Prima lettura del 17 gennaio 2025
Entrare in quel riposo
Eb 4,1-5.11
«Così ho giurato nella mia ira:
non entreranno nel mio riposo!».
Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo. Si dice infatti in un passo della Scrittura a proposito del settimo giorno: «E nel settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere». E ancora in questo passo: «Non entreranno nel mio riposo!».
Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza".
La lettera agli Ebrei attinge a piene mani all'Antico Testamento e lo rilegge alla luce della fede nel Cristo Gesù.
In questo passo accosta due passi per trarne un insegnamento attuale.
Quando la Genesi proclama che il settimo giorno è il riposo di Dio indica la parte più bella di un lavoro: dopo tanta fatica, dopo la tensione a finire un'opera, arriva il momento di godersi il lavoro fatto e il cuore lo festeggia, ammirandone Ia bellezza (cfr. Gn 2,2-3).
Come la creazione culmina nel sabato, la fine della storia umana, fatta di intensa opera, faticosa ma fruttuosa, è riposo, è festa insieme al Creatore per aver collaborato con lui alla meravigliosa salvezza.
La Lettera agli Ebrei però non è un idilliaco sogno. Sa bene la nostra natura, sa che il nostro cammino di oggi è segnato dalla tentazione e dall'idolatria. Facile allontanarsi dal disegno provvido del Padre e farsi un proprio progetto di salvezza che fonda sulle capacità umane tutto il risultato.
Bisogna vegliare, restare uniti ai compagni di cammino nella fede, per evitare di smarrire la via.
L'aurore della Lettera ci invita a togliere dal nostro cuore ogni presunzione e superficialità per rimettersi a camminate con sollecitudine verso la meta di Dio.
"Si dice infatti in un passo della Scrittura a proposito del settimo giorno: «E nel settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere»".
Tutte le opere si compiono se arrivano alla contemplazione, alla pausa per essere ammirate, godute, apprezzate. Il riposo di Dio è il culmine del suo lavoro e ciò lo rende veramente perfetto.
Fare cose su cose senza fermarsi, passare ad un'altra e ad un'altra ancora è alienante, porta stress e depressione. Ne sappiamo qualcosa noi moderni, sempre a rincorrere un di più che non arriva mai. Nella fretta rischiamo di non goderci niente.
"E ancora in questo passo: «Non entreranno nel mio riposo!»".
Ora il riferimento è al Salmo 95,11 dove si parla di un riposo negato, mancato, a causa della disobbedienza, della durezza di cuore.
Il fatto è narrato in Es 17,1-17. Israele nel deserto non ha fiducia nella provvida mano di Dio che "sazia ogni vivente" (Sal 144,16).
Così il popolo si ribella spinto dalla sete, dimenticando l'aiuto costante in tutto il cammino in fuga dall'Egitto.
Il Signore continua a dissetarli, facendo sgorgare acqua da una roccia, ma resta il dolore, la lacerazione della relazione dovuta alla loro mancata fiducia.
La lettera agli Ebrei attinge a piene mani all'Antico Testamento e lo rilegge alla luce della fede nel Cristo Gesù.
In questo passo accosta due passi per trarne un insegnamento attuale.
Quando la Genesi proclama che il settimo giorno è il riposo di Dio indica la parte più bella di un lavoro: dopo tanta fatica, dopo la tensione a finire un'opera, arriva il momento di godersi il lavoro fatto e il cuore lo festeggia, ammirandone Ia bellezza (cfr. Gn 2,2-3).
Come la creazione culmina nel sabato, la fine della storia umana, fatta di intensa opera, faticosa ma fruttuosa, è riposo, è festa insieme al Creatore per aver collaborato con lui alla meravigliosa salvezza.
La Lettera agli Ebrei però non è un idilliaco sogno. Sa bene la nostra natura, sa che il nostro cammino di oggi è segnato dalla tentazione e dall'idolatria. Facile allontanarsi dal disegno provvido del Padre e farsi un proprio progetto di salvezza che fonda sulle capacità umane tutto il risultato.
Bisogna vegliare, restare uniti ai compagni di cammino nella fede, per evitare di smarrire la via.
L'aurore della Lettera ci invita a togliere dal nostro cuore ogni presunzione e superficialità per rimettersi a camminate con sollecitudine verso la meta di Dio.
"Si dice infatti in un passo della Scrittura a proposito del settimo giorno: «E nel settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere»".
Tutte le opere si compiono se arrivano alla contemplazione, alla pausa per essere ammirate, godute, apprezzate. Il riposo di Dio è il culmine del suo lavoro e ciò lo rende veramente perfetto.
Fare cose su cose senza fermarsi, passare ad un'altra e ad un'altra ancora è alienante, porta stress e depressione. Ne sappiamo qualcosa noi moderni, sempre a rincorrere un di più che non arriva mai. Nella fretta rischiamo di non goderci niente.
"E ancora in questo passo: «Non entreranno nel mio riposo!»".
Ora il riferimento è al Salmo 95,11 dove si parla di un riposo negato, mancato, a causa della disobbedienza, della durezza di cuore.
Il fatto è narrato in Es 17,1-17. Israele nel deserto non ha fiducia nella provvida mano di Dio che "sazia ogni vivente" (Sal 144,16).
Così il popolo si ribella spinto dalla sete, dimenticando l'aiuto costante in tutto il cammino in fuga dall'Egitto.
Il Signore continua a dissetarli, facendo sgorgare acqua da una roccia, ma resta il dolore, la lacerazione della relazione dovuta alla loro mancata fiducia.
Fidarsi nel Signore è necessario eppure è sempre a rischio. Bisogna coltivare e proteggere questa come tutte le relazioni vitali perché le amarezze della vita ci offuscano gli occhi facilmente.
I Salmi ci ricordano giorno dopo giorno la storia col Dio vivo, celebrato come "roccia della nostra salvezza" (Sal 95,1).
"Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza".
Ed ecco il prezioso insegnamento che oggi ci raggiunge: il cammino della fede, la nostra esperienza spirituale, vanno vissuti con la sollecitudine di chi ha scoperto un tesoro prezioso.
Il dono di Dio non va sprecato perdendosi dietro a cose di poco valore. Siamo tutti a rischio di fedeltà, di mancanza di fiducia, di ribellione nei confronti del Signore. Entrare nel suo riposo ci fa approdare alla riva sempre rincorsa, ci ripaga di ogni fatica, ci restituisce la vicinanza con lui che nessun peccato o trasgressione può lacerare.
Vigilare e stare pronti è l'appello di Gesù che ci viene incontro come acqua che disseta per la vita eterna (cfr. Gv 4,14).
Link di approfondimento alla liturgia del giorno:
Salmo 78 (77),3-4
Commento del 13/01/2023
Vangelo di Mc 2,1-12
Commento del 14/01/2022
I Salmi ci ricordano giorno dopo giorno la storia col Dio vivo, celebrato come "roccia della nostra salvezza" (Sal 95,1).
"Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza".
Ed ecco il prezioso insegnamento che oggi ci raggiunge: il cammino della fede, la nostra esperienza spirituale, vanno vissuti con la sollecitudine di chi ha scoperto un tesoro prezioso.
Il dono di Dio non va sprecato perdendosi dietro a cose di poco valore. Siamo tutti a rischio di fedeltà, di mancanza di fiducia, di ribellione nei confronti del Signore. Entrare nel suo riposo ci fa approdare alla riva sempre rincorsa, ci ripaga di ogni fatica, ci restituisce la vicinanza con lui che nessun peccato o trasgressione può lacerare.
Vigilare e stare pronti è l'appello di Gesù che ci viene incontro come acqua che disseta per la vita eterna (cfr. Gv 4,14).
Link di approfondimento alla liturgia del giorno:
Salmo 78 (77),3-4
Commento del 13/01/2023
Vangelo di Mc 2,1-12
Commento del 14/01/2022
Poiché anche noi, come quelli, abbiamo ricevuto il Vangelo!
RispondiEliminaSi
Farne tesoro
Viverlo
Ogni giorno è una benedizione
Nella fiducia e non nella preoccupazione, le nostre povere esistenze umane possono divenire un atto d’amore, di bellezza, di lode, un dono fino all’estremo, fino a quell’altra soglia che è la nostra morte, così come Gesù è vissuto, morto e risorto per amore nostro.
Amen
«E nel settimo giorno
RispondiEliminaDio si riposò da tutte le sue opere».
Riposo di Dio.
Riposo con Dio.
È lui il mio riposo.
È lui la mia pace.
Il settimo giorno
è giorno di luce,
giorno senza tramonto.