Salmo di domenica 21 giugno 2020


Per te io sopporto
Sal 69 (68), 1-10

"1 Al maestro del coro. Su «I gigli». Di Davide.

2 Salvami, o Dio:
l'acqua mi giunge alla gola.

3 Affondo in un abisso di fango,
non ho nessun sostegno;
sono caduto in acque profonde
e la corrente mi travolge.

4 Sono sfinito dal gridare,
la mia gola è riarsa;
i miei occhi si consumano
nell'attesa del mio Dio.

5 Sono più numerosi dei capelli del mio capo
quelli che mi odiano senza ragione.
Sono potenti quelli che mi vogliono distruggere,
i miei nemici bugiardi:
quanto non ho rubato, dovrei forse restituirlo?

6 Dio, tu conosci la mia stoltezza
e i miei errori non ti sono nascosti.

7 Chi spera in te, per colpa mia non sia confuso,
Signore, Dio degli eserciti;
per causa mia non si vergogni
chi ti cerca, Dio d'Israele.

8 Per te io sopporto l'insulto
e la vergogna mi copre la faccia;

9 sono diventato un estraneo ai miei fratelli,
uno straniero per i figli di mia madre.

10 Perché mi divora lo zelo per la tua casa,
gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me".


I Salmi ci affascinano per le lodi al Signore, lo sguardo credente sulla creazione e sulla storia, la meraviglia che scopre nelle piccole cose la salvezza. Ma sono preghiere di ogni giorno e non nascondono la crudezza della vita.
Anche in momenti bui la preghiera della Scrittura ci aiuta, forse proprio nelle tenebre le parole si fanno più profonde e incisive.
È questo il caso del salmo 69, in cui la voce di un povero, probabilmente un perseguitato in tribunale da accusatori bugiardi, si innalza al Signore per non soccombere.

"Salvami, o Dio:
l'acqua mi giunge alla gola.
Affondo in un abisso di fango,
non ho nessun sostegno;
sono caduto in acque profonde
e la corrente mi travolge".

L' immagine terribile di chi sta per annegare dice la serietà del problema. Rischia di perdere il fiato che il Signore gli ha donato, soffiandolo nelle sue narici, come una levatrice che lo ha tolto dalle acque "amniotiche", che lo ha tratto dalle tenebre per farlo venire alla luce.
Ma adesso non ha un appoggio stabile, i suoi piedi sono impantanati in una palude e sa che di lì a poco sarà travolto.
Le acque limacciose e oscure ricordano l'abisso primordiale di Gn 1, 1 che la parola e lo Spirito fecondante hanno dischiuso alla luce.
E' con un piede nella fossa e al Signore leva l'ultimo grido sperando solo nella sua salvezza.

"Sono sfinito dal gridare,
la mia gola è riarsa;
i miei occhi si consumano
nell'attesa del mio Dio".

La Scrittura sottolinea spesso che il Signore ha orecchie attente al grido dei miseri, degli schiavi, dei diseredati.
E' come se solo lui riuscisse a sentire quello che una preghiera estrema esprime in "gemiti inesprimibili"! (cfr. Rm 8, 26)
La preghiera incessante, perseverante, diventa più faticosa per la grande fatica di rimanere a galla nella sofferenza.
La situazione drammatica è affrontata con la fede; per questo l'attesa non viene meno.

"Sono più numerosi dei capelli del mio capo
quelli che mi odiano senza ragione.
Sono potenti quelli che mi vogliono distruggere,
i miei nemici bugiardi:
quanto non ho rubato, dovrei forse restituirlo?"

Tanti e potenti sono i nemici che ingiustamente si scagliano contro di lui; sono più numerosi dei capelli che già non riesce a contare!
Lo accusano di un furto che non ha commesso rendendo difficile ogni difesa. Solo il Signore può intervenire in un giudizio e vincere di fronte a falsi testimoni, come già successo nella storia di Susanna (cfr. Dan 13).

"Dio, tu conosci la mia stoltezza
e i miei errori non ti sono nascosti".

I salmi sono onesti: pur se il fedele si sente perseguitato da falsi accusatori, non nega di essere anche lui un peccatore.
Questo è il modo giusto per guardare la propria vita: davanti al Signore riconosce di avere bisogno del perdono.
È bella questa serena fiducia di un peccatore che chiede sapendo che niente gli è dovuto e che anche lui è graziato nonostante sia senza sapienza, senza poter giudicare la realtà e anche i nemici in modo imparziale.

"Chi spera in te, per colpa mia non sia confuso,
Signore, Dio degli eserciti;
per causa mia non si vergogni
chi ti cerca, Dio d'Israele".

È un argomento che ricorre spesso nei salmi: la fede non è solo un fatto privato, personale. Coinvolge la comunità e la sconfitta di chi si affida a Dio sarebbe un grave colpo per i giusti nel popolo che cercano sostegno anche dalla sua testimonianza.
La responsabilità davanti ad altri credenti lo spinge a cercare giustizia nel Signore e non a farsela da solo, magari ricorrendo agli stessi mezzi falsi per piegare un giudizio in suo favore.

"Per te io sopporto l'insulto
e la vergogna mi copre la faccia;
sono diventato un estraneo ai miei fratelli,

uno straniero per i figli di mia madre".
La preghiera ci fa cogliere il sentimento profondo e intimo di questo uomo che si sente sbeffeggiato e solo!

La sua fedeltà alla religione dei padri gli costa insulti ed emarginazione, ma non molla, non cede alle facile soluzione del "si salvi chi può", neanche se a proporgliela sono proprio coloro che fanno parte dei suoi affetti più cari.

"Perché mi divora lo zelo per la tua casa,
gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me".

L'amore e la sollecitudine per il servizio al Tempio gli dà la forza di sopportare gli oltraggi di quanti non condividono o non credono che egli vive per il Signore.
Queste parole sono riportate nel Vangelo di Giovanni quando Gesù compie il gesto che tutti attendevano dal Messia, sottraendo il culto all'esteriorità del mercanteggiare per riportarlo ad un rapporto personale col Signore (cfr. Gv 2, 13-17).


Gesù ha vissuto su di sé gli stessi sentimenti di questo fedele perseguitato. E' vero, la corrente e il fango sembravano travolgerlo e la sua testimonianza come l'inviato del Padre gli è costata l'accusa di essere sacrilego e contro il popolo.

Ma il rimettere tutto nelle mani del Padre gli ha dato la forza di ergersi solo, incompreso anche dai suoi amici e parenti, davanti al tribunale fatto di stolti che lo vedevano come un ladro che voleva rubare la sua uguaglianza con Dio (cfr. Fil 2, 6).
La preghiera di questo salmista, pensata sulle labbra del Cristo, diventa ancora di più certezza che il Signore trae dalla fossa colui che a lui si affida.

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Commenti

  1. "Dio, tu conosci la mia stoltezza
    e i miei errori non ti sono nascosti". È una parola liberante! Se Adamo avesse avuto questa certezza non si sarebbe nascosto da Dio. Sapersi conosciuti nell'intimo dal Signore ci libera dalla fatica di avere strategie per tenere nascosto il nostro male. Mi ripeto questa parola quando il mio cuore comincia a girare a vuoto sentendo il fallimento che deriva dal peccato. Non mi devo rendere più bello di quello che sono davanti al Signore. Lui mi conosce, io mi riconosco davanti a lui, e tutto cammina in direzione del perdono suo e mio, per la mia stoltezza e i miei errori.

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  2. Un Padre che conosce, nell'intimo, i propri figli ci libera dalle maschere che indossiamo per sembrare persone diverse. Il Signore che ascolta il grido di aiuto se non fossimo così diffidenti ci abbandoneremo tra le braccia di nostro Padre

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  3. Un uomo che ha commesso una colpa non sa più dove sfuggire. La propria coscienza gli rimorde… da tutto può allontanarsi... ...ma non si può sfuggire a se stessi. Non resta altro che pregare il Padre chiedergli di perdonare gli errori, le mancanze, i peccati… Questo salmo esprime tutta la supplica di questa preghiera… una supplica straziante e piena di tante sfumature. Dove il peccato commesso, la nostra colpa ci sovrasta… ci sommerge… ...sembra toglierci il fiato perché sembra che ci affoghi. Ciò che abbiamo fatto fa si che gli altri vedano attorno a noi tutte le brutture, siamo come nel fango. E nessuno più ci ama, sembrano tutti giudici pronti a volere la nostra morte e tutti sembrano sparlare e deriderci… Cristo stesso volle farsi peccato, fu disposto a morire da infame sulla croce perché il peccato potesse essere crocefisso ed essere estinto…

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  4. Grazie Signore per quello che mi perdoni, per capire la mia fragilità perenne, di struttura.
    Di accettarmi, come sono.

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