Prima lettura di Domenica 7 giugno 2020

Ricco di amore e di fedeltà
Es 34, 4- 9

"4 Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano.
5 Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore.
6 Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà, 7 che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione».
8 Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò.
9 Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa' di noi la tua eredità»".


La liturgia di oggi tronca l'inizio del v. 4 e omette il versetto 7 che invece mi sembra necessario meditare per cogliere il senso di questa pagina fondamentale dell'Esodo in cui lo stesso Dio vivente proclama il suo Nome santo.
Al roveto Mosè lo ha conosciuto come il Dio dei padri, Abramo, Isacco e Giacobbe (Es 3, 15) e come "Io sono colui che sono!" (Es 3, 14) che dà conforto al nome di Mosè che diventa "Io sarò con te" (Es 3, 12).
Quindi un Dio che si può conoscere solo in una relazione e in un cammino.
Ora davanti all'intransigente Mosè si dispiega tutta la potenza dell'amore e la bellezza di un Nome che solo il Signore può annunciare.

"Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano".
È la seconda salita di Mosè al Sinai. Era sceso con le tavole della legge, scritte con il dito di Dio, esultante per questa "scrittura privata" che diventava uno scritto per tutti, una rivelazione mai vista prima.
Ma aveva trovato il popolo che, in preda all'euforia idolatrica, festeggiava un vitello d'oro, fatto dalle loro stesse mani, in sostituzione di quel Dio inafferrabile che li aveva liberati dalla schiavitù del faraone.
Mosè preso dall'ira, dopo aver spezzato le tavole su cui Dio aveva scritto i comandamenti, aveva massacrato quelli colpevoli di idolatria, facendo una carneficina! (cfr. Es 32, 28)
Ma il Signore non cambia i suoi progetti: all'inizio del cap. 34, gli comanda di tagliare altre due tavole di pietra e di tornare sul monte per riavere la legge in dono.

"Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore".
Il Signore scende, si ferma e proclama: tre verbi che parlano della vicinanza di Dio e della cura che continua ad avere per questo popolo nonostante gli sia infedele.
Proclama il Nome, quel nome impronunciabile per gli uomini, ma che il Signore vuole che conoscano.
La Voce proclama e Mosè ascolta: è questo il modo che Dio ha scelto per far nascere e crescere la fede del popolo.

"Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà»".
Parole meravigliose che Mosè ascolta con un groppo alla gola visto quello che ha appena fatto ai suoi fratelli!
Dio si autodefinisce misericordioso e pietoso, è il suo stile, il suo modo di avvicinarsi agli uomini e di accoglierli nella sua comunione.
Lento all'ira e ricco di amore e fedeltà: le seconde prevarranno sempre sulla prima, cioè l'ira è il pensiero di un attimo, l'amore è per sempre.
Se l'ira cammina come una lumaca, l'amore e la fedeltà corrono come una saetta: arriveranno sempre loro alla meta!

"Che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione".
Il versetto che la liturgia omette merita di essere letto al rallenty, senza passarci sopra come ci suggerirebbe la paura davanti a "minacce" che ci terrorizzano!
Il castigo di Dio, la sua punizione? Stando alla lettera arriva al massimo fino alla quarta generazione, cioè rimane localizzata dal capofamiglia al pronipote.

Io lo leggo come la consapevolezza di chi commette un peccato e si rende conto che le conseguenze non sono un peso solo per se stesso, ma si ripercuotono dolorosamente sui propri cari.
Dio mette in guardia: il peccato è una lacerazione profonda che inquina la tua esistenza e quella di chi è affidato a te. Guardati dal compierlo per non aprire una ferita che ti porterai dietro per sempre.
Ma l'amore di Dio? E' assicurato per il futuro, quando non ci saremo più, ma la nostra discendenza godrà e vivrà di un tale dono che porta fecondità per mille generazioni, come dire: per sempre!
L'amore sovrabbonda e perdona tutto: "la colpa, la trasgressione e il peccato"!

"Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò".

Il silenzio adorante di Mosè rivela quanto profondamente questa proclamazione abbia penetrato il suo cuore.
Lui è stato senza misericordia verso i suoi fratelli e ora il Signore gli rivela che lui e tutta l'umanità ne riceveranno senza limiti.
Mosè voleva difendere Dio e lui, l'offeso dall'idolatria, protegge loro dagli effetti del peccato!
Se la prima volta sul Sinai Mosè si era prostrato per paura, come davanti ad un dio-faraone, impossibile da avvicinare e guardare, qui si curva toccando la sua terra, il suo limite, ma sovraccarico di perdono gratis, di amore mai immaginato!

"Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa' di noi la tua eredità»".

Mosè non parla solo di sè: davanti all'unico Signore una cosa sola chiede,che egli cammini ancora e per sempre con il suo popolo.
Lo ha scoperto nella sua originalità: Dio che non se ne sta nell'alto dei cieli ma si coinvolge nella storia polverosa e piena di sofferenza dell'umanità.
E davanti al Signore che ha già proclamato il suo perdono Mosè trova il coraggio di chiedere perdono. È proprio così: solo chi si scopre già perdonato trova la forza e la gioia di chiederlo con fiducia! Il perdono ci precede e, quando lo scopriamo, ci accoglie.

Tanti spunti per la nostra riflessione personale ci vengono da questo brano così ricco di Vangelo!
Sorprende che un Dio inafferrabile dica di sé così tanto, che desideri e cerchi tutti i modi per farsi conoscere dai suoi figli.
Il nome rivelato è una crepa in quell'impassibilità che gli uomini immaginavano essere in lui. Non sarà più l'inconoscibile e, quindi, l'inafferrabile; si fa conoscere per quello che è, amante e quindi debole, conquistabile da chi lo ama!
Avrà un volto: quello di chi ha condotto i padri e ha condotto Mosè, un volto che a guardarlo bene si vede misericordia, compassione, amore, fedeltà, pazienza, magnanimità verso i suoi figli.

Il Salmo 103 contempla lo stesso volto:
"Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore. Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno. Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe" (Sal 103, 8-10).
Più di tremila anni fa è già rivelato che l'amico di Mosè è Padre, quello che Gesù ci rivelerà pienamente e senza nessun dubbio!
Come Padre mette i suoi figli avanti a sé, è disposto a perdonarli ogni volta e porta pazienza "non volendo che alcuno perisca" (1Pt 3, 9).

Commenti

  1. Sul Sinai il Signore rivela un impensabile aspetto della sua identità misteriosa: egli resta fedele e misericordioso verso il suo popolo, a questa gente di "dura cervice", Dio non mancherà di essere presente e di camminare davanti ad essa! E' la terza volta - secondo il libro dell'Esodo - che il Signore proclama la sua identità misteriosa, in rapporto ad Israele. Precedentemente egli aveva rivelato al roveto ardente del Sinai, dichiarandosi redentore dalla servitù egizia, garante e guida di Israele verso la terra di Canaan, promessa ai loro padri. Poi i redattori dell'Esodo fanno pronunciare a Dio una seconda autopresentazione dal Sinai, all'atto di promulgare solennemente il decalogo: egli è un Dio geloso..., ma anche ricco di bontà verso quelli che lo amano... Finalmente a Mosè, che si attendeva gli effetti della gelosia divina, dopo il peccato grande di idolatria da parte di Israele, Dio fa la sorpresa di un nuovo tratto della sua identità misteriosa: il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà!
    (Carla Sprinzeles)

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  2. Oggi la liturgia ci presenta il mistero centrale della nostra vita, che è il mistero di Dio, che è uno solo: come sappiamo noi adoriamo un solo Dio. Tuttavia è una ricchezza tale, cioè è qualcosa nella vita così profonda e articolata, che è dinamismo continuo, per cui quando si traduce nel tempo diventa "il Dio che è, che era e che viene". Perché noi viviamo il rapporto con Dio nel tempo "tenendo fisso lo sguardo su Gesù". Per cui è un rapporto distinto quello che abbiamo con Dio, che ci viene dal passato, che attendiamo dal futuro e che ora qui, in questo momento, è il principio e la fonte di quel dono di vita che ci attraversa e ci fa crescere come figli suoi.
    Dio è energia operante, in azione continua, che si esprime con modulazioni diverse, del passato, del futuro e del presente e diventa in noi relazione, esigenza necessaria, perché senza relazioni non viviamo. Affermare che Dio è Trinità vuol dire che c'è un passato da accogliere - un passato dell'umanità intera - in cui la Parola si è espressa; c'è un futuro da attendere insieme; e c'è soprattutto un presente da vivere nelle relazioni profonde con le persone, coi popoli, con le culture. Ogni ferita che noi infliggiamo alle relazioni tra le persone, tra i popoli, tra le culture, tra le religioni è un impedimento che poniamo allo sviluppo della specie umana, è contro la storia degli uomini. Riconoscere che Dio è uno e molteplice vuol riconoscere che in gioco nella storia c'è un'energia in azione da accogliere attraverso la molteplicità delle relazioni, nel rispetto pieno delle sue manifestazioni anche attraverso altre culture e religioni.
    Per balbettare qualcosa sulla Trinità possiamo dire: la Parola che accogliamo dal passato e che ricordiamo e che narriamo; lo Spirito che attendiamo dal futuro, lo attendiamo continuamente, perché ne abbiamo continuamente bisogno, e tutto questo nell'istante presente vissuto di fronte all'Eterno, accogliendo quel dono che qui e ora ci è offerto, per cui possiamo crescere come figli di Dio, facendo fluire il dono, cioè offrendolo ai fratelli.
    Non possiamo definire Dio in sé, noi descriviamo il rapporto con Lui. Diciamo Padre per il presente; Parola, Figlio per il passato; Spirito per l'azione di Dio che attendiamo dal futuro.
    (Carla Sprinzeles)

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  3. Mosè ha capacità umane, porta quello che ha nel cuore e quindi la sua aspettativa è frutto del suo contenuto.
    DIO lo(ci) sbalordisce, quello che DONA non lo può (possiamo) contenere!
    Grazie

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