Prima lettura di domenica 14 giugno 2020


Nel deserto ti ha nutrito
Dt 8, 2-3.14-16

"Mosè parlò al popolo dicendo:
«Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi.
Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.
Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri»".


Uno dei compiti di Mosè è fare da memoria al popolo in cammino. Senza memoria delle opere di Dio per noi, tutto diventa evanescente, la speranza non trova fondamento e il cammino diventa impossibile.

"Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi".
Una sintesi dura, ma realistica che porta alla memoria il senso di un cammino lungo una vita intera.
Capire il significato di ciò che accade ci permette di scoprire chi è Dio per noi, come si è manifestato a nostro favore e dove ci conduce.
Quarant'anni di deserto faticosi e umilianti sono stati la scuola in cui Dio ha educato il suo popolo.
Le prove della vita sono il nostro "esame di stato" continuo, la verifica che svela cosa c'è nel nostro cuore veramente.
Il Signore lo sa già, la scoperta è nostra.

"Egli dunque ti ha umiliato".
Parola difficile da digerire! L'umiliazione è per noi uno smacco troppo grosso; difficilmente la subiamo e il nostro cuore si ribella al sentirla, specialmente se è annunciata come un'opera di Dio nella nostra vita!
Parole così nella Scrittura vanno prese per quelle che sono e lasciare che scavino nel nostro cuore ferito.
Una frase del Salmo di ogg ha messo luce a questo annuncio:
"Egli mette pace nei tuoi confini,
e ti sazia con fiore di frumento" (Sal 147, 14).

Ecco qual'è l'opera misericordiosa del Padre: aprirci gli occhi sui nostri limiti, mostrare la verità di noi stessi che in ogni modo cerchiamo di evitare, illudendoci di non avere confini, di essere un dio!
L'umiliazione è abbassare il nostro ego spropositato che si frantumerebbe molto presto contro le impossibilità oggettive della nostra umanità.
E' la cura di un Padre amante che protegge la vita dei figli che si sentono capaci di tutto e, con l'incoscienza degli adolescenti, potrebbero buttarsi inconsapevolmente nella morte.
E' stata la cura per Pietro, illuso di poter sottrarre dalla morte Gesù, che promette di seguirlo ovunque vada, per ritrovarsi, di fronte alla croce, annientato e rinnegatore!
Nessun libro può insegnarci che limiti abbiamo; è la scuola umiliante della vita che consegna la vera sapienza, facendoci riconoscere peccatori e che solo Dio è Salvatore, quello che la Bibbia chiama "il timore di Dio".

"Ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore".
Alla scuola del Signore si imparano le poche cose necessarie e fondamentali della vita.
Una di queste è che noi non viviamo solo con le nostre forze, del pane impastato dalle nostre mani, ma ci è necessaria ogni Parola di Dio che crea e dona nutrimento alla vita.
Si sottolinea che questo cibo noi non lo conosciamo, come non lo conoscevano neanche i padri, maestri di fede. Non viene da noi, sfugge alle nostre risorse.
Gesù riprenderà questa verità dicendo ai discepoli che lo invitano a mangiare: "Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete" (Gv 4, 32) perché: "Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera" (Gv 4, 34).
Anche per noi questo è cibo. Alla Parola che il Deuteronomio indica, il Figlio aggiunge una vita vissuta in relazione col Padre, che incarna la sua volontà rendendola nostra.

"Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile".
Precetto prezioso per discernere l'esperienza di libertà.
Il Signore è Salvatore perché libera dalle catene del peccato che ci impedirebbero di vivere. Il suo perdono toglie la schiavitù e ci dà la possibilità di camminare senza ceppi, da figli.
Non siamo più servi ma amici di Dio. Non siamo più legati ai fratelli da rapporti di potere, ma dal servizio reciproco che ci fa realizzati e legati nella comunione.
Sono le due coordinate della vita nuova che il Signore ci ha donato e dalle quali ripartire sempre.

"Che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri".
Come dire: "Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio" (Lc 18, 27)!

Nessun ostacolo ha fermato il cammino degli schiavi verso la libertà, e Mosè elenca episodi ben precisi e per niente fantasiosi.
Sono tutte tappe difficili in cui la durezza del cuore degli schiavi fuggiaschi vedeva solo morte e invece l'intervento del Signore ha mostrato il modo per uscirne vivi.

Nel deserto dove nessuna vita cresce, Israele ha potuto camminare 40 anni, crescere figli, camminare fiducioso, pregare, nutrirsi, sperare.
Lì ha imparato i limiti, ma anche l'amore provvidente di Dio, presente nell'accampamento in una tenda tra le tende, madre che impasta la farina, servo che lavora per sostenere dei servi, pronto a dare il pane giusto e necessario per ogni giorno.
"Ricòrdati di tutto il cammino" è l'invito fatto a noi oggi che ringraziamo il Signore per aver donato tutto per noi, nutrendo la nostra vita carente e bisognosa con un cibo che non ha fine: col suo corpo ed il suo sangue.

Commenti

  1. è un invito a rivedere cosa Dio ha fatto (memoriale della Pasqua), sin dall'inizio, nella storia: ricordati di tutto il cammino dell'esodo, non solo gli eventi belli e piacevoli.
    Il cammino è partenza, cioè è far memoria, significa ricordarsi da dove veniamo e che cosa portiamo. Ma significa anche ricordarsi del percorso, cioè ricordarsi che gli ideali devono essere sottoposti alla prova del tempo. Il cammino è durata. Fare memoria significa anche ricordarsi che gli eventi vissuti si sono trasformati passando attraverso occasioni raccolte o perse.
    L'Antico Testamento non ha paura di dire che Dio mette alla prova. Dio mette alla prova attraverso il comandamento, che all'inizio appare come un divieto, ma in seguito diventa un orientamento nuovo al cuore, un desiderio di fare esperienza del bene: il comandamento diventa quindi l'istruzione lungo il cammino, la mappa per non perdersi nel deserto.
    Dio si accosta all'uomo che sente la mancanza di un bene necessario per vivere e lo nutre con un pane particolare, la "manna".
    Vivere l'esperienza della fede significa riscoprire il progetto che il Signore ha su di noi, ritornare all'essenzialità del deserto, che fa emergere i veri bisogni dell'uomo ben oltre il desiderio ossessivo dei beni di consumo e porta a sperimentare che non si vive di solo pane, ma che è necessario affidarsi alla Parola di Dio. Centro della famiglia

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  2. Cerchiamo di capire cosa significhi "sacramento". E' un gesto "sacro", nel senso che rende possibile un rapporto con la forza fondamentale della nostra vita. E' necessaria la nostra fede perché il rito che celebriamo, le parole che diciamo, rendano possibile il rapporto: senza fede non è possibile la relazione e la fede è una scelta, io scelgo di credere.
    L'Eucarestia non è un miracolo, è un sacramento, cioè un gesto simbolico attraverso il quale noi, esercitando la fede, entriamo in relazione con la forza della vita che ci alimenta e ci fa crescere come figli di Dio. E' sacramento di presenza. Più che presenza spaziale è presenza reale e mi spiego.
    La gente che è presente in un autobus, può essere un esempio di presenza spaziale, ma è molto esteriore. Nell'ostia non c'è il sangue e Gesù stesso adesso non ha il sangue, la condizione di risorto non è la nostra condizione. Il sangue della croce non c'è più, è stato sparso, donato.
    (Carla Sprinzeles)

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  3. Ricordare quanto si è vissuto significa anche interpretare alla luce della fede le lezioni divine. Quando si è umiliati e provati dalla vita, non si è lontani da qualche sorprendente esperienza di Dio provvidente e originale nei suoi interventi: come capitò allora al popolo di Dio, dissetato con acqua sgorgata dalla roccia e nutrito con "manna dal cielo".
    Il capitolo 8 di Deuteronomio è uno stupendo doppio canto: il canto del deserto e il canto della terra. Si rappresenta Dio nel deserto come l'educatore, che dà da mangiare a questo piccolo popolo impaurito; gli fa succhiare il miele dalla roccia; gli dà la crema di latte, gli dà il sangue dell'uva. Dio non lascia mancare nulla. Prima di attraversare il Giordano, per entrare nella terra di Canaan, "la terra promessa" dal Signore ai patriarchi, sul monte Nebo, c'è l'esortazione di Mosè. Per quarant'anni nel deserto era stato Dio medesimo a non fare mancare al suo popolo pane, la manna, di cui nutrirsi e acqua per dissetarsi. Il benessere della terra promessa, finalmente raggiunta, potrebbe ora tentare Israele di prendersi l'autonomia da Dio, peccando di orgoglio, come se tutto fosse frutto della propria abilità e del proprio lavoro. Un orgoglio e un'autonomia che non rendono felice l'uomo, bensì lo riducono in solitudine, avendo spento la sua relazione con Dio.
    I "deserti" di Dio non fanno perdere la fede in Dio; lo fanno invece sentire più vicino. Importante è cercare ciò che veramente nutre e disseta l'uomo, ben più che un presunto "benessere"! il pane e la parola che vengono dal Signore.
    La terra promessa non è un luogo della geografia, è l'unità del genere umano. Questa terra promessa ci è stata promessa da Dio e noi ci nutriamo non soltanto dell'amaro pane della nostra tribolazione, ma di ogni parola che viene dalla bocca di Dio. 
    (Carla Sprinzeles)

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  4. La memoria del mio vissuto, mi rafforza della certezza che TU eri e sei sempre al mio fianco.
    Grazie Signore

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  5. Mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue non moriremo più. È un discorso che ci scandalizza, perché sappiamo bene che la nostra fame non si esaurisce, così come la nostra necessità di vita vera. Il modo in cui mangiamo rispecchia il nostro modo di stare al mondo. Mangiare la sua carne, bere il suo sangue, significa quindi assimilare il modo di Gesù di stare al mondo, che è Eucaristia, ringraziamento, comunione, vivere in modo autentico, prendendo, benedicendo, spezzando, condividendo se stessi per altri. Anche accettando la sensazione di squilibrio che questo spezzarsi per gli altri che è vivere comporta.

    Se ci nutriamo del corpo di Cristo, Cristo stesso abita in noi, scorre nelle nostre vene. Se diventiamo ciò che mangiamo allora quello che stavamo cercando è proprio sotto i nostri occhi, nel nostro confine di carne siamo chiamati a vivere di Te.

    Caterina Bruno

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  6. Con il suo «pane vivo» il Signore vive in noi
    Ermes Ronchi

    Nella sinagoga di Cafarnao, il discorso più dirompente di Gesù: mangiate la mia carne e bevete il mio sangue. Un invito che sconcerta amici e avversari, che Gesù ostinatamente ribadisce per otto volte, incidendone la motivazione sempre più chiara: per vivere, semplicemente vivere, per vivere davvero. È l'incalzante convinzione di Gesù di possedere qualcosa che cambia la direzione della vita. Mentre la nostra esperienza attesta che la vita scivola inesorabile verso la morte, Gesù capovolge questo piano inclinato mostrando che la nostra vita scivola verso Dio. Anzi, che è la vita di Dio a scorrere, a entrare, a perdersi dentro la nostra. Qui è racchiusa la genialità del cristianesimo: Dio viene dentro le sue creature, come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo, come corpo dentro l'abbraccio. Dentro l'amore. Il nostro pensiero corre all'Eucaristia. È lì la risposta? Ma a Cafarnao Gesù non sta indicando un rito liturgico; lui non è venuto nel mondo per inventare liturgie, ma fratelli liberi e amanti. Gesù sta parlando della grande liturgia dell'esistenza, di persona, realtà e storia. Le parole «carne», «sangue», «pane di cielo» indicano l'intera sua esistenza, la sua vicenda umana e divina, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno, le sue lacrime, le sue passioni, la polvere delle strade, i piedi intrisi di nardo, e la casa che si riempie di profumo e di amicizia. E Dio in ogni fibra. E poi come accoglieva, come liberava, come piangeva, come abbracciava. Libero come nessuno mai, capace di amare come nessuno prima. Allora il suo invito incalzante significa: mangia e bevi ogni goccia e ogni fibra di me. Prendi la mia vita come misura alta del vivere, come lievito del tuo pane, seme della tua spiga, sangue delle tue vene, allora conoscerai cos'è vivere davvero. Cristo vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a vivere l'esistenza come l'ha vissuta lui. Dio si è fatto uomo perché ogni uomo si faccia come Dio. E allora vivi due vite, la tua e quella di Cristo, è lui che ti fa capace di cose che non pensavi, cose che meritano di non morire, gesti capaci di attraversare il tempo, la morte e l'eternità: una vita che non va perduta mai e che non finisce mai.
    Mangiate di me! Parole che mi sorprendono ogni volta, come una dichiarazione d'amore. «Voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell'intimo tuo come sangue; farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita». Qui è il miracolo, il batticuore, lo stupore: Dio in me, il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola.

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