Salmo del 4 maggio 2020

L'anima mia anela a te
Salmo 42 (41)

"1 Al maestro del coro. Maskil. Dei figli di Core.

2 Come la cerva anela
ai corsi d'acqua,
così l'anima mia anela
a te, o Dio.

3 L'anima mia ha sete di Dio,
del Dio vivente:
quando verrò e vedrò
il volto di Dio?

4 Le lacrime sono il mio pane
giorno e notte,
mentre mi dicono sempre:
«Dov'è il tuo Dio?».

5 Questo io ricordo
e l'anima mia si strugge:
avanzavo tra la folla,
la precedevo fino alla casa di Dio,
fra canti di gioia e di lode
di una moltitudine in festa.

6 Perché ti rattristi, anima mia,
perché ti agiti in me?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

7 In me si rattrista l'anima mia;
perciò di te mi ricordo
dalla terra del Giordano e dell'Ermon,
dal monte Misar.

8 Un abisso chiama l'abisso
al fragore delle tue cascate;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.

9 Di giorno il Signore mi dona il suo amore
e di notte il suo canto è con me,
preghiera al Dio della mia vita.

10 Dirò a Dio: «Mia roccia!
Perché mi hai dimenticato?
Perché triste me ne vado,
oppresso dal nemico?».

11 Mi insultano i miei avversari
quando rompono le mie ossa,
mentre mi dicono sempre:
«Dov'è il tuo Dio?».

12 Perché ti rattristi, anima mia,
perché ti agiti in me?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio"


La liturgia di oggi propone, per il Salmo responsoriale, versetti presi dai salmi 42 e 43, che in effetti, come tema e continuità nella preghiera sono un tutt'uno.
Oggi noi ci soffermeremo sul Salmo 42, un canto nelle tenebre della sofferenza, un colloquio tra il proprio intimo e Dio, cercando sprazzi di luce che si intravedono ma che si alternano a momenti di angoscia per il futuro.

"Come la cerva anela
ai corsi d'acqua,
così l'anima mia anela
a te, o Dio"

L'attacco del salmo è di una bellezza che colpisce come una delle più belle poesie d'amore!
E' il desiderio intenso che spinge alla ricerca dell'amato con la stessa intensità della ragazza del Cantico dei Cantici.
Dio è in cima alla scala dei desideri di questo credente che si sente assetato della sua vicinanza e del suo conforto.

"L'anima mia ha sete di Dio,
del Dio vivente:
quando verrò e vedrò
il volto di Dio?"

È la preghiera accorata dell'esiliato, lontano dalla sua terra, dalla Gerusalemme in preghiera, dal Tempio in cui si sentiva avvolto dalla presenza di Dio.
La nostalgia di Dio è un vero tormento e l'attesa di rivederne il volto mantiene accesa la speranza.
Al v. 5 egli fa memoria dell'intensità del pellegrinaggio, con la moltitudine immensa dei fratelli che salivano festosi al Tempio e lui la precedeva nel desiderio di arrivare prima possibile alla casa di Dio.

"Le lacrime sono il mio pane
giorno e notte,
mentre mi dicono sempre:
«Dov'è il tuo Dio?».

Il salmista anela a dissetarsi di Dio e invece trova da bere solo lacrime amare.

L'attesa è resa dolorosa dallo scherno di chi deride questo desiderio e lo provoca sottolineando che se Dio fosse suo amico non verserebbe in una tale situazione di prostrazione.
La stessa domanda cinica ritorna al v. 11 e diventa l'aggravante della sofferenza provocata da avversari che si accaniscono rompendogli le ossa, massacrandogli corpo e spirito.
Alle fatiche interne si aggiungono le frecciate esterne. I nemici così lo feriscono sia fisicamente che moralmente. È una sofferenza totale che non lascia scampo e che spinge ancora di più il credente a ricercare un aiuto nel Signore.
Il nostro pensiero associa questo uomo martoriato al Cristo, condannato ingiustamente e deriso per la sua fede nel Padre; i suoi aguzzini gli si accanivano non solo fisicamente inchiodandolo alla croce, ma mettendo in dubbio che il Padre lo ascoltasse visto che lo lasciava morire in quel modo ignobile.


"Perché ti rattristi, anima mia,
perché ti agiti in me?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio"

In un bellissimo dialogo interiore il salmista si fa coraggio e riaccende la speranza di stare ancora alla presenza del Signore e lodarlo.
E' da sottolineare la preziosità di questo dialogo interiore: non è allontanandosi dai problemi che si trova pace, ma affrontandoli alla luce della fede nel Signore che salva.


"In me si rattrista l'anima mia;
perciò di te mi ricordo
dalla terra del Giordano e dell'Ermon,
dal monte Misar".

Il ricordo ha però anche una tonalità di tristezza per la lontananza difficile da colmare. Il salmo esplora le tante sofferenze di questo credente che trasforma in preghiera anche la nostalgia della sua terra.


"Un abisso chiama l'abisso
al fragore delle tue cascate;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati".

L'immagine dell'abisso, che si aggiunge agli altri abissi di sofferenza, è eloquente della situazione drammatica di questo esule. Profondità e tormento violento gli impediscono di vivere nella serenità che pure cerca con tutte le due forze. Addirittura anche il Signore sembra travolgerlo con pesi che gravano come onde tumultuose.


"Di giorno il Signore mi dona il suo amore
e di notte il suo canto è con me,
preghiera al Dio della mia vita".

Torna la consapevolezza del sostegno del Signore e si abbandona al suo conforto giorno e notte. E' lontano dal Tempio ma la preghiera lo lega con un legame inscindibile al Dio della sua vita.


"Dirò a Dio: «Mia roccia!
Perché mi hai dimenticato?
Perché triste me ne vado,
oppresso dal nemico?

Perché ti rattristi, anima mia,perché ti agiti in me?»"
Nell'altalenare dei sentimenti riprende spazio il dolore per la distanza di Dio. A lui affida la sua afflizione che il nemico gli procura.
Risuona tre volte questo "Perché" che noi conosciamo bene e che affiora sulle nostre labbra quando la paura di un futuro senza scampo ci opprime.


Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio"

Nonostante il combattimento interiore sia intenso, la speranza e la fiducia hanno la meglio. Tristezza e agitazione devono preparasi a lasciare il campo alla lode e all'esperienza di salvezza. Il futuro è, come il presente, nelle mani di Dio e tornerà il tempo della preghiera festante.


In questo Salmo si alternano grido di aiuto e canto di lode continuamente perché è un quadro realistico del nostro cuore di fronte alle vicende della vita, fatta di sofferenze e consolazioni che non scegliamo noi e che ci sommergono, a volte con abissi di angoscia e a volte con un mare di gioia.
Leggendolo mi sono rivista molto, specialmente in questo periodo di quarantena che alla fatica di stare rinchiusa in casa e lontano dai miei affetti più cari, si aggiungevano momenti di sconforto per le notizie poco incoraggianti.
Ho attraversato le notti insonni con la stessa lotta del salmista, mai sola, come lui, sempre rivolta al Padre. Anche il grido e le domande più sconsolate hanno trovato risposta nella preghiera.
Continuiamo a lottare nella certezza di non essere soli e confidiamo al Signore le paure più grandi: nella notte il Signore porterà consolazione e disseterà la nostra anima mostrandoci il suo volto d'amore.

Commenti


  1. I nemici vogliono che lasci la sua fede e accolga gli idoli, che si vedono e si toccano. Ma il deportato, in camino verso il suo luogo di schiavitù, non rinuncia alla sua fede e pensa a quando era gioioso nella casa di Dio. Ricordi dolorosi ora, ma non vi rinuncia.
    Egli si esorta a non cedere alla tristezza: “Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me?”.
    Egli è ormai fuori dalla grande vallata del Giordano; è ai piedi dell’Ermon e del monte Mizar, che sarebbe il monte Zaorah, vicino alle sorgenti del Giordano.
    E’ la stagione delle piogge e dello scioglimento delle nevi. Vasti e profondi catini d’acqua al fondo di precipizi (un abisso) accolgono fragorose cascate. Questo rumore sembra un incessante richiamo ad altre e altre acque, quelle dell’abisso (il mare Mediterraneo) che giungono per via delle piogge e delle nevi. Uno spettacolo così grandioso il salmista lo utilizza come paragone dell’assommarsi delle sventure su di lui. La descrizione non ha il “come”, poiché ha già in sé la prospettiva di presentare il cumulo delle sventure sul povero deportato: “Tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati ”.
    (novena.it)

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  2. Nessuno Libro della Bibbia come il Salterio viene più illuminato in quanto viene…pregato! Sempre la Parola del Signore si illumina attraverso la preghiera, Quanto più questo Libro che è specificatamente un Libro di preghiera. E’ la preghiera che i nostri Padri Ebrei hanno comunicato a noi discepoli di Gesù. E’ quindi Parola che ci unisce in modo fortissimo al Popolo della Prima Alleanza!
    Con il paragone di una cerva assetata il Salmo esprime la condizione del credente come ”sete”. Per tutto il Salmo accompagniamo un “dialogo” tra l’orante e la sua anima. E’ infatti la nostra anima ad avere “sete di Dio, del Dio vivente”. Come intendiamo l’ “anima”? Possiamo considerarla come la nostra persona interiore, come la profondità del nostro essere. Possiamo pensarla come quel livello della nostra vita dove si compiono le esperienze più profonde della nostra esistenza. Possiamo pensare la nostra anima come quella che si affaccia ad una realtà che va’ oltre la nostra stessa morte: “…quando verrò e vedrò il mio Dio?”(ver.3).
    Questa “sete” è fortemente confrontata con l’attuale condizione dell’orante: “Le lacrime sono il mio pane giorno e notte”(ver.4), condizione che sembra quindi sfidare la nostra stessa fede. Da qui la domanda “retorica” che ci assedia: “Dov’è il tuo Dio?”, sempre al ver.4. E si confronta con un passato – dice “questo io ricordo” al ver.5 – di partecipazione gioiosa alla festa di tanti, una festa della fede vissuta accanto alla “casa di Dio”, cioè al Tempio di Gerusalemme.
    (Giovanni Nicolini)

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  3. CANTO DELLA NOTTE OSCURA DELL'ANIMA LONTANA
    In un silenzio assoluto lacerato dall'urlo della cerva assetata, che non si lamenta tanto per la sete quanto per il torrente secco, ansiosamente cercato e scoperto alla fine della corsa, senz'acqua: per questa sete, con questo anelito e lamento
    per fortuna qualcuno crede ancora, qualcuno canta...
    Siamo tutti immersi in una plaga desertica e montuosa - quale il grande Sertão del Brasile:
    nell'abbandono del povero da tutti, e di tutto - questi poveri, questi «scomunicati» dal mondo che conta...!
    È anche di loro questo canto.
    (Davide Maria Turoldo)

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  4. Dentro il lamento e il tormento del levita in esilio , afferrato dalla nostalgia del Tempio, è il divino tormento di ogni uomo alla ricerca di Dio. Dalla sposa del Cantico , alla Madre di Gesù, a Zaccheo, a Maria di Mandala, a Saulo, ad Agostino Fino al più povero di noi peccatori. fermiamoci un attimo e riascoltiamolo nel silenzio profondo della nostra esperienza e nostalgia di Dio

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