Prima lettura del 5 dicembre 2019

Il Signore è una roccia eterna
Is 26,1-6

"In quel giorno si canterà questo canto nella terra di Giuda:
«Abbiamo una città forte;
mura e bastioni egli ha posto a salvezza.
Aprite le porte:
entri una nazione giusta,
che si mantiene fedele.
La sua volontà è salda;
tu le assicurerai la pace,
pace perché in te confida.
Confidate nel Signore sempre,
perché il Signore è una roccia eterna,
perché egli ha abbattuto
coloro che abitavano in alto,
ha rovesciato la città eccelsa,
l’ha rovesciata fino a terra,
l’ha rasa al suolo.
I piedi la calpestano:
sono i piedi degli oppressi,
i passi dei poveri»".


Questa pagina di Isaia ci mostra il regno di Dio nell'immagine di una città, edificata da lui, fortificata, protetta da nemici inermi di fronte alle sue mura invalicabili.
Giovanni, nell'Apocalisse, riprende questa immagine di città e la mostra come dimora stessa di Dio che scende per inabitare l'umanità:
"Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro" (Ap 21,2-3).

"In quel giorno".
Un profeta è una sentinella dell'oltre e Isaia, instancabile, spinge il nostro sguardo più in là del nostro limitato orizzonte quotidiano, più in là della nostra speranza dal fiato corto, più in là di quanto noi potremmo osare.
Quello da attendere e contemplare nella speranza è il giorno di Dio per eccellenza, il giorno della rivelazione definitiva.
È un giorno che dal futuro ci viene incontro nella forza delle parole del profeta e si fa motivo di gioia nell'oggi.

"Si canterà questo canto nella terra di Giuda".
Finalmente si ode il canto di vittoria!
La terra di Giuda, dove scorre latte e miele, era la terra della promessa fatta prima ad Abramo e poi alla sua stirpe che usciva dalle grinfie del faraone.
Ma era stato versato anche tanto sangue per mano dei vari oppressori che ambivano alla striscia di terra della Palestina, come luogo di passaggio cruciale per scambi e invasioni delle terre collegate da questa terra fertile tra i deserti.
Per quella terra, che è croce e delizia del popolo, è arrivato il giorno della vittoria.

"Abbiamo una città forte;
mura e bastioni egli ha posto a salvezza".

La città futura non fatta da mano d'uomo, è una città sicura, che accoglie e custodisce senza il rischio di nuove invasioni.
Le sue mura non sono solo protettive, ma simbolo della saldezza dell'opera fatta da Dio.
Questa città è l'antitesi di Babele in cui gli uomini avevano deciso: "costruiamoci una città" (Gn 11,3-4).
Ma se il Signore non è il costruttore, invano (cioè inseguendo l'idolo della propria grandezza) costruiscono gli uomini (cfr. Sal 127,1).

"Aprite le porte:
entri una nazione giusta,

che si mantiene fedele".
Le porte di solito erano aperte alla fine di una guerra, quando il re, vittorioso, tornava col bottino ed era accolto dalla popolazione esultante che poteva uscire dall'assedio.
Qui le porte si aprono per un'intero popolo vittorioso, che in processione viene dalla grande tribolazione dell'esilio e si è mantenuto fedele alla fede dei padri. È il tempo del ritorno definitivo, del raduno dei figli di Dio dispersi e, adesso, radunati insieme.

"La sua volontà è salda;
tu le assicurerai la pace,
pace perché in te confida".

Pace, fiducia, saldezza: sono parole che risuonano come un miracolo sulle labbra degli esuli ritornati nella città tanto amata che si pensava perduta; invece viene ritrovata come luogo di pace e di consolazione.
Sono parole che profumano di nuova libertà.
Il Signore assicura pace e il popolo si affida a questa volontà perché sente che è per sempre!

"Confidate nel Signore sempre,
perché il Signore è una roccia eterna".

È un invito che nasce dall'esperienza e che genera una fede più profonda in colui che è roccia eterna. Dio è l'Amen del popolo, la certezza a cui aggrapparsi nella tempesta del deserto, della solitudine, la prova certa che le promesse dei profeti si realizzano.

"Perché egli ha abbattuto
coloro che abitavano in alto,
ha rovesciato la città eccelsa,
l’ha rovesciata fino a terra,
l’ha rasa al suolo".

Ora che tutto è compiuto si rivela che il Signore ha combattuto per il suo popolo e ha vinto.
La città nemica è detta "eccelsa": chi mai avrebbe pensato che le sue mura crollassero?!
Eppure egli "ha rovesciato i potenti dai troni" (Lc 1,52a), ha ridotto in macerie la loro città, di cui ora non restano che rovine.

"I piedi la calpestano:
sono i piedi degli oppressi,
i passi dei poveri".

I poveri, gli oppressi, il resto di Israele schiavo in esilio, nel suo cammino di ritorno, cammina sopra queste rovine, finalmente calpestando il nemico abbattuto: "ha innalzato gli umili" (Lc 1,52b).
Bella questa immagine: a coloro che erano in prigionia, viene ridata la possibilità di camminare verso Dio. E' un'immagine pasquale, di resurrezione, di un cammino possibile perché il Signore ha rialzato dalla morte.
"I passi dei poveri" che nessuno sentiva, adesso incalzano come un esercito di pace, calpestando ed ergendosi sulla polvere del male sconfitto.

La fede della Bibbia è in Dio Salvatore, e lui si ferma solo quando suoi figli sono liberi e il nemico è messo in condizione di non nuocere in eterno.
È un canto di speranza, di fiducia, per chi si sente abbandonato ad un destino di oblio e di nulla. Il cammino della nostra esistenza non va verso l'indefinito o, peggio, la condanna.
I nostri passi sono indirizzati verso la roccia stabile, dimora che il Signore ha preparato per noi e in cui ognuno ha un posto prenotato e nominativo (cfr. Gv 14,2).

Commenti

  1. Il ritorno da Babilonia pone subito il problema del ricostruire le mura e il tempio: due realtà fondamentali per la pace e la sicurezza. E nonostante la povertà e la debolezza di un popolo che torna povero e senza risorse, avvengono episodi di generosità e di costanza inimmaginabile per cui coloro che sono tornati riescono, in poco tempo, a circondarsi di mura.
    Le mura rappresentano la saldezza, la stabilità e la profusione di bellezza che riempiono di orgoglio il popolo costruttore. Così, impreziosite di pietre preziose, perdono la loro fisionomia di materia opaca, e si trasfigurano nella bellezza di Gerusalemme e quindi nello splendore della Sposa di Dio, santa, madre, accolta nell'Alleanza, glorificata poiché preziosa nelle mani dell'Altissimo.
    (Raffaele Ciccone)

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  2. I primi sei versetti di Isaia 26 amplia questo canto di esultanza, ma se si osserva con attenzione la terminologia, ci si rende conto che l’esaltazione per la città forte e per le sue mura, come la certezza della pace … tutta questa prosperità è legata e sgorga da una ragione tanto diretta quanto umilmente essenziale: tutto sarà così perché , dice Isaia al Signore, il popolo “confida in te”!! (ver.3). Per questo il Signore gli assicurerà la pace. Il ver.6 è l’estremo di questa meravigliosa avventura della fede di Israele: la città mondanamente eccelsa sarà “rasa al suolo". 
    (Giovanni Nicolini)

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  3. Chi entra nella città della salvezza deve avere un requisito fondamentale: «l’animo saldo... avere in te fiducia... confidare» (cfr Is 26,3-4). È la fede in Dio, una fede solida, basata su di Lui, che è «roccia eterna» (v. 4).

    È la fiducia, già espressa nella radice originaria ebraica della parola «amen», sintetica professione di fede nel Signore, che - come cantava il re Davide - è «mia forza, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo, mia potente salvezza» (Sal 17,2-3; cfr 2Sam 22,2-3).

    Il dono che Dio offre ai fedeli è la pace (cfr Is 26,3), il dono messianico per eccellenza, sintesi di vita nella giustizia, nella libertà e nella gioia della comunione.

    È un dono ribadito con forza anche nel versetto finale del Cantico di Isaia: «Signore, ci concederai la pace, perché tu dai successo a tutte le nostre imprese» (v. 12). È stato questo versetto ad attirare l’attenzione dei Padri della Chiesa: in quella promessa di pace hanno intravisto le parole di Cristo che sarebbero risuonate secoli dopo: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27).

    Nel suo Commento al Vangelo di Giovanni san Cirillo d’Alessandria ricorda che, nel dare la pace, Gesù dona il suo stesso Spirito. Egli quindi non ci lascia orfani, ma mediante lo Spirito rimane con noi. E san Cirillo commenta: il profeta «invoca che sia dato lo Spirito divino, per mezzo del quale siamo stati riammessi nell’amicizia con Dio Padre, noi che prima eravamo lontani da lui per il peccato che regnava in noi». Il commento si fa poi preghiera: «Concedici la pace, o Signore. Allora ammetteremo di aver tutto, e ci apparirà che non manca nulla a colui che ha ricevuto la pienezza di Cristo. È infatti pienezza d’ogni bene che Dio abiti in noi per lo Spirito (cfr Col 1,19)»
    (Giovanni Paolo II).

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