Prima lettura del 25 novembre 2023
"In quei giorni, mentre il re Antioco percorreva le regioni settentrionali, sentì che c’era in Persia la città di Elimàide, famosa per ricchezza, argento e oro; che c’era un tempio ricchissimo, dove si trovavano armature d’oro, corazze e armi, lasciate là da Alessandro, figlio di Filippo, il re macèdone che aveva regnato per primo sui Greci.
Allora vi si recò e cercava di impadronirsi della città e di depredarla, ma non vi riuscì, perché il suo piano fu risaputo dagli abitanti della città, che si opposero a lui con le armi; egli fu messo in fuga e dovette ritirarsi con grande tristezza e tornare a Babilonia.
Venne poi un messaggero in Persia ad annunziargli che erano state sconfitte le truppe inviate contro Giuda. Lisia si era mosso con un esercito tra i più agguerriti, ma era stato messo in fuga dai nemici, i quali si erano rinforzati con armi e truppe e ingenti spoglie, tolte alle truppe che avevano sconfitto, e inoltre avevano demolito l’abominio da lui innalzato sull’altare a Gerusalemme, avevano cinto d'alte mura, come prima, il santuario e Bet-Sur, che era una sua città.
Il re, sentendo queste notizie, rimase sbigottito e scosso terribilmente; si mise a letto e cadde ammalato per la tristezza, perché non era avvenuto secondo quanto aveva desiderato. Rimase così molti giorni, perché si rinnovava in lui una forte depressione e credeva di morire.
Chiamò tutti i suoi amici e disse loro: «Se ne va il sonno dai miei occhi e l’animo è oppresso dai dispiaceri. Ho detto in cuor mio: in quale tribolazione sono giunto, in quale terribile agitazione sono caduto, io che ero così fortunato e benvoluto sul mio trono! Ora mi ricordo dei mali che ho commesso a Gerusalemme, portando via tutti gli arredi d’oro e d’argento che vi si trovavano e mandando a sopprimere gli abitanti di Giuda senza ragione. Riconosco che a causa di tali cose mi colpiscono questi mali; ed ecco, muoio nella più profonda tristezza in paese straniero»".
In questo capitolo sesto del primo libro dei Maccabei assistiamo alla parabola discendente del re Antioco IV Epifane, siriano di origine animato dalla smania di estendere il suo impero a tutte le terre circostanti, compresa la Palestina.
Ma troppi sono i danni arrecati ai popoli sottomessi, troppe le derive idolatriche e le imposizioni per "costringere all’apostasia" (1Mac 2,15); ad un certo punto viene fermato e sconfitto. Stessa sorte capita al suo più importante generale.
Frustrazione e umiliazione si impossessano di questo re che cade in una profonda depressione.
La Bibbia testimonia così l'umiliazione di un uomo potente che vede i suoi sforzi resi vani.
Un salmo insegna:
"Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori.
Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella" (Sal 127,1).
"Ho detto in cuor mio: in quale tribolazione sono giunto, in quale terribile agitazione sono caduto, io che ero così fortunato e benvoluto sul mio trono!"
Il potentissimo uomo prende consapevolezza di essere caduto nella confusione per i desideri smodati di avere ed essere sempre di più.
Era in una falsa situazione di benessere perché non si può governare portando i popoli alla rovina.
Non era in effetti benvoluto e il suo regno era stato segnato da ribellioni furenti.
La Bibbia ne parla come di una stoltezza che porta solo rovina.
"Ora mi ricordo dei mali che ho commesso a Gerusalemme, portando via tutti gli arredi d’oro e d’argento che vi si trovavano e mandando a sopprimere gli abitanti di Giuda senza ragione".
Pur di raggiungere i suoi obiettivi aveva accumulato soprusi e omicidi, saccheggi e distruzioni.
A questo si aggiunge la profanazione del Tempio a Gerusalemme, il voler azzerare la religione dei padri per farsi lui stesso idolo venerato da tutti.
Quanta follia corre per le strade del nostro mondo, mascherata da nobili ideali e belle intenzioni!
L'egocentrismo e l'ingordigia rendono ciechi e sordi.
"Riconosco che a causa di tali cose mi colpiscono questi mali; ed ecco, muoio nella più profonda tristezza in paese straniero".
Triste e straniero: conclude così il suo percorso di gloria quest'uomo che credeva di essere osannato da tutti come grande re e conquistatore.
L'euforia del successo è una maledizione per il nostro cuore che perde la direzione del cammino verso la vita.
Riconoscere il proprio limite, i propri peccati, i propri sbagli, dà una svolta alla nostra esistenza. Ci apre gli occhi e ci fa fermare da una corsa mortale per noi e per gli altri.
L'esame di coscienza di un re annientato serve a noi oggi; interrogarci sul senso della nostra vita e del nostro operato può farci convertire la rotta prima di una caduta rovinosa.
Viene in nostro aiuto una domanda che Gesù ci rigira:
"Quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?" (Lc 9,25).
Quello che vogliamo evitare a tutti i costi, vivere e morire nella più profonda tristezza, soli in mezzo ad estranei, si realizza con le nostre stesse mani che cercano potere e glorificazioni umane!
Una benedizione è l'intervento di Dio nella nostra storia, che ci rimette nella verità di noi stessi:
"Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili" (Lc 1,52).
Link di approfondimento alla liturgia del giorno:
Salmo 9,1-11
Commento del 23/11/2019
Vangelo di Lc 20,27-40
Commento del 20/11/2021
"Ho detto in cuor mio: in quale tribolazione sono giunto, in quale terribile agitazione sono caduto, io che ero così fortunato e benvoluto sul mio trono!"
RispondiEliminaCosì è la vita!
Niente è sicuro.
Niente definitivo.
Nei momenti belli, benedico.
Nei momenti brutti, benedico.
Voglio imparare
ad essere ricco e ad essere povero.
Preparo il mio cuore.
"Ho detto in cuor mio: in quale tribolazione sono giunto, in quale terribile agitazione sono caduto, io che ero così fortunato e benvoluto sul mio trono!"
"Quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?"
RispondiEliminaSignore fa che sia sempre TU il mio guadagno.
TU che mi smuovi,mi fai vivere veramente!
Non mi lasciare.
Grazie