Vangelo della Domenica delle Palme 14 aprile 2019


Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi.
Lc 22, 14-20

"Quando venne l’ora, Gesù prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: "Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio". 

E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: "Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio". 
Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me". E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi".

Il brano introduce la passione e morte di Gesù e Luca lo scandisce in 127 versetti (i capitoli 22 e 23) da leggere e rileggere; noi siamo chiamati a contemplare e a "vedere questo spettacolo" (Lc 23, 48) dell'apoteosi della vita del Figlio.

Scelgo di soffermarmi in questa riflessione su questi 7 versetti iniziali, cercando spunti che possano aiutarci nella meditazione di tutti e due i capitoli.
Luca è attento a riportare il clima della Pasqua ebraica, ed è l'unico dei 4 evangelisti a menzionare due dei quattro calici di vino che si bevevano celebrando il rito.
La cena pasquale ebraica si celebrava alla sera del 14, inizio del giorno 15 del mese di Nisan nel calendario ebraico. E' una cena familiare, intima, a cui partecipavano da 12 a 15 persone della casa, perché l'agnello andava consumato tutto, senza lasciare avanzi (cfr. Es 12, 1-4).


"Nel Vangelo di Luca si notano diverse scelte: il fatto di descrivere un Gesù che ha una compassione totale per Gerusalemme e per il suo popolo; un Gesù che mette il servizio e il dono al centro della sua Ultima Cena; che fonda il primato di Pietro nella sua preghiera per lui al Getsemani; che apre una speranza ai peccatori grazie alla figura del «buon ladrone»; e che costituisce le donne testimoni del Vangelo. In definitiva, è l’umanità del Cristo che Luca mette principalmente in rilievo". (Marc Rastoin)
L'incarnazione, raccontata dall'evangelista nei primi capitoli già nel concepimento, viene mostrata in tutto il suo significato nei giorni della Pasqua.
Ora tutto raggiunge la pienezza, tutto si spiega nel dono definitivo di sé.
Quella carne del Figlio che era stata donata nel nascondimento di una grotta nella "città del pane", Betlemme, diventa dono universale per ogni carne, nella condivisione finale della cena.

E' un corpo donato, che non si risparmia, che diventa cibo, nutrimento, nuova manna, perché aveva detto: "chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna "(Gv 6, 54).

"Con desiderio desiderai mangiare questa Pasqua con voi prima del mio soffrire".
Questa è la traduzione di Silvano Fausti delle parole di Luca che sottolineano l'intensità di desiderio con cui Gesù si trova a tavola a fare Pasqua con i discepoli, entrando così nel tempo finale della sua missione.
Gesù lo aveva già detto: "Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!" (Lc 12, 49)
Fanno impressione queste parole se pensiamo che Gesù ha fretta di donare la vita, ha urgenza che il Padre lo consegni agli uomini perché si riveli quanto ha "amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito"! (Gv 3, 16)
E' la descrizione passionale del saluto a coloro che ama, con cui ha scelto di finire la sua esistenza e ai quali vuole donarsi, fino in fondo.

"Non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio".
Gesù è consapevole dei fatti che porteranno alla consegna nelle mani degli uomini, fino all'escalation della condanna a morte.
E' la cena del giovedì e gli eventi decisivi si realizzeranno di lì a poco, prima del sabato di quella Pasqua.
Per altri due anni aveva celebrato la "Pesach" dei Giudei con i suoi discepoli, mangiando l'agnello senza macchia; adesso si celebra il suo passaggio, la sua immolazione.

"Questo è il mio corpo, che è dato per voi".

Quanto amore, quanta passione in queste parole! Non saprei trovare nella mia vita altra rispondenza di dono, patimento e felicità insieme, se non nella gravidanza e nel momento del parto dei miei figli!
Veramente in Gesù l'amore arriva al culmine materno e alla passione degli innamorati del Cantico dei Cantici in cui l'unione è totale e la perfezione è stare insieme:
"Quanto è soave il tuo amore, sorella mia, mia sposa,
quanto più inebriante del vino è il tuo amore” (Cc 4, 10).


"Fate questo in memoria di me" . 
Entra con forza uno degli elementi fondamentali della fede biblica: non c'è vero ascolto, che porta alla fede, senza memoria delle opere compiute dal Signore nella propria vita.
La fede nasce dall'ascolto e dal meditare, conservando gli eventi salvifici nel cuore (cfr. Lc 2, 19-2,49).
Possiamo dire che i fatti di salvezza, le esperienze in cui abbiamo toccato la misericordia e la liberazione operata dal Signore, sono da rileggere e meditare per tutta la vita e questa esegesi continua ci fa entrare nel rapporto d'amore che il Padre costruisce partendo da un incontro iniziale.
La Pasqua che Gesù ha scelto di mangiare con i suoi amici è l'evento definitivo, finale che dà luce a tutto il percorso fatto insieme in tre anni di vita comune, a partire dal primo incontro in cui ha incrociato lo sguardo con ognuno di loro.

Ma memoriale non è il semplice ricordo. Il termine ebraico "zikkaròn" rimanda ad un atto liturgico. Nel raccontare un fatto passato lo si rende presente e operante nell'oggi.

E' sacramento, che unisce la realtà visibile con la realtà interiore suscitata dallo Spirito.
Nelle catechesi della Pasqua ebraica si diceva: "In ogni generazione e generazione, ognuno è obbligato a vedere se stesso come fosse proprio lui uscito dall'Egitto".
I fatti passati del popolo diventavano fatti operanti nel presente per ogni partecipante alla mensa.

La Pasqua allora non era un rito di sola memoria: riascoltando gli eventi salvifici dei padri, si celebrava la salvezza nel presente dei commensali.
Gesù celebra quel rito e lo attualizza, modificandolo. Le parole dette sul secondo calice non sono quelle conosciute dai discepoli: sono nuove perché nuova è l'alleanza che stanno vivendo.
L'Alleanza dei padri, nel sangue immolato dell'agnello, segno di quello consumato la notte, in fretta, in Egitto, prima di fuggire dal faraone, è assunta e trasfigurata dal nuovo Agnello che dona il suo corpo e il suo sangue: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi":

“Lo spezzò”: in tutte le eucaristie il segno visibile sotto i nostri occhi non è di un corpo intatto e incolume, ma di uno spezzato col dono del sangue.
Tutte le liturgie sono un ringraziamento per lo stesso e unico dono, arrivato fino alla morte in croce.
E' il segno dei segni dell'amore del Padre. Davanti a questo non possiamo avere dubbi se Dio ci è favorevole e se ci ama.
Tutti i nostri "se" e i nostri "ma" di fronte ad una vita trafitta per noi, si spengono senza più parole.
L'amore è troppo, sovrabbondante e immeritato, per farci proferire altri dubbi o provare paure di rifiuto da parte di Dio.
Ogni anno la preziosità della Parola della Passione che viene letta tutta di seguito nella settimana santa, sono palpiti di amore che ci riportano in vita, alla vita degli amati, dei salvati, dei perdonati e dei redenti.
Con questa consapevolezza, come la sposa trepidante che si avvicina all'altare per entrare in una nuova vita di amata, entriamo nella settimana che ci porta alla Pasqua.

Commenti

  1. In questo evento culminante, Gesù rivela il desiderio di tutta la sua vita: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima di morire». La cena è l'espressione simbolica riassuntiva della sua donazione per i suoi. Il desiderio di Gesù esplicita l'intensità sommamente libera dell'amore con cui, donando il proprio corpo e il proprio sangue in alimento ai discepoli, Egli assume il sacrificio della croce, anticipandolo profeticamente nella cena.
    (Trappiste di Vitorchiano)

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  2. Processione con le palme

    L’ episodio rimanda alla celebrazione della festività ebraica di Sukkot, la “festa delle Capanne”, in occasione della quale i fedeli arrivavano in massa in pellegrinaggio a Gerusalemme e salivano al tempio in processione. Ciascuno portava in mano e sventolava il lulav, un piccolo mazzetto composto dai rami di tre alberi, la palma, simbolo della fede, il mirto, simbolo della preghiera che s’ innalza verso il cielo, e il salice, la cui forma delle foglie rimandava alla bocca chiusa dei fedeli, in silenzio di fronte a Dio, legati insieme con un filo d’ erba (Lv. 23,40). Spesso attaccato al centro c’ era anche una specie di cedro, l’ etrog (il buon frutto che Israele unito rappresentava per il mondo).

    Il cammino era ritmato dalle invocazioni di salvezza (Osanna, in ebraico Hoshana) in quella che col tempo divenuta una celebrazione corale della liberazione dall’ Egitto: dopo il passaggio del mar Rosso, il popolo per quarant’ anni era vissuto sotto delle tende, nelle capanne; secondo la tradizione, il Messia atteso si sarebbe manifestato proprio durante questa festa.
    (Famiglia Cristiana)

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  3. Un verde ramoscello per inaugurare un percorso difficile da raccontare perfino al credente che veste di miseria il divino, lo spoglia degli attributi di gloria e di potere per consegnargli la storia umana per intero, senza orpelli, senza maschere, storia di dolore, di tradimento, di caduta, di croce. Storia di storie che il quotidiano raccoglie nel cedere incalzante di vita che si fa morte, di amore che resta tradito, di pace offesa. Ma provocazione di speranza a chi credente o meno vuole dare ragione alla sua vita, trovare un senso anche alla sconfitta, ragionare di nuovo, di bello, di possibile, di vittoria mentre ancora la notte è profonda e la luce del giorno tarda a spuntare.
    (Gennaro Matino)

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    1. Bellissimo accostamento che fà spazio ad una speranza come realtà, quella del rinnovamento continuo del bene. E i
      ramoscelli sono alzati come testimoni di una volontà terrena e spirituale.

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  4. Il tema del paradosso in questa domenica trova il suo culmine nel racconto della passione, dove vediamo Gesù morire sulla croce in uno spettacolo di misterioso silenzio. Il padre non risponde all ultima parola del figlio:" padre nelle tue mani consegno il mio spirito" perche vi partecipa bel modo piu profondo e rispettoso della sua liberta. Il padre non interviene per consentire al figlio di poter dire fino in fondo ciò che gli sta a cuore- noi e la nostra salvezza-... "detto questo sputo "

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  5. Osanna al figlio di Davide osanna al redentor. Apritevi porte eterne, avanzi il re della gloria, adori cielo e terra l terno suo poter. La Santa città vi attende, la Pasqua nuova è vicina saluta il tuo fratello, depone ogni rancor. A una voce sola gridiamo a Dio che venga su questa nostra terra lui solo a regnar. Il mondo intero è il tempio del grande sacrificio e il cuor dell uomo nuovo sia il vero suo altar. Creatura più non gema: un popolo di figli ripete la passione del figlio suo Gesù .
    ( turoldo)

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  6. Fattosi carne il Verbo ora entra anche nella morte
    Ermes Ronchi

    Inizia con la Domenica delle Palme la settimana suprema della storia e della fede. In quei giorni che diciamo «santi» è nato il cristianesimo, è nato dallo scandalo e dalla follia della croce. Lì si concentra e da lì emana tutto ciò che riguarda la fede dei cristiani. Per questo improvvisamente, dalle Palme a Pasqua, il tempo profondo, quello del respiro dell'anima, cambia ritmo: la liturgia rallenta, prende un altro passo, moltiplica i momenti nei quali accompagnare con calma, quasi ora per ora, gli ultimi giorni di vita di Gesù: dall'entrata in Gerusalemme, alla corsa di Maddalena al mattino di Pasqua, quando anche la pietra del sepolcro si veste di angeli e di luce. Sono i giorni supremi, i giorni del nostro destino. E mentre i credenti di ogni fede si rivolgono a Dio e lo chiamano nel tempo della loro sofferenza, i cristiani vanno a Dio nel tempo della sua sofferenza. «L'essenza del cristianesimo è la contemplazione del volto del Dio crocifisso» (Carlo Maria Martini). Contemplare come le donne al Calvario, occhi lucenti di amore e di lacrime; stare accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, nella sua carne innumerevole, dolente e santa. Come sul Calvario «Dio non salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza; non protegge dalla morte, ma nella morte. Non libera dalla croce ma nella croce» (Bonhoeffer). La lettura del Vangelo della Passione è di una bellezza che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato; lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo sguardo. Poi giro ancora la testa, torno a guardare la croce, e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti amo. Proprio a me? Sanguina e grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti amo. Perché Cristo è morto in croce? Non è stato Dio il mandante di quell'omicidio. Non è stato lui che ha permesso o preteso che fosse sacrificato l'innocente al posto dei colpevoli. Placare la giustizia col sangue? Non è da Dio. Quante volte ha gridato nei profeti: «Io non bevo il sangue degli agnelli, io non mangio la carne dei tori», «amore io voglio e non sacrificio». La giustizia di Dio non è dare a ciascuno il suo, ma dare a ciascuno se stesso, la sua vita. Ecco allora che Incarnazione e Passione si abbracciano, la stessa logica prosegue fino all'estremo. Gesù entra nella morte, come è entrato nella carne, perché nella morte entra ogni carne: per amore, per essere con noi e come noi. E la attraversa, raccogliendoci tutti dalle lontananze più perdute, e a Pasqua ci prende dentro il vortice del suo risorgere, ci trascina con sé in alto, nella potenza della risurrezione.

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  7. Oggi mi va di risuonare poco.
    Di fronte a questa maestosità del DONO per eccellenza,si sono scritti fiumi di parole, riflessioni ( mi fa piacere ritrovare qui,anche il filologo Matino)per me tale;
    Quindi e' solo il SILEnzio ,l' essere capace di introiettare tutto questo BENE non mi basterà la vita.
    Commosso ti abbraccio,mio commensale di sempre!

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  8. Quanta infinita gioia questo vangelo, mi fa battere il cuore per il suo coinvolgimento.
    Addirittura Gesù ha urgenza nel donare la sua vita per noi, beh questa notizia straordinaria e incantevole mi toglie il fiato per la contentezza, è una immensa letizia.



    Dacci, o Signore, di celebrare la memoria della tua passione, morte e resurrezione nell' attesa della tua venuta, così da poterla riconoscere anche in quella di chi ha bisogno della nostra compassione, del nostro perdono, del nostro tempo.
    BERNHARD HARING

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