonte viva di verità e sapienza illuminami e riempi di luce il vuoto che è in me.

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