Prima lettura di domenica 19 gennaio 2020

È troppo poco che tu sia mio servo
Is 49, 1-6

"Ascoltatemi, o isole,
udite attentamente, nazioni lontane;
il Signore dal seno materno mi ha chiamato,
fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome.

Ha reso la mia bocca come spada affilata,
mi ha nascosto all’ombra della sua mano,
mi ha reso freccia appuntita,
mi ha riposto nella sua faretra.

Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria».

Io ho risposto: «Invano ho faticato,
per nulla e invano ho consumato le mie forze.
Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore,
la mia ricompensa presso il mio Dio».

Ora ha parlato il Signore,
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele
- poiché ero stato onorato dal Signore
e Dio era stato la mia forza -

e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra»".


Questo brano della liturgia di oggi, così bello che va meditato tutto dal v.1 al v.6, è scritto da Isaia al tempo dell'esilio babilonese.
Nei testi del profeta è molto importante la dinamica ricordo/dimenticanza.
La memoria per l'uomo di fede non è semplicemente la necessità di tenere a mente, non è neanche rimpiangere il passato.
Dimenticare è abbandonare.
La realtà dimenticata è lontana, assente perché non incide nell'oggi.

Ricordare è invece tenere in vita qui ora, insieme al mio presente, un evento fondamentale della mia storia.
La memoria di Israele è un'ancora di salvezza perché non lo fa vacillare neanche in tempi di grande afflizione. Essa si fonda su una certezza: il Signore non dimentica i suoi figli!
Il Messia, suscitato da Dio, è la certezza concreta di libertà presente in mezzo agli schiavi lontani dalla loro patria.

"Ascoltatemi, o isole,
udite attentamente, nazioni lontane".

È un messaggio universale, che deve giungere in ogni luogo, anche in quelli più inaccessibili come le isole, le terre mai viste e fino agli estremi confini della terra.

Richiede un ascolto attento, che tutti dovranno avere come Israele, il popolo dell'ascolto. Ma anche Israele dovrà aprirsi alla volontà che tutti gli uomini facciano parte del grande popolo di Dio.

"Il Signore dal seno materno mi ha chiamato,
fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome".

Quella del Messia non è una vocazione improvvisata, è intessuta come una tela, un progetto amorevole (cfr. Sal 138, 15).
La preparazione di Dio ha la stessa estensione di cura di una madre, dal concepimento fino all'imposizione del nome.
Il nome pronunciato nel nascondimento del grembo, conosciuto solo dal Signore, sarà sulla bocca di ogni uomo e ogni lingua proclamerà che il Messia è Signore (cfr. Fil 2,11).

"Ha reso la mia bocca come spada affilata,
mi ha nascosto all’ombra della sua mano,
mi ha reso freccia appuntita,
mi ha riposto nella sua faretra".

La missione dell'Unto di Dio è segnata dal conflitto: egli è stato forgiato per la sua guerra, combattuta con la spada della Parola; anzi lui stesso è freccia appuntita del Signore.
E' una freccia riposta nella faretra; solo Dio conosce il momento in cui, come un dardo scagliato con forza, il Messia, inarrestabile, realizzerà ciò per cui è stato generato (cfr. Sal 147,4).

Segue un bellissimo dialogo che mostra tutta l'intesa tra il Signore e il suo Messia.
"Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria»".

Ecco il segreto di questa presenza in mezzo ad Israele, che pure vinto, ridotto in catene, trascinato fuori dalla sua patria, è sempre manifestazione della gloria del Signore!

Per mezzo del suo Messia, nato dal popolo, il Signore farà risplendere il suo amore, portatore di salvezza.
Paolo dirà "È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini" (Tt 2,11). Il Messia sorgerà come grazia fatta carne, toccabile, incontrabile.

"Io ho risposto: «Invano ho faticato,
per nulla e invano ho consumato le mie forze.
Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore,
la mia ricompensa presso il mio Dio».

La vita del Messia è segnata dal mistero del fallimento, dell'abbandono e della morte. Sembra il lamento di Qoelet, una constatazione amara di forze sprecate e di semine infruttuose.
E' una realtà innegabile, ma tutto quello che sembra inutilità e spreco, non fermerà la manifestazione dell'amore luminoso di Dio che sovrabbonderà in cura, vicinanza e vita.

"Ora ha parlato il Signore,
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele".

Ritorna la certezza che la vita, prima della nascita, porta in sé un progetto. Il Messia riconosce di essere "plasmato" come Adamo, come ogni uomo, con le mani stesse del Signore. Il motivo di questa cura continua è l'amore per Israele, altro nome del patriarca Giacobbe, e la volontà di non disperdere il popolo.

Ma se il Messia si riconosce servo, le parole del Signore gli rispondono con una tenerezza sconvolgente:
"È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele".

Non basta al Signore un servo! Non vuole un sottomesso, ma è necessario uno come lui per liberare il popolo dalla cattività babilonese.
Israele fa memoria di un accompagnamento speciale nel deserto: dall'Egitto, Dio stesso, in mezzo al suo popolo, camminava ed era presente sempre, nella tenda del convegno e sulla bocca di Mosè. Era l'Emmanuele, il Dio col popolo.
Di questo ha bisogno Israele e questo desidera il Signore: del suo Unto che viene a liberare e a salvare gli oppressi dalle catene, gli afflitti e i miseri.

"Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra".

Ha le stesse note profonde di un salmo questo brano di Isaia che contiene già l'annuncio di un prescelto speciale: il Messia Gesù sarà colui che realizzerà la vicinanza unica di Dio nel popolo e in ogni uomo.

La sua è una missione di portata universale che dal popolo della promessa si estenderà come la luce del sole, sorgendo su tutta la terra.
Nessun uomo sarà più un'isola lontana perché tutti saranno visitati da un sole che sorge (cfr. Lc 1, 78).
L'incarnazione è questa volontà che non fa bastare a Dio di avere una umanità schiava e nelle tenebre: la vuole figlia nel Figlio!

Commenti

  1. Il profeta introduce un personaggio misterioso, detto proprio "Servo di Jhwh", a cui ha consegnato una parola forte, coraggiosa, tagliente e lo ha scelto per raggiungere obiettivi di vita e di gloria.
    L'esperienza, tuttavia, ha portato ad un insuccesso. E' crollato ogni tentativo, si sono esauriti tutti i progetti e tutte le energie. Si è salvata solo la fiducia del Servo di Dio e la fedeltà alla sua attesa. Il progetto doveva unificare "i superstiti d'Israele", coinvolgerli in un popolo fedele e coraggioso che sapesse riconoscersi nella fedeltà al Signore.
    E' stato tutto inutile.
    Eppure i Signore non si è scoraggiato e ha richiamato il suo servo a diventare "luce delle nazioni".
    Tutto il mondo creato ha bisogno della speranza e della salvezza che viene da Dio poiché tutto il mondo è stato creato dal Signore e quindi Egli sa di che cosa gli uomini e le donne hanno bisogno. Questo è il messaggio che viene riproposto "a colui che è disprezzato, rifiutato dalle nazioni, schiavo dei potenti".
    (Raffaello Ciccone)

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  2. Ciascuno di noi ha un nome, che Dio conosce, e che è il significato della nostra esistenza, quindi è quella che noi chiamiamo vocazione.

    Il servo è stato scelto, amato e voluto fin dall’inizio del suo concepimento con una missione precisa da parte di Dio.

    Ricordate che questa immagine verrà ripresa poi da san Paolo. Quando parla della sua vocazione riconosce che è venuta ad un certo punto della sua vita (sulla via di Damasco), è venuta in contrasto con molte cose precedenti, perché prima era un persecutore della chiesa e poi la vocazione ha capovolto la sua prospettiva e il suo modo di pensare, però san Paolo riconosce che Dio lo aveva scelto fin dal seno materno.

    Quindi la vocazione è avvenuta concretamente se non dopo molto tempo, ma quella vocazione non faceva altro che innestarsi su una realtà profonda che Paolo portava sempre con sé.

    Questo naturalmente vale per ciascuno di noi. La vocazione la scopriamo ad un certo punto della vita, delle volte la costruiamo pian piano, con fatica, con tensione.

    Però in realtà quello che viene a galla è la parola con cui Dio ci ha chiamato fin dall’origine.

    Continua il servo: “Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra” e vuole dire che il servo di Jahvè è diventato uno strumento di Dio, uno strumento di cui Dio si serve per compiere la sua volontà, uno strumento soprattutto attraverso la parola, la predicazione. E’ un predicatore, un profeta, deve annunciare il diritto, proclamare la volontà di Dio; per questo Dio ha reso la sua bocca come spada affilata, quindi capace di colpire, capace di discernere, di distinguere, di dividere, di mettere in luce i pensieri del cuore.

    “Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria”. La parola “Israele” sembra una glossa, cioè un’aggiunta di qualcuno che ha voluto interpretare il canto, per dire che questo servo su cui Dio manifesta la sua gloria è Israele stesso, il popolo stesso.
    (Vittorio Ciani)

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  3. Il lungo tempo trascorso nel deserto, dove Giovanni di è dedicato ad un ascolto profondo e assiduo delle Scritture , ha forgiato il duo cuore fino a renderlo perfettamente sensibile al passaggio di Dio. La presenza di Dio nella storia è mite e discreta. Solo cuori purificati sono in grado di coglierla. Il Verbo di Dio ha deciso di farsi carne proprio per non diventare l ennesimo padrone della nostra vita, ma per mettersi al nostro servizio come un agnello tenero, come un servo. Il compito dell' agnello non è tanto quello di togliere il peccato, ma di prenderlo su di sé, sollevandolo per evitare che il mondo soccomba sotto il suo peso insopportabile

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  4. Meditando questo brano possiamo riscontrare alcune caratteristiche del nostro Signore Gesù Cristo:

    a. La Sua nascita miracolosa viene annunciata profeticamente.(1) "L'Eterno m'ha chiamato fin dal seno matemo, ha mentovato il mio nome fin dalle viscere di mia madre"; la nascita del Messia non fu un evento occasionale; Colui che conosce ogni cosa, non era stato colto alla sprovvista dal peccato dei nostri progenitori. L'apostolo Pietro afferma che noi siamo stati riscattati "...dal vano modo di vivere tramandatoci dai padri, col prezioso sangue di Cristo, come d'Agnello senza difetto ne macchia, ben preordinato prima della fondazione del mondo" (1). Il fanciullo ha un nome: "Emmanuele", cioè "Dio con noi"; ossia la più grande espressione d'amore di Dio, ancora più encomiabile "...in quanto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (2).

    b. Il Suo ministerio (v.2): "Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente". La proclamazione della verità hanno caratterizzato tutta la predicazione di Cristo. Egli solo poteva dire: "In verità, in verità vi dico...". Egli non proclamava una verità ma la VERITÀ! Questa "verità" affranca dal peccato: "...e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi" (3). Non è una "verità" accessibile a pochi iniziati, ma è per tutti coloro che con fede aprono il cuore al Signore: "...hai nascoste queste cose ai savi e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli fanciulli" (4). Quindi la salvezza è accessibile a tutti, talché nessuno può più accampare scuse.

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  5. Ciascuno di noi ha un nome, che Dio conosce, e che è il significato della nostra esistenza, quindi è quella che noi chiamiamo vocazione. ... E ci si svela man mano nella vita... È quel nome nuovo scritto sulla pietruzza che c è nel nostro cuore dice l Apocalisse. Signore rendimi docile a scoprire man mano. Le varie lettere che compongono questo mio nome nuovo.

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