Prima lettura del 7 ottobre 2019

La salvezza viene dal Signore
Gio 2, 3-10

"3 Nella mia angoscia ho invocato il Signore
ed egli mi ha risposto;
dal profondo degli inferi ho gridato
e tu hai ascoltato la mia voce.
4 Mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare,
e le correnti mi hanno circondato;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.
5 Io dicevo: «Sono scacciato
lontano dai tuoi occhi;
eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio».
6 Le acque mi hanno sommerso fino alla gola,
l'abisso mi ha avvolto,
l'alga si è avvinta al mio capo.
7 Sono sceso alle radici dei monti,
la terra ha chiuso le sue spranghe
dietro a me per sempre.
Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita,
Signore, mio Dio.
8 Quando in me sentivo venir meno la vita,
ho ricordato il Signore.
La mia preghiera è giunta fino a te,
fino al tuo santo tempio.
9 Quelli che servono idoli falsi
abbandonano il loro amore.
10 Ma io con voce di lode
offrirò a te un sacrificio
e adempirò il voto che ho fatto;
la salvezza viene dal Signore»".


Il libro di Giona è il racconto di una parabola che ha sullo sfondo il grande tema della misericordia di Dio per i pagani. Tema difficile per l'antico Israele, sinceramente convinto dell'esclusività della salvezza a loro vantaggio.
Un uomo, Giona, che significa colomba (evoca la colomba di Noè, segno della fine del diluvio), viene chiamato da Dio per andare ad invitare alla conversione la pagana e feroce città di Ninive.
La scelta di Dio è aberrante per Giona che vuole fuggire per non svolgere il suo compito. Mentre è in fuga per mare, il Signore fa in modo che i marinai lo buttino dalla barca per calmare una tempesta. E così il povero Giona si trova in fondo al mare, nel ventre di un grosso pesce e da qui eleva la preghiera che la liturgia ci fa meditare oggi.
È un salmo meraviglioso se pensiamo che è preghiera di chi si sente perso, dalla profondità di una situazione mortale.

"Nella mia angoscia ho invocato il Signore
ed egli mi ha risposto".

Quell'uomo fuggito per non annunciare la misericordia di Dio ai pagani, ha ora bisogno di misericordia. Nell'angoscia profonda di quei momenti drammatici Giona crede a quella misericordia ed è certo che il Signore non lo abbandonerà in questo nella morte.

"Dal profondo degli inferi ho gridato
e tu hai ascoltato la mia voce".

Giona si sente ormai nel regno dei morti (gli inferi) ma non dispera, la sua voce trova la forza di gridare.
Dio non è lontano dagli inferi, che ci sembrerebbe un mondo non toccato dalla sua presenza. Lui è lì, nelle tenebre, e il suo orecchio è attento al grido di angoscia che sale dal cuore di ogni uomo.

"Mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare".
Riconosce che quello che sta vivendo è opera di Dio per lui. La vita di Giona è ancora e sempre nelle mani del suo Dio.
"Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire" (1Sam 2, 6), è la fiducia che la Bibbia continuamente testimonia.

"Le correnti mi hanno circondato;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati".

Sono immagini che dicono tutta l'impotenza e l'incapacità di salvarsi e uscire con le proprie forze da questa situazione di prigionia. Giona che contesta un Dio troppo misericordioso ora scopre che di quella misericordia, che voleva negare a "chi non se lo meritava", ne ha bisogno lui!
Quando tutto fila liscio si può filosofeggiare cavillando su Dio e i suoi modi di fare; quando non si è nel bisogno, si giudica chi lo è e si reputa importuna l'insistenza nel supplicare grazia; quando ci si sente dalla parte del popolo eletto, si condannano e disprezzano coloro che ne sono stati esclusi.

"Sono scacciato
lontano dai tuoi occhi;
eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio".
Quanta fiducia e speranza in queste parole! Giona in fuga da Dio e dalla sua missione si sente espulso dalla sua presenza, non più uno di casa con cui discutere alla pari, come faceva prima!
Eppure non è senza speranza. È certo di poter rivedere la città santa e il suo Tempio. Nessuna avversità può uccidere una vera speranza fondata in Dio; nel momento dell'angoscia riaffiorirà con potenza inaspettata.

"Tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita,
Signore, mio Dio".

Ha toccato il fondo e ora si sente già in risalita, perché Dio non lo abbandona e lo attrae verso la luce. Dal profondo di tante situazioni dolorose spesso si desidera veramente l'abbraccio di Dio e si intravede la sua luce all'orizzonte. Non c'è profondità che il Signore non possa raggiungere e illuminare.

"Quando in me sentivo venir meno la vita,
ho ricordato il Signore".

Ecco il segreto della preghiera di Giona: il ricordo, la memoria di cosa Dio ha fatto per i suoi figli! Coltivare la memoria di Dio, è uno dei compiti più essenziali della nostra preghiera. Un credente senza memoria ha poco fiato per percorrere il suo cammino e presto si ferma disorientato.

"Quelli che servono idoli falsi abbandonano il loro amore".
Di questo è certo, il suo è un amore vero, tenace perché è rivolto al Vivente. Agli idoli falsi corrisponde un amore di facciata che nella prova si sbriciola lasciando il posto all'amarezza.

"Ma io con voce di lode
offrirò a te un sacrificio
e adempirò il voto che ho fatto;
la salvezza viene dal Signore".

Ancora un atto di fede: Dio è l'unica fonte di salvezza. Il buio profondo in cui si trova non scalfisce questa sua profonda convinzione.
E' una bellissima affermazione a cui tutti noi ci aggrappiamo quando di salvezza non se ne vede all'orizzonte.
Sembra riecheggiare il Salmo 18 che con tante figure proclama di quanta salvezza il Signore è capace e di quante protezioni abbiamo bisogno per sopravvivere nel dolore e nei problemi:
"Ti amo, Signore, mia forza,
Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore,
mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;
mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo" (Sal 18, 2-3).
Giona, il profeta ribelle, quello che parla con Dio a tu per tu contestandolo, come fa un figlio adolescente col proprio genitore, riesce ad innalzare la lode al solo che salva e fa un voto da adempiere, un legame che dà forza nella prova e che verrà sciolto nel Tempio del Signore, al suo cospetto.


La lotta non finisce qui. Giona è un profeta, profondamente legato al Signore, ma questo non toglie la resistenza ad arrendersi ad una misericordia spropositata, all'amore senza limiti del suo Dio che abbraccia anche i popoli lontani e i nemici d'Israele.
E il Signore lotta con lui e più di lui e non si arrende: Giona è un suo figlio prezioso e, prima che di Ninive, deve prendersi cura del cuore del suo profeta.

Commenti

  1.  Il libro di Giona non narra avvenimenti che si sono avverati in un lontano passato; è una parabola. Nello specchio di questo racconto parabolico appare il futuro e nello stesso tempo viene sempre di nuovo spiegato alle diverse generazioni il presente, che solo nella luce del futuro – in ultima analisi in quella luce che proviene da Dio – può essere capito e rettamente vissuto. Perciò questa parabola è profezia: essa getta la luce di Dio sul tempo e con ciò ci chiarisce la direzione in cui dobbiamo muoverci perché il presente si apra sul futuro e non vada in rovina. In questa parabola profetica si possono distinguere tre cerchi.

    Il testo annuncia a Israele incredulo la salvezza per i pagani, anzi, che i pagani precederanno Israele nella fede. L’ingresso dei pagani nella fede nell’unico Dio, che si è rivelato a Israele sul Sinai e oltre, risulta chiaramente in due passi del piccolo libro. I marinai (cfr. Gn 1,4-16), che normalmente venivano considerati come crudeli e lontani da Dio, si convertono quando assistono al placarsi della tempesta. Riconoscono che la descrizione che Giona ha dato del suo Dio è vera: è il Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra. Riconoscono questo Dio del cielo come l’unico vero Dio che tiene in mano l’universo. E sanno che il riconoscimento deve diventare un atto: già sulla nave fanno un sacrificio e promettono nuove azioni di grazie non appena saranno giunti a destinazione. Importante è che Gerusalemme non appare più come l’unico luogo in cui si può sacrificare a Dio – il suo tempio è ovunque. Ancora un altro elemento è importante in questo racconto: i marinai si erano mostrati pieni di compassione e rispetto di fronte alla vita umana e solo su insistenza di Giona avevano osato gettarlo in mare, nello stesso tempo però implorando perdono per questo sacrilegio. In questa loro umanità si può vedere, per così dire, una disposizione alla grazia, che rendeva loro possibile l’accesso alla fede.
    (Joseph Ratzinger)


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  2. Il libro di Giona ci annuncia l’avvenimento di Gesù Cristo – Giona è una prefigurazione della venuta di Gesù. Il Signore stesso ci dice questo nel Vangelo del tutto chiaramente. Richiesto dai giudei di dar loro un segno che lo riveli apertamente come il Messia, risponde, secondo Matteo: "Nessun segno sarà dato a questa generazione se non il segno di Giona profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra" (Mt12,39s). La versione di Luca delle parole di Gesù è più semplice: "Questa generazione [...] cerca un segno ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona. Poiché come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione" (Lc11,29s). Vediamo due elementi in entrambi i testi: lo stesso Figlio dell’uomo, Cristo, l’inviato di Dio, è il segno. Il mistero pasquale indica Gesù come il Figlio dell’uomo, egli è il segno in e attraverso il mistero pasquale.
    Nel racconto veterotestamentario proprio questo mistero di Gesù traspare del tutto chiaramente. Nel primo capitolo del libro di Giona si parla di una triplice discesa del profeta: egli scende al porto di Giaffa; scende nella nave; e nella nave egli si mette nel luogo più riposto. Nel suo caso, però, questa triplice discesa è una tentata fuga davanti a Dio. Gesù è colui che scende per amore, non per fuggire, ma per giungere nella Ninive del mondo: scende dalla sua divinità nella povertà della carne, dell’essere creatura con tutte le sue miserie e sofferenze; scende nella semplicità del figlio del carpentiere, e scende nella notte della croce, infine persino nella notte dello Sheòl, il mondo dei morti. Così facendo egli ci precede sulla strada della discesa, lontano dalla nostra falsa gloria da re; la via della penitenza, che è via verso la nostra stessa verità: via della conversione, via che ci allontana dall’orgoglio di Adamo, dal volere essere Dio, verso l’umiltà di Gesù che è Dio e per noi si spoglia della sua gloria (Fil 2,1-10). Come Giona, Gesú dorme nella barca mentre la tempesta infuria. In un certo senso nell’esperienza della croce egli si lascia gettare in mare e così placa la tempesta. I rabbini hanno interpretato la parola di Giona "Gettatemi in mare" come offerta di sé del profeta che voleva con questo salvare Israele: egli aveva timore davanti alla conversione dei pagani e al rifiuto della fede da parte di Israele, e per questo – così dicono – voleva farsi gettare in mare. Il profeta salva in quanto egli si mette al posto degli altri. Il sacrificio salva. Questa esegesi rabbinica è diventata verità in Gesù.
    (Joseph Ratzinger)

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  3. Nel ventre del grosso pesce Giona prega. La preghiera che sgorga dalla sua bocca è un salmo di
    invocazione dal profondo abisso in cui egli si trova: è la scoperta che per andare oltre la sua situazione
    di sofferenza e di oppressione solo il ricordo del Signore Dio rende possibile il suo ritorno alla vita. La
    presenza liberante e vicina del Dio fedele lo hanno fatto risalire dalla fossa.
    Questa seconda parte del libro ha per messaggio fondamentale la salvezza sperimentata da Giona, non
    per sentito dire, ma come esperienza coinvolgente la totalità della sua esistenza: „nella mia angoscia ho
    invocato il Signore ed egli mi ha esaudito... la terra ha chiuso le sue spranghe dietro a me per sempre.
    Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita...‟ (2,3.7).
    Giona nei tre giorni e tre notti scopre la potenza di vita e di liberazione che viene dal Dio che fa risalire
    dalla fossa, sperimenta il senso più profondo della preghiera, come memoria della fedeltà del Signore, e
    sacrificio di lode: immerso nel mare, luogo delle capricciose forze del male e della morte, e ingoiato
    nelle viscere del grosso pesce, mostro vorace simbolo del regno della morte, Giona scopre la vicinanza di Dio, la sua liberazione come una resurrezione e si scopre „salvato‟.
    (Alessandro Cortesi)

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