Prima lettura del 7 ottobre 2020

Per non correre invano
Gal 2, 1-2. 7-14

"Fratelli, quattordici anni dopo [la mia prima visita], andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Bàrnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito a una rivelazione. Esposi loro il Vangelo che io annuncio tra le genti, ma lo esposi privatamente alle persone più autorevoli, per non correre o aver corso invano.
Visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti –, e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi. Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare.
Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia.
Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?»"


Un problema che ha tenuto impegnato Paolo e la chiesa delle origini è stato quello di trovare nuovi modi di evangelizzazione con i pagani convertiti. Bisognava farli circoncidere? Dovevano osservare le regole dell'ebraismo?
Per Paolo, che aveva reciso la sua appartenenza ebraica per abbracciare completamente il nuovo portato da Cristo, era chiaro che la chiesa non dovesse essere legata alle regole morali e liturgiche passate, né tanto meno che fosse necessaria la circoncisione come segno di appartenenza alla nuova comunità dei credenti.
Il brano della liturgia di oggi ci fa cogliere quanto il problema turbasse la comunità.
Ai Galati parla del momento cruciale in cui torna a Gerusalemme per verificare la correttezza del suo annuncio con gli altri apostoli rimasti nella città santa.

"Andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Bàrnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito a una rivelazione".
Paolo non è del gruppo dei dodici che hanno seguito Gesù e sente il bisogno di sottoporre al loro discernimento ciò che annuncia.
Una rivelazione lo spinge: è lo Spirito che discerne i cuori e lo manda alla comunità affinché si confronti, contagi del suo ardore gli altri apostoli e ne esca rafforzato, insieme a due dei suoi compagni, per continuare la corsa missionaria.

"Esposi loro il Vangelo che io annuncio tra le genti, ma lo esposi privatamente alle persone più autorevoli, per non correre o aver corso invano".
Ha una sola preoccupazione: di non correre invano, cioè di non essere portatore di un'idolatria, un messaggio che viene dalle sue convinzioni e non dal Cristo.
Paolo è stato in fariseo zelante e non vuole rischiare di mischiare la cultura nella quale è stato educato con ciò che gli è stato rivelato come Vangelo del Regno.

"Visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti".
C'è chiarezza sulle diverse metodologie su cui si muovono gli apostoli: a Pietro è stato affidato il Vangelo per i convertiti dal mondo ebraico (i circoncisi) e a Paolo l'evangelizzazione del mondo pagano (i non circoncisi). In tutte e due i casi una sola è la via ed entrambi sono mossi dal volere dello stesso Signore che aveva affidato missioni diverse per raggiungere la diversità di tutti.

"Riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi".
Le colonne della chiesa sono un trio che conosciamo bene dal Vangelo: sono coloro che Gesù ha scelto nell'esperienza della trasfigurazione e in altre occasioni. È nominato per primo Giacomo, capo effettivo della comunità di Gerusalemme e sostenitore della necessità di imporre ai pagani convertiti alcune usanze del mondo ebraico.
Tutti e tre lo confermano nell'ortodossia del suo annuncio e non gli fanno nessun appunto, se non ricordargli la carità verso i poveri. Paolo ha onorato questa richiesta promuovendo collette a favore dei disagiati, di cui si trovano tracce nelle sue lettere.

"Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto".
Il primo storico scontro tra i due apostoli, viene ricordato da Paolo per sottolineare che il problema del rapporto tra ebraismo e cristianesimo non era certo risolto.
L'apostolo delle genti non ha nessuna remora nell'opporsi al capo della comunità, riconoscendo in lui un'ambiguità, un tentennamento nel comportamento perché non sapeva che pesci prendere!
Il suo intento non è sfiduciare Pietro, ma riportarlo alla verità che entrambi conoscevano.

"Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi".
Ecco che entra in gioco il peso di Giacomo che noi diremmo di stampo tradizionalista. Pietro per non urtare la sensibilità di questa corrente, cambia il suo atteggiamento allontanandosi dai pagani, mentre prima, spinto dallo Spirito (cfr. At 10, 1-35) li frequentava senza farsene problema.

"E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia".
Chiama simulazione, ipocrisia, finzione da attori, questo comportamento in cui cade persino il suo più stretto collaboratore, Barnaba, non certo sostenitore della circoncisione e delle tradizioni ebraiche.

"Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?»".
Un missionario rimprovera apertamente, davanti alla comunità, il Papa in persona, richiamando l'attenzione sul fatto che fosse ingiusto imporre ad altri cose che neanche Pietro stesse più osservando.
Probabilmente il desiderio di non inasprire le posizioni dei convertiti, dalla parte ebraica e da quella pagana, faceva stare in bilico tra le due visioni della fede, aumentando la tensione.

È una scena che ci mostra la chiesa primitiva segnata da problemi e incomprensioni come le comunità di tutti i tempi.
Una comunità idilliaca e senza grossi drammi non è mai esistita e neanche quella di Gesù con gli apostoli lo era.
La comunità è un luogo di riconciliazione e di comunione sempre da ricostruire. Il nostro astratto perfezionismo spesso ci fa allontanare dagli altri o ci fa spostare di comunità in comunità, nella speranza utopica di trovare un giorno quella perfetta.
Il Vangelo è novità e apertura alla fede, riscattata dal sangue di Cristo che l'ha liberata da usanze umane e da tradizioni religiose cultuali e meritocratiche.
Paolo ci dà un bel criterio di discernimento: costruire un castello di norme che fa sentire sicuri e che dovrebbe proteggere dal male del mondo, è un rischio di tutti. Il confronto con i fratelli è vitale, sia per noi che per gli altri.
Nella fede nessuno è Maestro (cfr. Mt 23, 10), ma tutti discepoli del Cristo, e questo lo sa anche il Papa.
Chi vuol essere il primo, chi è spinto dallo Spirito a guidare la comunità, si faccia servitore (cfr. Mc 10, 43-44), si metta in basso, nell'atteggiamento del discepolo, per continuare ad imparare alla scuola del Vangelo.

Commenti

  1. Ci sono parole nella lettera di Paolo che mi colpiscono: andai di nuovo...in seguito a una rivelazione... Esposi il Vangelo che io annuncio...a me era stato affidato... Riconoscendo la grazia di Dio a me data... Ci pregarono di ricordarci dei poveri... Un itinerario, un percorso, un cammino ben delineato con chiarezza. Grazie

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  2. Tutto è abbastanza duro da leggere in questo brano.
    È un mio pensiero.
    Quello che mi rimane è ASCOLTARE il passo.
    Farlo. Mio. Digerirlo.
    Ci provo, non da solo, ma con TE o mio sostenitore.

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  3. "Per non correre o aver corso invano". È la paura di ogni avventura, di ogni progetto, di ogni vocazione. Quanto lavoro per dare senso al nostro fare. Quante garanzie ricerchiamo in noi e intorno a noi. Ma il rischio del correre invano va ridotto, annullato, affrontato, coma fa Paolo a Gerusalemme davanti agli altri apostoli. Non teme di farsi verificare, non teme il discernimento sulla sua opera, non teme il loro giudizio sul suo fare. Teme molto di più il correre invano. La nostra corsa in questo mondo va continuamente rinverdita, rifondata nel suo senso più profondo. Non ha senso la superficialità di chi non si ferma e non si interroga. Non ha senso evitare il confronto e il discernimento. Il correre invano è la più terribile delle umiliazioni. Il correre invano renderebbe vano ogni passo durante questa corsa. Correre necessita di una meta e di un riposo finale. Più è faticosa la corsa più merita una meta grande. La grandezza e la bellezza della meta tagliano la testa al rischio del correre invano.

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  4. Il correre invano è non vivere....

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