Salmo di domenica 6 settembre 2020

Non indurite il cuore
Sal 95 (94),4-11

"4 Nella sua mano sono gli abissi della terra,
sono sue le vette dei monti.

5 Suo è il mare, è lui che l'ha fatto;
le sue mani hanno plasmato la terra.

6 Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.

7 È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.

Se ascoltaste oggi la sua voce!
8 «Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,

9 dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere.

10 Per quarant'anni mi disgustò quella generazione
e dissi: «Sono un popolo dal cuore traviato,
non conoscono le mie vie».

11 Perciò ho giurato nella mia ira:
«Non entreranno nel luogo del mio riposo»".


Pregare con questo Salmo è trovarsi davanti ad una verità disarmante che ci sveglia da ogni effimero romanticismo. I Salmi sono preghiera, non camomilla per lo spirito. Sono nutrimento di fede non tranquillanti per la nostra coscienza vacillante. Sono parola di Dio per noi e parola nostra per lui.
Dio e uomo si incontrano in queste parole, finalmente si parlano nella verità, anche in momenti difficili e con temi scottanti.
Il salmista inizia ricordando chi è il Signore, a chi si sta rivolgendo e poi fa memoria di una grande esperienza di ribellione del popolo in cammino nel deserto verso la terra promessa.

"Nella sua mano sono gli abissi della terra,
sono sue le vette dei monti.
Suo è il mare, è lui che l'ha fatto;
le sue mani hanno plasmato la terra".

Israele, dopo l'esperienza dell'Esodo, si rende conto di trovarsi al cospetto di un Dio più grande di ogni potente, di ogni faraone della terra. Lui che ha dominato il mare facendoli passare all'asciutto, ha un potere che gli viene dall'aver creato ogni cosa.
Da questa esperienza nasce la riflessione creazionistica che sfocerà negli scritti della Genesi, apice di senso e di fine di tutto il creato.
Tutto è opera sua, ogni cosa è fatta con sapienza e amore perché viene da lui e a lui ritorna. Dagli abissi del mare profondo alle vette più alte, si stende la sua autorità amante e paterna.

"Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce".

È nel Tempio che tutta questa lode arriva al culmine, col popolo festante che procede cantando.
Nel luogo della presenza del Santo, coloro che si riconoscono gregge, nutrito e condotto, ritrovano unità e gioia per l'appartenenza all'unico Pastore. Creatore, Padre, guida, pastore: il popolo esulta nell'essere suo e nel sapere che di essere accompagnato sempre.

"Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere»".
Il Salmo cambia riflessione, come se l'essere al cospetto dell'amato avesse improvvisamente riaperto una ferita mai guarita del tutto; il credente, colto da una fitta, si rende conto che ancora il cammino verso l'unico Dio è intralciato da troppe incomprensioni.
Non si può tacere la durezza del cuore, non si può negare la resistenza all'ascolto di un popolo che spesso è recalcitrante davanti alla parola udita.

Massa e Meriba sono luoghi rimasti proverbiali per la ribellione al Signore, segno e simbolo di questa fatica ad abbandonarsi fiduciosi al Salvatore nel momento in cui si pensa di morire.
Il fatto ricordato si svolge in una delle tappe nel deserto, con il popolo che protesta col Signore per mancanza d'acqua; Mosè, istruito da lui, anziché credere che parlando la roccia avrebbe fatto scaturire l'acqua, la percuote ripetutamente.
La mormorazione e la ribellione nel deserto mostrano il calo di fiducia, il dubbio che questo Dio non sia efficace, che li abbia destinati all'arsura e quindi alla morte.
Dopo tante prove in cui Dio ha mostrato di essere Liberatore e Padre, il popolo e Mosè ancora non si fidano di lui.

"Per quarant'anni mi disgustò quella generazione
e dissi: «Sono un popolo dal cuore traviato,
non conoscono le mie vie»".

Questa generazione di schiavi è stata condotta per una vita intera nel deserto, luogo privilegiato in cui familiarizzare con calma e conoscere profondamente l'amore di Dio (cfr. Os 2,16-17).
Eppure quarant'anni sembrano non essere bastati ad arrendersi, abbandonando le proprie pretese di salvarsi da soli per ancorarsi alla roccia della salvezza. Il cuore dilaniato dalla schiavitù stenta a fidarsi, teme condanne, è traviato dalla sofferenza e non riesce a vedere le vie di salvezza preparate per lui.

"Perciò ho giurato nella mia ira:
«Non entreranno nel luogo del mio riposo»".

Una generazione nata schiava, che per quarant'anni è vissuto nella ribellione, non può entrare nella terra promessa, la terra del nuovo e del futuro degli uomini liberi.
Questa generazione finirà la sua vita nel deserto; quella successiva, i figli nati nel cammino verso la libertà, entreranno nella terra della stabilità per iniziare una nuova storia.
Il vecchio non si può rivestire del nuovo, se non passando dalla morte, dall'azzeramento di tutte le storture accumulate.

Secondo il detto di Gesù: “Neppure si mette del vino nuovo in otri vecchi; altrimenti gli otri si rompono, il vino si spande e gli otri si perdono; ma si mette il vino nuovo in otri nuovi, e l'uno e gli altri si conservano” (Mt 9,15-17).

Il Salmo ci porta per mano e ci insegna che anche un memoria dolorosa può divenire occasione di preghiera; si chiude con un immagine dura ma vera, sgorgata dalla consapevolezza che uno solo è grande e re della nostra vita.

E' necessario che il cammino di fede, dolorosamente ma efficacemente, ci tolga l'illusione che si possa fare a meno di ascoltare o di lasciarsi plasmare continuamente dall'azione creatrice di Dio.
Lo vedo come un canto pasquale che preannuncia il passaggio nella morte, per entrare nel riposo in Dio che tutti desiderano.
Non è un passaggio indolore: chiede un taglio col vecchio e un tuffarsi in quegli abissi che sono nelle mani di Dio, senza nulla di proprio, senza salvagenti, per poter entrare nel nuovo che il Signore ha promesso e preparato per l'umanità intera.

Commenti

  1. 'Nella sua mano sono gli abissi della terra,
    sono sue le vette dei monti". Non quelle che vedo con gli occhi ma quelle che sento nel cuore. Abissi e vette in me. Mi esaltano e mi sgomentano. Gli abbissi dentro con il loro indecifrato contenuto mi lasciano insicuro e titubante. Le vette del mio spirito fanno brillare i miei occhi e mi fanno guardare il cielo. Due opposti insieme in me, nello stesso cuore, nello stesso spirito. Tutto abita lo stesso corpo, quello che io e gli altri vediamo. Me ne rendo conto e rimango silenzioso. Abissi e vette sono nella mano di Colui che tutto rende sensato e vitale. Respiro fiducioso e sgravato da un peso. Nella sua mano sono i miei abissi e le mie vette. Improvvisamente leggero, sorrido.

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  2. Non conoscono le mie vie...
    Signore fammi sempre seguire le TUE VIE, quelle da te indicate nella PAROLA, OPERE, in quello che hai dato per me..
    Grazie
    Cosi sia

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  3. Un salmo molto ricco... Molto vario:inno di lode, ma inno di ringraziamento anche .soprattutto ci accompagna nel pellegrinaggio verso l ingresso del tempio. Ti lodo signore perché nostri nella tua Parola che conosci fino in fondo il cuore dell'uomo descrivendo il ritmo disarmonico con il quale e nel quale viviamo. Grido l invito:"ascoltate, oggi, la sua voce"

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