Vangelo del 19 marzo 2020
Al vederlo restarono stupiti
Lc 2, 41-51
"I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso".
Festeggiamo oggi Giuseppe di Nazareth, un personaggio importantissimo nella vita di Gesù, eppure compare poco e non parla mai. E' un uomo giusto che ha fatto della fede di Abramo la sua vita.
Con una felice sintesi è stato detto di lui: "Giuseppe è, nella storia, l’uomo che ha dato a Dio la più grande prova di fiducia, anche davanti ad un annuncio così stupefacente" (Papa Benedetto XVI).
Nel nostro brano è nominato da Maria come padre, in ricerca e angosciato come lei, silenzioso e docile alla storia che il Signore costruisce con lui.
"I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua".
Fedeli alle tradizioni di Israele, Giuseppe e Maria compiono il pellegrinaggio alla città santa come un vero incontro con il Re che abita nel suo tempio. Tutte le famiglie facevano il cammino unendosi in carovane e salivano al monte Sion cantando i cosiddetti salmi delle ascensioni.
"Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa".
Anche Gesù compie il suo primo pellegrinaggio. E' ormai cresciuto, ha compiuto 12 anni ed ha fatto il rito che lo rende adulto e capace di vivere i suoi impegni di membro del popolo di Dio.
"Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero".
Ecco un imprevisto che interrompe la serenità del racconto del viaggio più importante dell'anno.
Si apre uno spiraglio alla scoperta della prima iniziativa che Gesù prende per manifestare il suo modo di vivere la fede di Israele.
Rimane a Gerusalemme, senza avvisare nessuno. Sconcerta e affascina questa libertà di Gesù che da qui in avanti il vangelo ci racconterà sempre più frequentemente. Il Gesù cresciuto ed educato nella tradizione, si apre una strada tutta sua.
Infatti si stacca dai pellegrini: ha un'altra meta il suo sguardo; Gerusalemme è la città che lo attrae.
Giuseppe e Maria, fiduciosi nello spirito del pellegrinaggio, "credendo che egli fosse nella comitiva" camminano tranquilli e passa un giorno intero prima che si rendano conto della scomparsa. Quindi "si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme".
Tornano senza amici e parenti e possiamo immaginare con quale sentimenti abbiano fatto il nuovo viaggio a Sion: non più di ascesa cantando, ma di discesa nella più profonda angoscia di averlo perso.
Sono i primi, dopo i magi pagani, a cercare Gesù, a compiere un cammino la cui meta è il maestro di Nazareth.
"Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava".
Il terzo giorno: una parola che ha già il profumo della resurrezione, del ritrovare il vivente. Il loro ritorno a Gerusalemme è un cammino che sembrava scendere nella morte e invece diviene un cammino pasquale.
Lo trovano alla scuola della parola, dove secondo la tradizione, in un continuo di domande e risposte tra discepoli e maestri, si approfondiva il mistero della Scrittura.
Gesù è presentato come il perfetto discepolo che ascolta e interroga.
È il modello fecondo di catechesi che abbiamo ereditato dai maestri di Israele ed è il modo giusto di "ruminare" la parola per renderla propria.
Viene da chiedersi se gli ascoltatori "mummia", che spesso oggi sono presenti agli incontri di formazione e di catechesi, ascoltino veramente, visto che non reagiscono e non fanno domande.
"E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte".
Lo stupore è il sentimento dominante in questo brano.
Coglie tutti gli ascoltatori di Gesù nei suoi discorsi di evangelizzazione, coglie i genitori che "al vederlo restarono stupiti".
Sottintesa serpeggia una domanda nel cuore di tutti: chi è che parla così del Padre, chi è questo fanciullo che pone le domande giuste ai loro cuori e dà risposte che probabilmente non sono le solite di rito, quelle imparate a memoria e poi ripetute?
Tutti rimangono travolti dallo scoprire l'unicità di questo fanciullo e probabilmente nel cuore di Maria e Giuseppe ritornano le parole da loro custodite, anche se non capite pienamente: dei messaggeri prima della sua nascita, dei magi, dei pastori, del vecchio Simeone, della profetessa Anna... Gesù rivela già tanto del suo mistero in questa nuova epifania!
"Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo".
Dall'angoscia alla gioia del ritrovamento, dalle tenebre alla luce: il cammino dei genitori di Gesù è il cammino di ogni discepolo; è la scoperta della tomba vuota fatta da Maria Maddalena e della corsa di Pietro e Giovanni la mattina della domenica di Pasqua.
Maria sottolinea la fatica della ricerca e da mamma mostra quanto abbiano sofferto: "perché ci hai fatto questo?"
La risposta è sorprendente; da secoli si medita sul suo significato profondo: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?".
Il cardinale Martini traduce "essere nelle cose del Padre mio", facendo risaltare meglio che Gesù è, vive, dimora nelle cose del Padre; tali cose sono la sua vita più vera.
Giuseppe e Maria entrano in una nuova realtà, quella dei discepoli che ascoltano. Percorso necessario a tutti, per questo Gesù dirà: "Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (Lc 8, 21).
Tutti siamo chiamati a entrare nello stupore della rivelazione per familiarizzare con la realtà più intima e profonda del Figlio.
"Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro".
L'onestà del vangelo è sconcertante.
I genitori non capiscono adesso cosa volesse dire! Il Figlio rimane comunque un mistero anche per due personaggi di fede del calibro di Maria e Giuseppe, che dovranno custodire anche queste parole nel cuore.
La fede non è comprendere tutto, capire con chiarezza ogni cosa. Il mistero ha bisogno di una fiducia illimitata e di un cammino lungo una vita per dispiegarsi.
Questa realtà della non comprensione accompagnerà tutti i discepoli fino alla fine. Solo la croce sarà per Maria, per i discepoli e per noi tutti, la vera e totale epifania del Figlio.
"Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso".
Tutto ritorna di nuovo nell'alveo tranquillo e monotono della realtà quotidiana. Il mistero ritorna a nascondersi tra le pieghe della routine di ogni giorno. In fondo, ogni cosa, porta in sé traccia del mistero.
Come Maria e Giuseppe non capiamo; con loro ripetiamo angosciati in questo periodo di morte che ci destabilizza e ci spaventa: "perché ci hai fatto questo?"
La parola ci viene in aiuto: come loro ritorniamo a cercare il Cristo; anche se tormentati da angoscia e tenebre, non smettiamo di camminare nella speranza per aprirci alla sua luce che è sicuramente presente alla fine del tunnel.
Quando Gesù, il figlio nato a Betlemme e ormai cresciuto con loro a Nazaret, compì dodici anni, i suoi genitori lo portarono a Gerusalemme affinché diventasse, attraverso un rito che si svolgeva al tempio, bar mitzwà, “figlio del comandamento”, cioè un uomo credente responsabile della sua identità davanti al Signore e in mezzo al suo popolo. Il ragazzo allora – come avviene ancora oggi tra gli ebrei – saliva sull’ambone dove si leggevano le Scritture, mostrava di saperle leggerle in ebraico come stava scritto e poi, interrogato dagli scribi, gli esperti della Legge, rispondeva, dando prova della preparazione che aveva ricevuto e dello studio in cui si era impegnato, alle domande riguardanti la volontà del Signore inscritta nella Torà.
RispondiElimina(Enzo Bianchi)
Ed ecco, trovano Gesù proprio al tempio, dal quale non era uscito: era rimasto a dimorare là dove dimora la Shekinà, la Presenza di Dio. Egli è seduto tra i rabbini, gli uomini esperti e interpreti delle sante Scritture, intento ad ascoltarli e a interrogarli. Stiamo attenti a non leggere in questo episodio qualcosa di miracoloso e di straordinario, bisognosi come siamo di segni e miracoli, pur di non capire il vero messaggio: Gesù non sta facendo un’omelia che stupisce tutti, ma si fa veramente discepolo dei rabbini, in primo luogo attraverso il loro ascolto e poi interrogandoli, per comprendere meglio ciò che il Signore dice a chi lo ascolta. Dovremmo dunque dire che questa pagina evangelica ci parla di “Gesù discepolo”, ragazzo credente, dotato di “un cuore che ascolta” (lev shomea‘: 1Re 3,9) e capace di porsi domande. Come Samuele cominciò a profetizzare a dodici anni (cf. 1Sam 3), come Daniele a questa età disse una parola di sapienza (cf. Dn 13,45-49), così Gesù manifesta che, anche nella sua crescita, quello che più cercava e più lo coinvolgeva era la presenza del Signore capace di “parlare” a chi si fa figlio dell’insegnamento e “servo della Parola” (cf. Lc 1,2). Ecco dov’è Gesù!
RispondiElimina(Enzo Bianchi)
Poi Gesù pone una seconda domanda: “Non sapevate che devo stare presso il Padre mio?”. Egli ha un Padre che è il suo vero Padre, da lui riconosciuto come tale: è Dio, e Gesù, ora che è stato messo al mondo ed è cresciuto, deve stare, rimanere presso il Padre, nel tempio che al suo cuore, il Santo dei santi, contiene la sua Presenza. Gesù deve stare presso il Padre, è una necessità per lui, ed egli tante volte nella sua vita sentirà e annuncerà ai suoi discepoli che qualcosa “è necessario, bisogna, occorre” (deî). Lungo tutta la sua esistenza Gesù obbedisce a tale “necessità”, non perché questo sia il suo destino, dal momento che egli conserva sempre una piena libertà, ma perché questa è la sua volontà e la sua missione: compiere ciò che Dio suo Padre gli chiede. Non a caso questa necessitas risuonerà martellante soprattutto a partire dall’ora della sua salita a Gerusalemme per vivere la passione, la morte in croce e ricevere da Dio la vita per sempre attraverso la resurrezione (cf. Lc 9,22; 13,33; 17,25; 22,7.37; 24,7.26.44). Ma ogni volta che Gesù ha detto: “È necessario”, chi lo ha ascoltato non ha compreso. Qui si tratta dei suoi genitori, più tardi saranno i suoi discepoli (cf. Lc 18,34)…
RispondiElimina(Enzo Bianchi)
Chi ti capisce subito
RispondiEliminanon fatica.... nel quotidiano!
Io purtroppo.....
In questo momento così difficile,Signore facci sentire la Tua presenza;
RispondiEliminaplaca con la Tua Parola i nostri cuori
"e andavano i suoi genitori ogni anno a Gerusalemme..." Gesù fa il pellegrinaggio... è importante il pellegrinaggio perché noi abitiamo dove sono i nostri desideri .il desiderio ci indica la meta del cammino, per questo tutta la vita è un cammino. Noi siamo lontani da ciò che desideriamo e quindi siamo in esilio, stai di casa nel tuo desiderio, allora la vita è un cammino verso il compimento del desiderio. Il desiderio vero è il desiderio di Dio, il desiderio del volto di Dio, il desiderio del tempio di Dio ... Così da esuli diventiamo pellegrini...Silvano Fausti
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