Prima lettura del 6 febbraio 2021
Perfetti in ogni bene
Eb 13, 15-17. 20-21
"Fratelli, per mezzo di Gesù offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome.
Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace.
Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi e devono renderne conto, affinché lo facciano con gioia e non lamentandosi. Ciò non sarebbe di vantaggio per voi.
Il Dio della pace, che ha ricondotto dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen".
Siamo alla conclusione della lettera agli Ebrei, una lunga omelia ricca di esortazioni sui vari aspetti della fede, scritta, secondo l'opinione concorde di molti studiosi, a più mani da maestri della comunità cristiana primitiva.
Certo è che la grande riflessione cristologica della lettera è di prezioso conforto alla nostra fede oggi. Finisce con parole di lode e di benedizione, come dovrebbe finire ogni riflessione, preghiera e liturgia.
"Fratelli, per mezzo di Gesù offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome".
Confessare, cioè esprimere con le labbra la propria fede nella signoria di Cristo, è il nuovo culto gradito al Signore.
Chi ha ascoltato l'annuncio della salvezza apre le sue labbra alla riconoscenza per tanto amore e per il progetto salvifico che in Cristo si disvela.
"Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace".
L'esortazione alla carità è sempre presente in chi guida e istruisce la comunità dei cristiani.
Alla benedizione di Dio, (dire bene), che realizza il bene, rispondono le azioni dei discepoli che, sulla stessa lunghezza d'onda, ascoltano e fanno beneficenza (fare bene).
La beneficenza non è quindi un'opera che viene dalla propria "bontà d'animo", un'elargizione di beni ai bisognosi per mettersi la coscienza a posto.
Non è neanche un'ostentazione munifica per farsi vedere dagli altri.
Il richiamo alla comunione dei beni, al prendersi carico di problemi, economici e non, che prostrano persone incapaci di rialzarsi da sole, non è evento eccezionale, né "buonismo" come viene bollato dalla grettezza di egoisti che vogliono dettare legge anche per gli altri.
Per i discepoli è una priorità quotidiana, perché opera imparata alla scuola del Maestro che benefica il mondo col suo amore.
E' prassi evangelica da rinnovare continuamente nelle nostre giornate, è sguardo empatico verso chi ci sta vicino e chiede senza parlare.
Anche questo è culto gradito al Signore!
"Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi e devono renderne conto, affinché lo facciano con gioia e non lamentandosi. Ciò non sarebbe di vantaggio per voi".
Non siamo autosufficienti, e per quanto possiamo diventare "grandi" non saremo mai del tutto maestri di noi stessi.
Obbedienza e docilità alle guide della comunità sono passi necessari del proprio cammino di fede e riconoscenza per l'aiuto di chi ci mostra il Cristo.
Questo è difficile in un clima di sudditanza e di imposizioni, facile e spontaneo quando i capi sono al servizio della comunità, volti verso coloro che attendono parole e gesti evangelici.
"Il Dio della pace, che ha ricondotto dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen".
La benedizione finale parte dalla potenza di Dio, lui che è fonte di pace e ha richiamato Gesù dalla morte.
Per mezzo di Cristo, nostro grande Pastore, diventiamo "perfetti in ogni bene"!
Tornano qui alla mente le parole di Gesù che esortava i suoi discepoli dicendo "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5, 48).
Egli è il solo che può renderci capaci di fare il bene perché "fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti" (Mt 5, 45).
Noi, consapevoli di essere cattivi e ingiusti, immeritevoli di salvezza, condividiamo con gli altri la gioia di essere stati tratti dalla morte e di aver ricevuto la beneficenza del Padre che ci ha salvati dal peccato e da ogni male.
Per questo viene voglia di gridare "Amen", come questi fedeli di 2000 anni fa, e far salire al Padre il nostro canto di lode, partecipando insieme dei doni che la preghiera invoca e realizza.
"Fratelli, per mezzo di Gesù offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome".
Confessare, cioè esprimere con le labbra la propria fede nella signoria di Cristo, è il nuovo culto gradito al Signore.
Chi ha ascoltato l'annuncio della salvezza apre le sue labbra alla riconoscenza per tanto amore e per il progetto salvifico che in Cristo si disvela.
"Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace".
L'esortazione alla carità è sempre presente in chi guida e istruisce la comunità dei cristiani.
Alla benedizione di Dio, (dire bene), che realizza il bene, rispondono le azioni dei discepoli che, sulla stessa lunghezza d'onda, ascoltano e fanno beneficenza (fare bene).
La beneficenza non è quindi un'opera che viene dalla propria "bontà d'animo", un'elargizione di beni ai bisognosi per mettersi la coscienza a posto.
Non è neanche un'ostentazione munifica per farsi vedere dagli altri.
Il richiamo alla comunione dei beni, al prendersi carico di problemi, economici e non, che prostrano persone incapaci di rialzarsi da sole, non è evento eccezionale, né "buonismo" come viene bollato dalla grettezza di egoisti che vogliono dettare legge anche per gli altri.
Per i discepoli è una priorità quotidiana, perché opera imparata alla scuola del Maestro che benefica il mondo col suo amore.
E' prassi evangelica da rinnovare continuamente nelle nostre giornate, è sguardo empatico verso chi ci sta vicino e chiede senza parlare.
Anche questo è culto gradito al Signore!
"Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi e devono renderne conto, affinché lo facciano con gioia e non lamentandosi. Ciò non sarebbe di vantaggio per voi".
Non siamo autosufficienti, e per quanto possiamo diventare "grandi" non saremo mai del tutto maestri di noi stessi.
Obbedienza e docilità alle guide della comunità sono passi necessari del proprio cammino di fede e riconoscenza per l'aiuto di chi ci mostra il Cristo.
Questo è difficile in un clima di sudditanza e di imposizioni, facile e spontaneo quando i capi sono al servizio della comunità, volti verso coloro che attendono parole e gesti evangelici.
"Il Dio della pace, che ha ricondotto dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen".
La benedizione finale parte dalla potenza di Dio, lui che è fonte di pace e ha richiamato Gesù dalla morte.
Per mezzo di Cristo, nostro grande Pastore, diventiamo "perfetti in ogni bene"!
Tornano qui alla mente le parole di Gesù che esortava i suoi discepoli dicendo "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5, 48).
Egli è il solo che può renderci capaci di fare il bene perché "fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti" (Mt 5, 45).
Noi, consapevoli di essere cattivi e ingiusti, immeritevoli di salvezza, condividiamo con gli altri la gioia di essere stati tratti dalla morte e di aver ricevuto la beneficenza del Padre che ci ha salvati dal peccato e da ogni male.
Per questo viene voglia di gridare "Amen", come questi fedeli di 2000 anni fa, e far salire al Padre il nostro canto di lode, partecipando insieme dei doni che la preghiera invoca e realizza.
"Il Dio della pace vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà". Sulla nostra povertà è fiorita la possibilità di Dio. Impossibile a noi ma non a Dio: finalmente possiamo compiere la sua volontà. È Dio di pace e noi ora possiamo percorrere la via di pace. Dal Signore ci viene questa capacità. La pace è la mia via, è il mio modo divino di vivere, la mia risposta alla vita. Il Signore vuole pace, questa è la sua volontà, è il suo sogno per l'umanità, il desiderio nel guardare ogni uomo e ogni donna perché tutti siamo e diveniamo fratelli. Ogni gesto ogni parola porti un dono di pace. È via divina, è via di luce, è via di eternità. Dio della pace fammene dono. Rendi pace in me e intorno a me. Fammi nutrire di pace. Fammi strumento di pace.
RispondiElimina-----lo facciano con gioia e non lamentandosi.
RispondiEliminaQuello che si fa per l'altro è gioia,abnegazione,dedizione.
Null'altro!
Mormoro,mi lamento,quando sono pieno.....sopraffatto da richieste fuori dal metodo di lavoro o i parametri imposti.
Ecco la Legge c'è!
C'è anche il cuore,
Fammi essere duttile e disponibile al di là del mio compitino.
Arricchisci il mio cuore di TE
Amen
Grazie Signore per il Bene che metti nel mio cuore: il mio sguardo sia sempre rivolto a Te
RispondiEliminache sei Padre e guidi il mio andare