Prima lettura del 25 ottobre 2019


Chi mi libererà?
Rm 7, 18-25

"Fratelli, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.
Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra.
Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!"

Brano fondamentale da leggere con tanta attenzione e riconoscenza verso Paolo, che ci permette di entrare in una dimensione faticosa del suo vissuto che fa da specchio al nostro.
Se dovessimo pensare ad una persona "per bene" tra i primi cristiani o tra gli antichi, penseremmo certamente a San Paolo. Eppure egli di sé stesso dice:
"io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene".
È una scoperta difficile da accettare per noi che abbiamo idealizzato i santi, ancora più faticosa da ammettere intimamente, per Paolo e per ogni uomo.
La carne, cioè il nostro io fragile, incline al male, facilmente seducibile, non va spontaneamente verso il bene.
Il bene non è lo stile, l'abitudine ovvia dell'io.

Facendo un ulteriore passo dice: "in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo".
Affermazione frustrante!
Paolo sa bene che lo sforzo per salvarsi, non è efficace. Le buone intenzioni di bene per noi e per gli altri spesso rimangono solo desideri che si scontrano con le nostre possibilità. Non è per niente ovvio che "basta la buona volontà"!
La capacità reale, concreta di compiere il bene, di vivere nella verità, onestamente ci manca.

E arriviamo al paradosso: "infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio".
Quante volte parto per fare una cosa buona e combino un disastro, vado per chiarire con una persona e me ne torno con più incomprensione e inimicizia... È veramente angosciante ammettere queste cose. Ma l'esperienza ci impedisce di negarle.

Ed ecco una prima conclusione: "Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me".
Paolo focalizza il motivo di questa lacerazione tra le aspirazioni e la realtà delle nostre azioni: il peccato!
In noi abita una pulsione non controllabile che ci spinge a fare quello che non vorremmo. Non siamo più noi a scegliere!

Questo problema "originale" ci possiede tutti e ci fa tutti bisognosi di riconoscerlo e cercare colui che possa liberarci.

"Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me".
Strana tragica legge con cui ci scontriamo ogni giorno! Noi che siamo i teorici del bene senza macchia, giudici di mali incontrovertibili, che negli altri scoviamo subito come travi da rimuovere senza clemenza, ci ritroviamo con un male addosso che non ci saremmo mai immaginati di poter fare, che facciamo contro ogni nostro desiderio.

E' una vera e propria frattura: "nel mio intimo acconsento alla legge di Dio", "ma nelle mie membra vedo un’altra legge".
Il mondo dei desideri e il mondo dei sensi ci spingono sempre più in direzioni diverse da quelle che vorremmo. Viviamo su due piani diversi. In teoria vorremmo una cosa, nei fatti ne realizziamo un'altra. Paolo parla di un combattimento "contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato".
È una vera situazione di schiavitù, di dipendenza da ciò che ci impedisce di camminare verso ciò per cui siamo fatti. Una divisione profonda che noi non riusciamo a superare.

Penso che un'analisi così stringente e onesta si riesce a fare poche volte nella vita! Arrivare ad ammettere di essere incapaci di vivere da "brave persone" come ci ritenevamo, togliere la maschera con noi stessi, è l'abbassamento più profondo che si possa raggiungere. La perdita delle illusioni sulla nostra bravura, scoprire che il male da cui volevamo difenderci non è fuori di noi, ma che ci abita, è motivo di profonda tristezza: "Me infelice!" dice Paolo.

Per questo l'apostolo ha un'esclamazione accorata che chiunque farebbe onestamente: "Chi mi libererà da questo corpo di morte?"
Chi sanerà questa profonda divisione interiore? C'è una via di uscita?
Siamo impediti da un intralcio troppo grande per superarlo da soli, schiavi di una situazione di morte che ci fa seminare dolore anziché pace e gioia.
Ecco che sorge finalmente la realtà che avevamo soffocato: abbiamo bisogno di un liberatore, di colui che possa distruggere per noi il peccato.

Paolo prorompe finalmente nell'annuncio, colmo di gratitudine, perché ha sperimentato che la salvezza è possibile: "Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!"
Cristo è la nostra Pasqua, colui che ci strappa dalla morte e ci ridona vivi al Padre.
Nella sua vita e nella sua morte, con il dono della riconciliazione continua e il dono dello Spirito, il Padre ci ha aperto la strada della liberazione e della salvezza.

Queste poche righe della lettera ai Romani, mi sono molto care. Quando sentimenti contrastanti combattono dentro di me, portandomi un malessere indistinto, il solo ripetermi queste parole mette a fuoco la verità di ciò che sono.
E' vero, sono incapace di amare come sento e come vorrei; scopro nel più profondo di me stessa che sono ostacolata a realizzare ciò che reputo più importante: il rapporto con i fratelli e col Signore.
C'è da esultare e lodare perché dalle spine che potrebbero soffocare la vita, nascondono fiori che il Signore fa sbocciare, ciò che potrebbe essere distruttivo per me, la Parola lo trasforma in sollievo; ciò che potrebbe dividermi ancora di più dai fratelli, diventa il terreno comune in cui perdonare e farsi perdonare.

Commenti

  1. Questo testo potrebbe essere intitolato “Le Confessioni di Paolo”. Come farà in seguito S. Agostino e tanti altri nel corso dei secoli, l'Apostolo denuncia una situazione di disagio profondo e di una “costrizione” verso il male che lo umilia nella sua umanità. E' la situazione di tutti noi, che rileviamo ogni giorno questo dramma di vita e la presa di coscienza di essere in lotta con la nostra volontà più profonda. Facciamo il male che non vogliamo e non realizziamo il bene di cui vediamo la luce e la bontà. Tuttavia, Paolo, di fronte a questa situazione, non giunge alla sconfitta e al pessimismo. Non si lascia vincere dall'ineluttabilità del male. C'è sempre lo Spirito che ci accompagna, che prega, con gemiti, per noi, che ci aiuta a ricominciare di nuovo, ogni giorno che incomincia verso il Bene.
    (Graziella Curti)

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  2. Paolo riconosce che, anche come credente, egli ha dentro di sé il principio del peccato che un tempo regnava su di lui e che tuttora esprime attraverso azioni sbagliate che lui non vuole compiere. Credo che questo è un problema comune a tutti i credenti.

    Galati 5:17  “la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito, e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; e queste cose sono opposte l’una all’altra, cosicché voi non fate quel che vorreste”

    Paolo era  consapevole della presenza del peccato nella sua vita, odia il peccato, ma lo combatte, riconosce che la legge è santa, giusta e buona,, ma nonostante tutto non riesce ad ubbidire alla legge di Dio: “Infatti il bene che io voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio”  questa lotta “la legge del peccato che è nelle mie membra” come dice Paolo è stata l’esperienza reale di molti cristiani. Paolo era una persona che cercava di imparare dalle sue esperienze e quindi conclude il v.21 “Io scopro dunque questa legge: che volendo fare il bene, in me è presente il male” non si riferisce a quella di Mosè, ma alla legge del peccato sempre presente in ogni individuo anche se hai il desiderio di fare il bene.
    (https://tantitestiunsignificato.wordpress.)



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  3. L’esperienza di San Paolo è anche la nostra: quante volte ci siamo proposti di rimanere calmi e pazienti, di non dire neanche una parola e invece subito dopo abbiamo perso la pazienza e abbiamo parlato?
    Quante volte si vorrebbe dominare in maniera perfetta qualche impulso sensuale e invece ci troviamo anche solo parzialmente coinvolti, nonostante la nostra volontà contraria?
    L’inclinazione al male è un peso che talvolta si fa sentire.
    Per questo San Paolo dice: “faccio il male che non vorrei fare mentre non compio il ben che vorrei fare”.
    (Angelo Bellon)

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  4. C è una realtà in noi che è costitutiva: siamo fango, terra con il Soffio vitale dentro.... Dal momento che ci siamo questa è la nostra fattezza: un cuore con desideri grandi e un corpo che ti porta a bassezze. Signore voglio farti una preghiera: grazie perché hai messo in me il tuo Spirito vitale, sostieni la mia debolezza che è quella parte di umanità che mi connota come creatura.sia la tua misericordia ad accogliere e sostenere la mia fragilità

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