Salmo del 26 giugno 2020
Sal 137 (136)
"1 Lungo i fiumi di Babilonia,là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
2 Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre,
3 perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
«Cantateci canti di Sion!».
4 Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
5 Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra;
6 mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.
7 Ricòrdati, Signore, dei figli di Edom,
che, nel giorno di Gerusalemme,
dicevano: «Spogliatela, spogliatela
fino alle sue fondamenta!».
8 Figlia di Babilonia devastatrice,
beato chi ti renderà quanto ci hai fatto.
9 Beato chi afferrerà i tuoi piccoli
e li sfracellerà contro la pietra".
Ecco un salmo che descrive l'animo umano dalla nostalgia alla vendetta.
Ogni sentimento è vissuto nella preghiera e affidato al Signore che per fortuna realizza i nostri desideri e ci "vendica" alla sua maniera.
Va pregato tutto, fino in fondo, facendo emergere anche dolori sotterrati, senza vergognarsi o scandalizzarsi. È meglio mettere il nostro cuore ferito e in rivolta tra le mani amorevoli di Dio che gestirlo noi.
Lo Spirito ha preparato per noi questa preghiera e lui ci accompagna nel recitarla e viverla.
"Lungo i fiumi di Babilonia,
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion".
È il racconto di chi è tornato in patria, dopo l'esilio, ma che rivive con amarezza il ricordo della terribile sofferenza patita a Babilonia.
I fiumi, come i monti, erano i luoghi in cui facilmente ci si ritrovava a pregare.
Il salmista dà voce a tutto il gruppo degli esuli che piange e prega ricordando la triste fine di Gerusalemme.
"Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre".
Nessuna voglia di festa, rimane solo il lutto nel cuore, descritto con gli strumenti inutili appesi ai salici di quella terra straniera. Ogni parola trasuda amarezza.
"Perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
«Cantateci canti di Sion!»"
Come sempre accade gli oppressori si impegnano ad aumentare le sofferenze di deportati e prigionieri.
Chiedendo di cantare i canti di Sion, propri del pellegrinaggio al Tempio Santo, gli aguzzini mettono il dito nella piaga della memoria amplificando la nostalgia della patria.
Leggendo queste frasi dense della sofferenza degli ebrei e di denigrazione da parte degli oppressori, mi torna in mente la canzone di Claudio Chieffo "La nuova Auschwitz" che attualizza questo salmo in una vicenda ancor più drammatica.
La stessa richiesta fatta a Babilonia, è stata ripetuta nei campi di concentramento nazisti, ad ebrei che dovevano coprire, cantando e suonando, le grida di morte dei loro fratelli.
"Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?"
Dolorosa domanda che fa prendere coscienza della situazione e del paradosso dell'innalzare i canti al Signore che parlano di appartenenza filiale, di gioia, di libertà e serenità, in una terra amara che non è quella dei padri, della promessa, della dignità di figli.
Una cosa è rimasta agli esuli a Babilonia: la memoria delle opere salvifiche di Dio e tacere per non prostituirsi al diletto di coloro che li opprimevano e schernivano.
"Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra".
Una forte auto-imprecazione che sottolinea la volontà di tenere viva la consapevolezza dell'identità di devoto al Dio vivo.
Il salmista dice: mi si paralizzi la mano destra se rifiutassi di obbedire ai comandi del Signore, se la memoria si dovesse diluire nel tempo per proteggersi dalla sofferenza, dimenticando la città amata!
Egli preferisce il pungolo della dolorosa nostalgia che gli ricorda di essere un esule, piuttosto che adagiarsi in una situazione che non è sua e che lo farebbe cadere nell'idolatria del colosso babilonese e dei suoi idoli.
"Mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia".
Ancora con più forza è preferibile diventare muto, non cantare mai più, con una lingua atrofizzata, se la città del Signore non è messa al primo posto tra le cose da ricercare nella vita.
"Ricòrdati, Signore, dei figli di Edom,
che, nel giorno di Gerusalemme,
dicevano: «Spogliatela, spogliatela
fino alle sue fondamenta!"
Il dolore aumenta al ricordo degli edomiti, fratelli rivali e nemici accesi degli israeliti, che gioivano mentre loro soccombevano, facendo il tifo per i babilonesi e incitandone la violenza.
Popolo confinante, ma rivale di sempre, gli abitanti di Edom rivelano il loro livore verso Israele nel momento in cui l'avanzata di Nabucodonosor saccheggiava la città.
Nemici vicini e lontani esultano per la disfatta del popolo di Dio.
"Figlia di Babilonia devastatrice,
beato chi ti renderà quanto ci hai fatto".
Sul finire di questa dolorosa preghiera il cuore viene fermato dall'odio che proclama beato chi ripagherà gli oppressori con la stessa moneta.
È la preghiera che rimette alla potenza del Signore chi fa il male, affinché viva la stessa situazione e si renda conto, in prima persona, del dolore che sta provocando.
È una preghiera inconfessabile, detta sottovoce, ma che lascia a Dio il compito di vendicare il male subito.
"Beato chi afferrerà i tuoi piccoli
e li sfracellerà contro la pietra".
Versetti tra i più terribili di tutta la Bibbia rivelano in fondo un desiderio che questo popolo nemico si estingua, scompaia.
Il nuovo seme, i bambini nati, vengano uccisi per far sì che questo popolo non esista più.
Anche nella preghiera il dolore e la rabbia possono raggiungere estremi che vanno fatti finire nel cuore paterno di Dio affinché ci curi e ci riconcili con il male che sale dal cuore e ci faccia guardare i nemici con gli occhi suoi.
Proprio qualche giorno fa papa Francesco, parlando dei salmi e di Davide, principale autore, ha affermato:
"Davide, re e profeta, maestro di preghiera.... Suoi sono infatti i Salmi, una raccolta bellissima di canti attraverso i quali Davide esterna i suoi pensieri, e il suo modo di pregare, qualunque cosa gli succeda, buona o cattiva, e così Davide santo, prega; Davide peccatore, prega; Davide perseguitato, prega; Davide persecutore, prega; Davide vittima, prega. Anche Davide carnefice, prega. Questo è il filo rosso della sua vita. Un uomo di preghiera.
Quella è la voce che non si spegne mai: che assuma i toni del giubilo, o quelli del lamento, è sempre la stessa preghiera, solo la melodia cambia.”
Questo fa un uomo di fede: rimette a Dio il suo fardello faticoso e rinuncia a vendicarsi affinché lui ristabilizzi la giustizia.
Un esempio che mette luce questo atteggiamento del credente lo abbiamo in Giobbe, annientato dalle sofferenze che si accumulano nella sua vita e pungolato dagli "amici" che mettono in discussione la sua fede in Dio che ha sempre sentito come alleato.
"Ecco, fin d'ora il mio testimone è nei cieli,
il mio difensore è lassù." (Gb 16, 19)
Il termine usato da Giobbe è "Goel", vendicatore, colui che si assume il compito di riportare la giustizia ad un uomo ingiustamente angariato.
La Scrittura insegna che anche la vendetta, desiderata quando la sofferenza distrugge ogni diritto umano, va affidata al Signore.
Lui saprà vendicare i suoi figli, distruggendo e liberandoci dal male, come gli chiediamo fiduciosi nel "Padre nostro".
"Come cantare i canti del Signore
RispondiEliminain terra straniera?" Il canto, la gioia, la fiducia, certi giorni sono impossibili. La vita non scherza e quando diventa tagliente si rimane muti. Ma la mia condizione di straniero non è temporanea: in questo mondo io sarò sempre straniero come i Padri, come Gesù. Cantare serve a tenere viva la memoria di chi sono e di chi è il mio Signore, non per divertire qualcuno ma per alimentare la speranza. Quando il gioco si fa duro cantare è un segno di rottura, che apre all'attesa di un tempo nuovo. Mi sono preziosi i Salmi, tutti, che alimentano il mio canto quotidiano e con le parole della fede impediscono alla mia speranza di morire.
Non sempre si è consapevoli del male che si fa, involontariamente appunto.
RispondiEliminaC'è chi invece è spudorato nel compierlo.
Tutti e due emettono soprusi.
LUI sa, legge nel cuore...
L'offeso ovviamente soffre allo stesso modo, in tutti e due i casi.
Chi condanna il tiranno?
Signore ti affido le mie disquisizioni, come segno di aiuto interpretativo...
Chi dei due fa veramente il male?
Difendimi dalla sola idea, pensiero, di fare male a qualcuno.
Amen
Questo salmo mi riporta a un passo della lettera agli ebrei:Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria
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