Col 1,24-28
"Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi.
A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo".
La lettera di Paolo ai fedeli di Colossi tocca note molto intime e confidenziali.
L'apostolo svela ciò che vive nella sua carne, nella gioia e nel dolore, in questa unione fondante e amorevole col suo Signore che ha rivoluzionato la sua esistenza.
"Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi".
Chi parlerebbe così se non una madre o un padre che riescono a sopportare pesi e preoccupazioni enormi per i figli quando la necessità glielo richiede?
La sofferenza vissuta nella gioia e nella serenità si può sperimentare per un fine alto, per una gestazione di vita futura che supera ogni calcolo e ogni immaginazione.
È la fatica della partoriente che attende fiduciosa il frutto di tanto dolore e va incontro alla vita pur sapendo la fatica da affrontare.
Paolo ha davanti una meta certa e vive una speranza fondata; per questo la passione del cuore si unisce a quella della persecuzione senza abbatterlo, anzi lo spingono a darsi e a spendersi tutto per i fratelli.
La nobile motivazione e la serenità profonda sono due delle connotazioni più ricorrenti nel suo lavoro per il Vangelo.
"Do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa".
La nuova traduzione della Cei ci fa notare un aspetto importante, tante volte travisato negli anni passati. Paolo non è il continuatore delle sofferenze del venerdì Santo patite dal Cristo. Non lo potrebbe essere e non possiamo neanche noi
Il sacrificio di Cristo sulla croce è unico, irripetibile e non eguagliato da nessuna delle nostre, se pur enormi, sofferenze. È l'unica passione che ci ha liberati, l'unica morte che ci fa entrare nella vita per sempre. Una certa religiosità che spingeva a soffrire per aggiungere altra redenzione è fuorviante e non rispondente alla verità del Vangelo.
Nelle angustie che ci sono, Paolo sa che la sua sofferenza personale non è inutile.
Non è quindi vittimismo, né "flagellazione" spirituale per gloriarsi davanti ai colossesi!
Nella sua vita concreta arriva ad una completezza, cioè entra a far parte, con lo stesso spirito, alle sofferenze che Cristo ha provato su di sé ogni volta che un discepolo o un malato andava portato alla vita, ogni volta che le folle invocavano un salvatore e lo assediavano, ogni volta che, guardando le pecore senza pastore, gli si muovevano le viscere come ad una madre.
Cristo continua a vivere nella storia dei suoi fedeli e l'apostolo prova la stessa passione per coloro che il Signore gli ha affidato.
I frutti di questo lavorare e soffrire sono semi piantati in quella Chiesa che lentamente, ma con potenza, nasce nel mondo, attraverso la fede e la passione amorevole di ogni discepolo.
Link di approfondimento alla liturgia del giorno:
Prima lettura di Gn 18,1-10
Commento del 17/07/2022
Seconda lettura di Col 1,24- 2,3
Vangelo di Lc 10,38-42
Commento del 05/10/2021
Portare a compimento la Parola di Dio.
RispondiEliminaGrazie per quello che mi doni
Chi annuncia,vive,si spezza per la TUA PAROLA.
"Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi".
RispondiEliminaSolo l' amore da senso
a queste parole.
Amore per i fratelli e le sorelle
a cui portare il Vangelo.
Amore per i fratelli e le sorelle
da accompagnare nella carità.
Amore per l'umanità intera
bisognosa dell'amore di Dio.