Prima lettura del 6 aprile 2019


A te ho affidato la mia causa.
Ger 11,18-20

"Il Signore me lo ha manifestato e io l’ho saputo; mi ha fatto vedere i loro intrighi. E io, come un agnello mansueto che viene portato al macello, non sapevo che tramavano contro di me, e dicevano: «Abbattiamo l’albero nel suo pieno vigore, strappiamolo dalla terra dei viventi; nessuno ricordi più il suo nome».
Signore degli eserciti, giusto giudice,
che provi il cuore e la mente,
possa io vedere la tua vendetta su di loro,
poiché a te ho affidato la mia causa".


La liturgia di oggi, in pochi versetti, ci fa vedere la passione di Geremia facendoci andare profeticamente alla passione di Gesù.
Possiamo iniziare fin d'ora a contemplare il mistero della Pasqua nella carne di questo antico profeta.

Già il 28 marzo ci siamo soffermati sulla vita di Geremia, grande profeta in Israele.

In questo brano vediamo come il Signore, che lo ha mandato ad annunciare, gli ha pure mostrato i nemici che lo circondano.
Di solito noi i nemici li intravediamo o crediamo di vederli, ne sentiamo il fiato sul collo o temiamo che arrivino all'improvviso.
Ma conoscerli apertamente è diverso!
Potrebbe buttare nel terrore e nella paralisi!
Per Geremia non è così: la voce del Signore lo preavvisa, lo accompagna e lo sostiene continuamente.
Spesso non sono le croci o le sofferenze che si abbattono su di noi a prostrarci.

E' la mancanza di sostegno, la mancanza di amore, la solitudine a farci più male in quei momenti.
Sapersi amati, compresi, sostenuti, anche se non cambia la situazione oggettivamente penosa, cambia la nostra visione del presente e del futuro e rende il momento della prova più facile da sostenere.
Coloro che osteggiano la parola profetizzata su Gerusalemme e sulla deportazione del popolo, saranno un problema continuo durante tutta la vita di Geremia, ma per tutto il cammino anche il Signore non lo lascerà solo e lo sosterrà col suo aiuto e la sua potenza.
E come Gesù, che annuncia prima ai suoi discepoli l'ora della sua morte, il Padre mette sull'avviso il profeta affinché non si perda nella prova.

"Come un agnello mansueto che viene portato al macello".
Geremia ci dà l'occasione per soffermarci sulla centralità della Pasqua.
L' Agnello è l'immagine principale di ogni Pasqua: quella di Isacco, quella di Israele, quella di Geremia, quella di Gesù.
Isacco per primo era l'agnello ignaro che il padre portava sul monte insieme al coltello e alla legna. Per lui il Signore ha provveduto un sacrificio e la sua vita fu ridata ad Abramo come il segno dell'amore di Dio che non chiede sacrifici umani.
Per Israele la Pasqua è stato il passaggio drammatico nel mare e l'agnello mangiato in piedi, prima di scappare dall'Egitto, diventerà per sempre segno della protezione di Dio nella notte più drammatica in cui gli egiziani avrebbero voluto la loro morte.
Geremia è debole e terrorizzato dai suoi compatrioti che lo minacciano in tutti i modi pur di non sentire le profezie che il Signore lo spinge a proclamare. Per questo il Signore gli mostra il pericolo ma gli assicura il suo sostegno nella prova. E' un debole, un agnello docile in balia delle fauci dei lupi, ma il Signore lo protegge dai suoi persecutori.
E infine Gesù Cristo: solo lui sarà l'agnello che soccombe nelle mani degli uomini affinché tutti abbiano la vita, ma l'Apocalisse lo vede ritto in piedi, ormai vittorioso e risorto pur con i segni della Passione (cfr. Ap 5).
Anche noi siamo sostenuti dalla Pasqua del Signore: il Battesimo è segno sorgivo nella nostra vita di questa entrata nella morte e resurrezione del Figlio.
Immolare la Pasqua, cioè attraversare le tenebre per entrare nella luce, è il segno di ogni operare di Dio che è il solo capace di attraversare la morte portando verso la vita.
Gli uomini, agnelli destinati sin dalla nascita al disfacimento e alla morte, non sono lasciati soli. Ad ognuno è annunciata la resurrezione affinché la morte non li terrorizzi come l'unico orizzonte dell'esistenza.

I nemici tramano pensando di cancellarne ogni ricordo, di spezzare per sempre il senso divino dell'esistenza di Geremia, e dicono: "Abbattiamo l’albero nel suo pieno vigore, strappiamolo dalla terra dei viventi".
Le parole di coloro che vogliono ghermire la sua vita, sono in effetti profetiche: veramente è un giusto, solido come un albero rigoglioso, cresciuto lungo corsi d'acqua e carico di frutti (cfr. Salmo 1).
Non ne sopportano più la voce perché troppo dure le sue parole, svelatrici di paure e colpe che non vogliono guardare.
Così si adoperano, ma non per tornare al Dio vivente e farsi condurre da lui, ma per sopprimere la sua bocca, il profeta, che gli ricorda la caduta e la perversione agli idoli.
Ma sono trame vane quelle che circondano ogni profeta del Dio vivente.
Gesù muore sulla croce ma realizza, nella risurrezione, la parola che Dio rivolse a Geremia: "Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti" (Ger 1,18).

Nel fallimento e nella morte del profeta, la debolezza di una Parola, che si presenta inerme, ma che si rivela più forte di tante armi perché la fedeltà del Signore non viene meno e realizza ciò che annuncia.
"A te affido la mia causa" prega Geremia, anticipando l'abbandono fiducioso del Crocefisso. Il Signore saprà come distruggere i nemici. Solo in lui, giusto giudice, “fiorirà la giustizia e abbonderà la pace" (Sal 72,7).
Nella storia del profeta gli eventi saranno sempre più drammatici ed egli arriverà a dire: "Quanto a me, eccomi in mano vostra, fate di me come vi sembra bene e giusto" (Ger 26,12-14).

E' come l'affidamento totale di Gesù in preghiera nel Getsemani quando si prepara a mettersi nelle mani degli uomini: "non sia fatta la mia, ma la tua volontà" (Lc 22,42).

In un verso di padre Turoldo la sua perenne attualità:
"Tu, Geremia, il profeta più solo,
sei dell'autentica chiesa la voce;
annuncio di Cristo come nessuno,
di quanti oggi puoi esser figura?".

Commenti

  1. La prima confessione parte da una realtà che Gesù ha ben sottolineato, guardando all’esperienza dei
    profeti che l’hanno preceduto e alla propria con i suoi familiari e compaesani: un profeta è
    disprezzato soprattutto nella sua patria, tra i suoi parenti e nella sua famiglia (Mc 6,4). Geremia si
    lamenta con Dio per questa opposizione dei suoi parenti e compaesani.
    Il motivo vero di questa lotta è la sua scelta di essere profeta, di essere profeta contro, di essere
    diverso da quello che i suoi parenti e i suoi compaesani si aspettavano da lui. Anche Gesù è stato
    rifiutato per questo, per le sue scelte di diversità, di contestazione della religiosità tradizionale,
    vissuta anche dai suoi familiari e compaesani. Fin che stava tranquillo e si comportava come tutti,
    fin che predicava la speranza e confermava la vita che si era sempre fatta, fin che parlava di fede e
    di amore… poteva essere anche un onore avere un profeta. Ma quando ha incominciato a fare scelte
    diverse, a contestare tradizioni ed usanze, a chiedere di cambiare, a denunciare violenze e soprusi, a
    contestare i capi e il loro ottuso legalismo… allora è scattato il rifiuto, l’emarginazione, la lotta.
    Solo pochi accettano di mettersi in discussione, di coinvolgersi nell’impegno di fare un passo in
    avanti, di riconoscere un dono di Dio proprio in una persona che si conosce molto bene, anche nei
    suoi limiti umani. Questo vale sempre nelle famiglie, nelle comunità, nei percorsi formativi, nei
    gruppi, nelle istituzioni.
    Il lamento di Geremia dà voce all’esperienza di tante persone emarginate anche oggi.
    (Sergio Carrarini)

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  2. Bonhoeffer, nel 1928, parla del profeta in una conferenza a Barcellona:

    Che cosa è un profeta? …Un profeta è un uomo che si sa preso da Dio e chiamato in un
    momento determinato, sconvolgente della sua vita, ed ora non può più fare altro che andare in
    mezzo agli uomini e annunziare la volontà di Dio. La vocazione è diventata il punto di svolta
    della sua vita, e per lui c'è ancora soltanto una cosa, il seguire questa vocazione, ammesso
    pure che questa lo porti all'infelicità e alla morte. Così dice Amos (3,8): «Il Signore Iddio
    parla, chi può non profetare?».
    (Dietrich Bonhoeffer)

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  3. Ancora nella stessa conferenza dedica ampie parti al dramma di Geremia:

    Colui che era legato al suo popolo con amore bruciante, doveva sperimentare il carcere come
    un vigliacco o un disertore, poi la completa emarginazione con l'esser gettato in una profonda
    cisterna, finché accadde quello che egli aveva profetizzato: Gerusalemme cadde, in un attimo
    fu conquistata, il tempio distrutto, la famiglia del re giustiziata, e il popolo portato in
    prigionia, lontano dalla terra tanto celebrata, dal tempio, dalla patria che Jahwè gli aveva dato.
    L'ultima parola che il vegliardo Geremia riceve da Dio, è sconsolata: «Ecco: ciò che ho
    costruito, Io lo demolisco, ciò che ho piantato, Io lo sbarbo18... e tu pretendi grandi cose per
    te?» (Ger. 45,4 s.). Dio stesso soffre: come può allora un uomo lamentarsi del dolore! Un
    discorso funebre impressionante su tutte le speranze nutrite dal profeta. Dio stesso ha il cuore
    spezzato; non si doveva spezzare quello dei suoi fedeli? Si era alla fine, i profeti erano stati
    sconfitti, la tragedia della loro vita era compiuta, il sipario calava, il quinto atto era finito;
    eppure nella notte che aveva fatto irruzione, si annunciava già da lontano l'albeggiare di un
    giorno, ed era come se invisibilmente continuassero sempre ad esserci le ombre dei grandi
    profeti intorno al popolo; essi avevano dato il loro sangue per il popolo, e questo non poteva
    andar perduto in eterno. No, questo seme di sangue doveva germogliare, e ha germogliato.
    (Dietrich Bonhoeffer)

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  4. Perdonare è riavviare una nuova storia .... aiutami

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  5. Brutto leggere di spargimento di sangue,di partecipazione a questo spargimento.....????
    Mi spiace aver dedotto questo,anche dopo le parole di un commentatore...
    Io non credo di dover aggiungere nulla a quell' UNICO atto compiuto per il bene di tutti!
    Ecco,Signore fammi solo capacitare che ciò è successo una volta per tutte ,anche per me.
    Ogni TUO gesto compiuto ,anche per me.
    Che ti sono prezioso.
    Grazie

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  6. Grande Profeta Geremia, sento forte il suo tormento interiore, la sua paura e solitudine, ma il Signore non ci lascia mai soli, infatti Geremia come tutti gli altri profeti sono sempre accompagnati e protetti da Dio e questa è la notizia più bella e consolante.
    Lo sconforto di Geremia ci accomuna molto, quante volte ci è capitato? A me spesso! Mi viene in mente il salmo 23 che mi è sempre di grande aiuto....
    «Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte,
    io non temerei alcun male,
    perché tu sei con me;
    il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza».
    Geremia è stato chiamato da Dio per annunciare a noi la sua volontà salvifica, è una Parola vera e fidata, è la Parola del Padre. Quanta gioia sapere che Dio si fida di noi e che ci svela il suo progetto di vita piena ad ognuno.
    Ti ringrazio Signore per la tua fedeltà e le tue promesse.

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