Prima lettura del 3 ottobre 2020

Perciò mi ricredo
 
Gb 42, 1-3.5-6.12-16

"Giobbe prese a dire al Signore:
«Comprendo che tu puoi tutto
e che nessun progetto per te è impossibile.
Chi è colui che, da ignorante,
può oscurare il tuo piano?
Davvero ho esposto cose che non capisco,
cose troppo meravigliose per me, che non comprendo.
Io ti conoscevo solo per sentito dire,
ma ora i miei occhi ti hanno veduto.
Perciò mi ricredo e mi pento
sopra polvere e cenere».
Il Signore benedisse il futuro di Giobbe più del suo passato. Così possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. Ebbe anche sette figli e tre figlie. Alla prima mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Argentea. In tutta la terra non si trovarono donne così belle come le figlie di Giobbe e il loro padre le mise a parte dell’eredità insieme con i loro fratelli.
Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant’anni e vide figli e nipoti per quattro generazioni. Poi Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni".


Una lotta lunga contro un falso volto di Dio ha permesso a Giobbe di scoprire quello vero.
Giobbe, che si credeva sapiente parlando di Dio, alla fine della vita si tappa la bocca davanti a un mistero più grande di lui. Sono le scoperte di lunghe notti di dolore, prostrato in preghiera, di giorni di discussioni con teologi saccenti.
Ora finalmente tira le conclusioni e l'esperienza del Dio vivente sgorga dal suo cuore con la consapevolezza di non essere lui rivelazione, ma di essere stato ricolmato da colui che si rivela!

"Comprendo che tu puoi tutto
e che nessun progetto per te è impossibile".
È un punto fermo, imprescindibile: non possiamo misurare Dio con le nostre possibilità e criteri.
Il Vangelo parte con un angelo che ricorda ad una ragazza di Nazareth che "nulla è impossibile a Dio" (Lc 1, 37), per aprire alla novità delle possibilità del Padre che sconvolgeranno tutte le riflessioni della religione e della teologia.
Un Dio mosso da giustizia umana a misura di ragionevolezza nostrana è un idolo, anche quando a parlarne è un teologo. E Giobbe comprende alla fine della vita quanto i progetti di Dio lo abbiano stupito e superato.

"Chi è colui che, da ignorante,
può oscurare il tuo piano?
Davvero ho esposto cose che non capisco,
cose troppo meravigliose per me, che non comprendo".

È quello che spererei di sentir dire a filosofi e teologi che "spiegano" Dio con tanta sicurezza!
Riconoscersi ignoranti del mistero, coscienti che tante cose non le capiremo mai, lasciarsi sorprendere dalla meraviglia, è diventare sapienti perché"sapere di non sapere è saggezza suprema" (Lao Tse).

"Io ti conoscevo solo per sentito dire,
ma ora i miei occhi ti hanno veduto".
L'esperienza di Giobbe era iniziata con una speranza:
"Io lo vedrò, io stesso,
i miei occhi lo contempleranno e non un altro" (Gb 19,27).

La sua vita finisce con la consapevolezza che se prima lo conosceva solo per la parola di altri, ora lo conosce personalmente.
L'esperienza della maturità nella fede è passare dal sentito dire, alla visione personale, alla preghiera intima che ci apre alle soglie del mistero.

"Perciò mi ricredo e mi pento
sopra polvere e cenere".

Il vero sapiente non si ritiene infallibile, riconosce la necessità di andare oltre le proprie convinzioni per cogliere il nuovo che il volto di Dio gli rivela.
Ricredersi per credere è la necessità di ogni uomo che esce dalla sua limitatezza e precarietà per tuffarsi in colui che diventa la sua stabilità, la vita che non muore.

"Il Signore benedisse il futuro di Giobbe più del suo passato".
La nostra del pio Giobbe volge al termine; egli è veramente quel giusto amato su cui il Signore aveva scommesso. La benedizione che lo invade adesso non ha paragone con la precedente.
Tutto gli viene restituito e decuplicato, segno che l'immutato rapporto amichevole con il Signore non era un'illusione ma la sua roccia, il suo rifugio.

"Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant’anni e vide figli e nipoti per quattro generazioni".
La lunga vita era per gli antichi segno inequivocabile della benedizione del Signore. Giobbe alla fine può riposarsi, "vecchio e sazio di giorni".
La qualità della vita, lunga e piena, si misura nella completezza a cui nulla si può più aggiungere, perché il Tutto, Dio, è stato raggiunto.

La sapienza non è confermare le proprie convinzioni, è ricredersi, convertirsi, piegarsi alla realtà che non avevamo scorto e che, nelle difficoltà della vita, pian piano si mostra. Passare dalle proprie sapienze vane a quella del Signore che tutto può, è spogliarsi della propria incapacità, per rivestirsi di Cristo, perdere per trovare l'Amore.
Ricredersi per non credere più a se stessi ma all'Altro, è la meta, è vita.
Beato l'uomo che muore polvere e cenere, libero di se stesso e pieno del Padre.

Commenti

  1. "Io ti conoscevo solo per sentito dire,
    ma ora i miei occhi ti hanno veduto". Mi viene consegnato il cammino da compiere: dal sentito dire, nell'annuncio, all'esperienza. Mi viene donata una promessa: i miei occhi vedranno. Mi viene chiesto un passaggio: dalle orecchie al cuore. Mi viene mostrato un mistero: una Parola mi guida alla visione. Mi viene condivisa una sapienza: devo ancora camminare umilmente nella fede. Mi viene riaccesa la speranza!

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  2. Il Signore benedisse il futuro di Giobbe più del suo passato...
    Si sei sempre presente, non giochi con la vita, sei fedele
    SEMPRE
    Difficile dimenticarti
    Vero?
    Fa che non mi distolga da questa TUA maestosa ed al tempo stesso, VIVA, VERA presenza❤️

    RispondiElimina

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