Seconda lettura di domenica 3 maggio 2020
Siete stati ricondotti al pastore
1Pt 2, 20-25
"Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio.
A questo infatti siete stati chiamati, perché
anche Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio,
perché ne seguiate le orme:
egli non commise peccato
e non si trovò inganno sulla sua bocca;
insultato, non rispondeva con insulti,
maltrattato, non minacciava vendetta,
ma si affidava a colui che giudica con giustizia.
Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce, perché,
non vivendo più per il peccato,
vivessimo per la giustizia;
dalle sue piaghe siete stati guariti.
Eravate erranti come pecore,
ma ora siete stati ricondotti al pastore
e custode delle vostre anime".
Pietro affronta i motivi di crisi della comunità fondata da lui, aiutando i fratelli nelle situazioni concrete che stanno vivendo.
Dal v. 18 si rivolge agli schiavi convertiti al cristianesimo: la loro dignità all'interno della comunità è la stessa degli uomini liberi. Però le sofferenze che devono subire dai padroni mettono a dura prova la loro capacità di sopportazione.
Questo brano è quanto mai adatto a noi, oggi, non meno schiavi di situazioni che ci soffocano e che interpellano la nostra fede.
"Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio".
La sofferenza più difficile da accettare è quella che nasce, inspiegabilmente, facendo il bene.
Pietro dice che sopportare questa situazione con pazienza è gradito al Signore. A queste parole il nostro cuore si ribella: non è giusto; che senso ha? Può il Signore volere questo?
Al nostro puerile senso di giustizia, che si scontra con l'evidenza della vita, Pietro risponde con molto coraggio, annunciando, con questo inno, la salvezza attuata dalla croce.
"A questo infatti siete stati chiamati, perché
anche Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio,
perché ne seguiate le orme".
Soffrire ingiustamente è una vera e propria vocazione a cui Dio chiama i cristiani.
Gesù, il servo sofferente, ha bevuto sino in fondo il calice amaro dell'ingiusta condanna, per un motivo solo: per noi!
Non è autolesionismo, non è immolarsi per una causa teorica: ha intrapreso una strada stretta, difficile e mortale per la nostra salvezza.
Quella strada sulla quale ha lasciato le orme, diventa un percorso su cui noi possiamo incamminarci, sicuri della sapienza di Dio che dal male trae il bene.
"Egli non commise peccato
e non si trovò inganno sulla sua bocca".
La bocca di Gesù non diceva il falso perché la menzogna per gli ebrei è idolatria, affibbiare a Dio ciò che non viene da lui.
Torna la sottolineatura della sofferenza ingiusta. Gesù era innocente da qualsiasi colpa, eppure un tribunale lo aveva accusato proprio per aver profanato la religione quando affermava di venire dal Padre.
"Insultato, non rispondeva con insulti,
maltrattato, non minacciava vendetta,
ma si affidava a colui che giudica con giustizia".
Non minacciava vendetta... e noi temiamo sempre che il Signore ce l'abbia con noi!
Pietro è testimone diretto del modo in cui Gesù ha risposto all'ingiusto trattamento ricevuto proprio da chi avrebbe invece dovuto accoglierlo. Non ha risposto al male con altro male, ma si è lasciato umiliare affidando al Signore la sua causa. Con poche parole Pietro ci riporta alla passione di Gesù di cui è stato tormentato testimone.
"Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce, perché,
non vivendo più per il peccato,
vivessimo per la giustizia".
Gesù ha ricevuto il male per liberarci dal giogo del nostro stesso male; ha spezzato così la spirale di violenza che nasce sempre in queste situazioni.
Si può vivere di spirito di rivalsa, covando vendetta, aspettando il momento buono di farla pagare... La nostra risposta al male genera sempre un peccato e una sofferenza più grande!
Vivere per la giustizia, è vivere per Cristo che ha mostrato nella giustizia/misericordia del Padre, l'apice della rivelazione.
"Dalle sue piaghe siete stati guariti".
La grandezza della salvezza donata sulla croce è condensata in questa espressione che Pietro attualizza prendendola dal profeta Isaia che parlava del servo sofferente :
"Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53, 5).
E' il paradosso dell'esistenza del Cristo e della via scelta dal Padre per la salvezza di tutti! Come fa un fallito, un rigettato dall'autorità religiosa, un sacrilego per la legge, un condannato a morte, ad essere salvezza per altri?
La croce cozza con la nostra pretesa di salvarci vincendo, di scansare i dolori addossandoli sugli altri.
La salvezza del Signore è efficace perché sceglie la via dell'amore, che niente tiene per sé, ma che dà tutto per l'amato. E' una via tanto differente dalla nostra!
"Eravate erranti come pecore,
ma ora siete stati ricondotti al pastore
e custode delle vostre anime".
La nostra via porta alla dispersione, a salvarci in solitudine, rinnegando gli altri, come ha fatto Pietro per non essere crocifisso col Maestro.
La croce ha radunato i figli di Dio dispersi all'unico che non è scappato, a chi ha fatto di quel legno di supplizio il centro aggregante per ogni umanità sofferente.
Siamo stati ricondotti al pastore da cui eravamo scappati, non sopportandone la vista e la possibilità della croce per noi.
La Parola ci conduce alla verità della nostra vita che ha bisogno di essere salvata e al pastore che si prende cura delle nostre piaghe assumendole nella sua carne.
Da queste parole di Pietro intuiamo a quante schiavitù è legata la nostra esistenza e che bisogno abbiamo di chi si prenda cura di noi e ci raduni in un'unica fratellanza.
Siamo chiamati a seguire le orme del Maestro, di una vita che si fa dono, affinché non viviamo più terrorizzati da chi vuole prendersi la nostra vita, ma protesi a darla a chi ha bisogno, come noi, di un Salvatore.
Non lasciamoci abbattere dalle sofferenze e dalle limitazioni che dobbiamo vivere nel presente, ma diamo fiducia alle parole del Vangelo: "Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza (Gv 10,10).
Da queste parole di Pietro intuiamo a quante schiavitù è legata la nostra esistenza e che bisogno abbiamo di chi si prenda cura di noi e ci raduni in un'unica fratellanza.
Siamo chiamati a seguire le orme del Maestro, di una vita che si fa dono, affinché non viviamo più terrorizzati da chi vuole prendersi la nostra vita, ma protesi a darla a chi ha bisogno, come noi, di un Salvatore.
Non lasciamoci abbattere dalle sofferenze e dalle limitazioni che dobbiamo vivere nel presente, ma diamo fiducia alle parole del Vangelo: "Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza (Gv 10,10).
Questa mitezza che porta a sopportare l’ingiusta violenza è al cuore della vita e dell’esperienza cristiana: “A questo infatti siete stati chiamati”(ver.21).
RispondiEliminaE’ meraviglioso che sia una contingenza così scandalosamente dolorosa ad introdurre la splendida memoria della Passione di Gesù, nella grande reminiscenza del Quarto Canto del Servo di Isaia 53 che è bello oggi visitare. Dunque “anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme”(ver.21). I vers.22-23 sono la memoria preziosa di quella Passione. Il ver.24 pone un interrogativo molto importante: quando il testo dice che Gesù “portò i nostri peccati nel suo corpo” vuole forse dirci che Egli ha fatto del bene a noi che gli facevamo del male, proprio come i padroni che oggi fanno ingiustamente del male ai loro servi? L’ipotesi mi sembra affascinante. Peraltro che la croce del Signore sia la salvezza dei suoi crocifissori è esplicitato in più punti della memoria evangelica, fino alla citazione del profeta Zaccaria 12,10 in Giovanni 19,37: “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”. Dunque, se sopportiamo oggi ingiuste sofferenze, celebriamo in questo la pazienza del Signore che ha portato nella sua mitezza il male che gli facciamo. Così, mentre prima vivevamo “per il peccato”, ora possiamo vivere “per la giustizia”, perchè “dalle sue piaghe siete stati guariti”(ver.24).
Il Pastore ha dato la vita per noi. Per questo, dice il ver.25, non siamo più “pecore erranti” perché “siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime”, cioè della vostra vita.
(Giovanni Nicolini)
Grazie
RispondiEliminaIl Signore è il mio pastore non manco di nulla. Questa frase mi colma di gioia anche se talvolta mi lascio coinvolgere dalle problematiche e mi sfugge che Lui è sempre li con me
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