Vangelo del 23 maggio 2020

Perché la vostra gioia sia piena
Gv 16, 23-28

"In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.
Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio.
Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre»".


L'unità tra Gesù e il Padre è annunciata dal Vangelo come il cuore della rivelazione; questa è la nostra salvezza perché a questa intimità siamo attirati.

"In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà".
In Gesù noi abbiamo accesso al Padre, non da stranieri, né da ospiti ma da figli.
Quale padre rimane sordo alla voce dai figli? Il Signore forse non aprirà il suo cuore invocato nel nome di Gesù, suo figlio prediletto?

La fiducia è il clima vero della preghiera di coloro che conoscono il loro padre.
Abbiamo una certezza per accedere al cuore di Dio: il Figlio ci ha detto chiedete e il Padre vi darà!

"Finora non avete chiesto nulla nel mio nome".
Nel nome di chi pregavano prima i discepoli?
Nel nome di Mosè, dei giusti di Israele, nel nome di Abramo padre nella fede, ma ora è il Figlio il nuovo Nome da invocare e quello a cui guardare.
Il nome di Dio così misterioso, da non poter essere nominato: gli ebrei non lo vivevano da Padre, non lo avevano ancora conosciuto in modo così familiare.
Gesù toglie quel velo e ce lo fa conoscere.
Il nome definitivo di Dio ha un volto: Gesù, Dio salva, Dio è Salvatore.

"Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena".
Ecco la meta e il compimento di ogni preghiera e del rapporto filiale con Dio: la gioia piena, a cui non manca niente e niente si può aggiungere.
Gesù sembra dire che le gioie che cerchiamo, quelle che stanno al centro della nostra ricerca e dei nostri desideri, sono gioie parziali. Ci accontentiamo di poco, vuol dire, non osiamo chiedere quello che veramente è necessario per noi, non ci spingiamo a chiedere tutto!
Gesù ci fa osare: tutto ci è dato in lui, tutto è quello che il Padre ci ha riservato!
La nostra eredità non sono cose, ma la gioia piena, Dio stesso!

"Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre".
Come dall'alba al mezzogiorno il sole cresce illuminando ogni cosa, così la parola di Gesù illumina i discepoli perché vedano attraverso i suoi occhi chi è il Padre.
Con parabole e parole esplicite, in ogni modo Gesù è venuto a parlarci del Padre suo e Padre nostro.
Possiamo dirlo: si è incarnato per questo, affinché con parole umane, comprensibili, conservabili per tutti, ciò che nessuno aveva mai visto e sentito si facesse presente e familiare.
La parola più esplicita sul Padre la dirà e la mostrerà sulla croce, quando sarà visibile chi è colui che dà tutto per amore dei suoi figli!

"In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio".

È il culmine della fede del Vangelo: attraverso l'inviato, che dalla sua intimità proviene, tutto del suo cuore ci è stato svelato!
Più avanti Gesù dirà con una formula meravigliosa: "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv 17, 3). 
Gesù ha chiara una verità: la preghiera arriva direttamente al Padre! Non va supplicato per piegarlo ai nostri bisogni: il Padre ci ama e ci ascolta prima ancora di parlare.
Col Figlio noi accediamo a questo amore, lui ce ne fa convinti, ci fa capaci di parlargli e di credere in questo amore.
Non è più un dio irraggiungibile, da temere perché... chi lo sa cosa pensa!
Nel Figlio tutta la sua volontà è rivelata ed è a favore nostro, per la nostra salvezza.

"Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre".
È il percorso completo del Verbo fatto carne che torna al Padre.
Ma il ritorno non è uguale alla discesa; non va via da solo: tutta l'umanità è ricondotta al Padre, porta con sé tanti fratelli, tutti quelli che sono ormai consanguinei suoi.
Anche noi, come lui, veniamo dal Padre e a lui torniamo: questo senso ultimo della nostra vita risponde a tutte le domande di significato a cui non avevano avuto una risposta.

Il brano di oggi mi lascia una grande consolazione: la preghiera è ascoltata perché la nostra bocca chiede cibo alle orecchie del Padre che mai, mai darà in cambio scorpioni! (cfr. Lc 11, 11-12)
Gesù ci sveglia dalla paura che il Padre sia distante e completamente estraneo alla nostra vita.

E dopo di lui anche Paolo ce lo dice così chiaramente: "Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio" (Ef 2, 19).
Il suo Nome non è più quello di un padrone da temere; il suo è anche il nostro Nome, da annunciare a tutti, da riempirci di gioia al solo nominarlo: Gesù Cristo, il Signore!

Commenti

  1. Il Vangelo sostanzialmente ci esorta a realizzare un rap-porto di fiducia sempre più personale e audace nei confronti con Dio. Qui il mistero trinitario svela qualcosa della sua ampiezza d'amore, proprio perché Gesù ci fa cogliere che il fare affidamento su di lui, pregando nel suo nome, non vuol dire escludere il Padre. Tutt'altro! "Il Padre stesso vi ama, perché voi mi avete amato e avete creduto che sono venuto da Dio". Noi siamo dentro questo flusso di amore che va dal Padre al Figlio e dal Figlio al Padre. Anche il mistero dell'Ascensione ne scandisce il movimento. Gesù dice: "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre". Collocarci dentro questo movimento d'amore è per noi non solo un dinamismo di vita, ma di quella "gioia piena" che il mondo irride ma né la conosce né ce la può rapire.
    (Casa di preghiera s. Biagio)

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  2. Il discepolo è chiamato a chiedere al Padre nel nome di Gesù, a pregare Dio attraverso il Maestro. Perciò le nostre preghiere liturgiche terminano sempre con l’invocazione per Cristo Nostro Signore cui rispondiamo con un laconico e spento amen (che dovrebbe esprimere con forza tutta la nostra approvazione!). Gesù ci chiede di pregare il Padre nel suo nome per chiedere ciò che ci dona gioia. Molto spesso a me succede, invece, di chiedere al Padre un sacco di cose di cui penso di avere assoluta necessità senza interrogarmi se esse rappresentino o meno la sorgente della gioia profonda! Spesso le nostre preghiere non vengono esaudite perché non hanno nulla a che vedere con la nostra felicità. Chiedere a Dio di intervenire per fare cose che potremmo benissimo fare noi o per donarci soluzioni a problemi che noi per primi abbiamo contribuito a creare è perlomeno scorretto! Concentriamoci nella preghiera a Dio, per mezzo del Signore Gesù, chiedendogli tutto ciò che ci può donare veramente la gioia. Sia lo Spirito a orientare le nostre richieste perché lui solo sa di cosa abbiamo veramente bisogno.
    (Paolo Curtaz)

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  3. Oggi viene messa in discussione la nostra preghiera e la nostra persona. Ci viene detto che finora non abbiamo mai chiesto nulla nel nome di Gesù: forse è vero.
    Forse, invece che chiedere nel suo nome abbiamo chiesto al suo nome.
    Forse, più che una domanda da figli, abbiamo chiesto una raccomandazione al Figlio.

    Il primo invito di oggi, allora, può essere quello di liberare la nostra preghiera, di sprigionarne l’autentico potenziale. Oggi siamo chiamati a prendere consapevolezza che la nostra preghiera, grazie al dono dello Spirito, è potente perché possiamo rivolgerla come fratelli, nel nome di Gesù.

    Il secondo invito è una domanda sulla nostra idea di gioia.
    «Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena» sembra volerci dire che non sarà ottenere quello che abbiamo chiesto a procurarci gioia, ma l’intero processo di “chiedere e ottenere”: essere fratelli del Figlio significa riconoscere l’intima dipendenza dal Padre e dalla comunità.

    Chiedere nel nome di Gesù significa assimilare il suo stile: nell’ora di più buia, servire e chiedere, lavare i piedi e pregare. Il bisogno può essere uno strumento di relazione, non motivo di vergogna o attacco alla nostra autonomia.

    La nostra gioia comincia quando chiediamo.

    Matteo Palma

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  4. Tutto mi dà ,ciò che è BUONO per me!
    Non stupidate.....tutto....

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  5. _Disse Gesù ai suoi discepoli: In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena_ (Gv 16).

    *È il tuo nome che mi custodisce. È il tuo nome che mi apre il cuore. È il tuo nome che mi fa giungere al cuore del Padre. È il tuo nome che mi concede quella gioia piena che solo il mio cuore desidera*.

    ( don Vincenzo )

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