Vangelo di domenica 6 ottobre 2019

Se aveste fede...
Lc 17, 5-10

"In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»”.


Due detti di Gesù, preziosi, per imparare a discernere i misteri del regno.
Due parole da meditare una alla volta perché ognuna ci dà un insegnamento prezioso.

La prima parola riguarda un nodo cruciale in Israele. Nella prima lettura di oggi il profeta Abacuc afferma: "Il giusto vivrà per la sua fede" (Ab 2, 4).
Affermazione quanto mai vera, che però era diventata il vanto di Israele e la separazione dagli altri popoli, colpevoli di non possederla.
Cos'è la fede? E quanta fede ho? Due domande difficili.
Gli apostoli chiedono: "Accresci in noi la fede!".
La fede aumenta o diminuisce? No, piuttosto o c'è o non c'è.
Se fanno questa domanda è perché gli apostoli si rendono conto di esserne carenti. Guardando alla prassi del Maestro, la loro fede, fondata fino a quel momento sulla tradizione tramandata dai padri, vissuta come osservanza alla legge e come prassi di separati dai pagani, vacilla!

"Se aveste fede quanto un granello di senape".
Ecco la risposta, che, ad ascoltarla bene, fa male! Quel "se aveste" suona come una pugnalata alla nostra sicurezza di essere cristiani arrivati!
Intanto vediamo che la senape è una pianta che raggiunge al massimo i tre metri di altezza e che si intravede facilmente nella vegetazione tra i dirupi della Palestina. Ha fiori minuti gialli e i frutti contengono semi piccolissimi, coltivati da sempre per insaporire i pasti.
Piccolo seme ma con molto sapore.
Forse per questo Gesù lo usa per paragonarlo alla fede e al regno.
"Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami"(Mt 13, 24-25).


La fede, piccola e fragile realtà, è un seme senza grandi aspettative ma cresce e si rafforza con l'ascolto della Parola. Fede è fiducia, affidamento: più aumenta la fede, più diminuisce il nostro potere; più ci si affida, meno si tengono in conto le nostre possibilità; più la fede ci abita e più la vita acquista sapore.
La fede non si può possedere, ci possiede; non si può accumulare, ci svuota dalle nostre pretese di auto-salvezza.
Noi viviamo di fiducie varie: ma bisogna vedere su cosa si appoggiano.
Una fede, seppur piccola, se è riposta nel Signore può mostrarci cose grandi: la sua fedeltà, i suoi doni e le sue opere stabili.
E con un immagine paradossale, il comando dato ad un gelso di sdradicarsi e piantarsi nel mare, Gesù ribadisce che: "nulla è impossibile a Dio" (Lc 1, 37).

La fede porta la fragilità dell'uomo sul terreno delle possibilità illimitate del Signore, apre ad un'altra potenza che non è la propria.
Ecco cos'è fondamentalmente per un uomo di fede: credere che a Dio tutto è possibile e fidarsi perciò di lui, riconoscendosi limitato e infedele.

L'altro detto riguarda una cosa che stava molto a cuore a Gesù: il servizio e lo stile che deve caratterizzare profondamente la vita degli apostoli.
Chiariamo subito che "servi inutili" non è da intendere in senso dispregiativo, ma nel senso di servi il cui servizio non è più necessario, quindi servi capaci di mettersi da parte.

"Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”?
È una domanda che ha in sé già la risposta: nessuno!
Nessuno ha un servo che poi lui stesso deve servire. Non avrebbe senso. Né un servo potrebbe pretendere questo.
Un servo che ha fatto il suo lavoro nei campi, rientrato in casa continuerà a servire anche lì. Può accampare pretese diverse?

"Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?".
Quale debito può legare il padrone verso un suo servo per aver eseguito i suoi ordini? In fondo ha fatto solo il suo dovere. Compito del servo è servire. Fatto il suo compito si mette da parte senza pretese, fino a quando non dovrà fare un altro servizio.

Perché Gesù dice queste cose?
Perché sta parlando degli apostoli e del loro servizio: "Così anche voi", che siete qui per servire i fratelli, "quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato", cioè vissuto fino in fondo la vostra missione, "dite
«Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»".

Riconoscete, vuol dire Gesù, che nessuno vi deve niente ed è il momento di mettersi da parte e lasciare che i fratelli, che giustamente avete servito, vivano la loro vita.

Sono state parole necessarie e provvidenziali per gli apostoli e i primi cristiani che nel nascondimento della missione, rischiando la vita continuamente, erano al servizio dei nuovi convertiti.

Per loro passare dai primi posti riservati a scribi, farisei, sacerdoti, a quelli di servitori della Parola era stato molto difficile. Ricordiamo come ambivano e litigavano per stabilire chi fosse il più grande! (cfr. Mc 9, 34)
Ma sono parole preziose molto più per noi, che dimentichiamo facilmente di essere alla sequela di un Maestro che si è fatto ultimo per salvare tutti, servo di ognuno proprio perché era il più grande.
La nostra idea malata di servizio, che termina sempre con la pretesa di riconoscimento, applausi, complimenti, và evangelizzata e continuamente riportata alla missione a cui ci chiama il Vangelo.
Non ci siamo offerti noi per essere evangelizzatori. Riconosciamo di essere stati chiamati e se il nostro desiderio è servire come Gesù, come lui facciamoci servi che lavano i piedi, diamo la possibilità di camminare spediti ai fratelli a cui annunciamo l'amore che ha riempito la nostra vita.

Commenti

  1. La risposta di Gesù mette in campo un'immagine paradossale tesa a sottolineare come la fede se autentica è sempre efficace e capace di grandi cose, anche se è piccola come un granello di senape. Notiamo che il gelso era considerato un albero molto difficile da sradicare, per la forza delle sue radici.
    (Monastero Matris Domini)

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  2. Al termine di questo testo che parla del fare quanto Dio ci dà da fare, questo è la fede, compiere il nostro servizio e in quello esser contenti e in quello vivere la fede. “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite, siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. L’idea è quella di essere inutili. Ecco, ne deriva un concetto molto umile di non essere imprescindibili, cosa sicuramente importante, che ci serve, però proprio perché inutile, già nel latino vuol dire una cosa un po’ diversa. In utilis, cioè colui che non ha utile. Nel termine acreios, c’è un alfa privativo rispetto ad un termine che indica chi ha diritto a salario. Siamo senza diritto a salario. Non mi si deve pagare. Siamo senza utile. Inutili per questo. E infatti dicono:” Siamo servi che non devono esser pagati perché abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.

    Ovverosia. Qua si tratta di capire che la ricompensa della fede, è la fede stessa. Che non ho bisogno di avere una quantità di risultato, non ho nessun bisogno di esser pagato, per vivere la vita della fede. È vivere la vita della fede la ricompensa a se stessa. Cioè la realtà di vivere le cose di Dio, di lavorare nella sua vigna, già è salvezza.
    (Fabio Rosini)

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  3. “Accresci in noi la fede”. La domanda dei Dodici ci porta alla mente una situazione simile, che troviamo nel vangelo più antico, quello di Marco. In questo, subito dopo il racconto della trasfigurazione, il padre di un ragazzo posseduto si rivolge a Gesù chiedendogli la liberazione del figlio, dicendogli: «Credo; aiuta la mia incredulità» (Mc 9,24; alla lettera: «Credo, vieni in soccorso alla mia incredulità»). Il Signore gli risponde non con parole, ma con il miracolo, esorcizzando lo spirito impuro. Il vangelo di Matteo racconta lo stesso episodio ma lo amplifica, aggiungendo la reazione dei discepoli (che Marco non ci tramanda), e registrando le stesse parole di Gesù che ascoltiamo oggi: «Allora i discepoli si avvicinarono a Gesù, in disparte, e gli chiesero: “Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?”. Ed egli rispose loro: “Per la vostra poca fede. In verità io vi dico: se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: ‘Spòstati da qui a là’, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile”». (Mt 17,19-20).
    (Giulio Michelini)

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  4. Come è preziosa e illuminante questa pagina del vangelo di Luca, la fede ci salva!


    Gesù vuole traghettare i suoi discepoli dalla religione alla fede, da un rapporto con Dio basato sulla
    sottomissione, sull’obbedienza alle sue leggi, un rapporto che rende il credente un servo nei confronti del
    suo Signore, a un rapporto con il Padre basato sulla somiglianza e la pratica del suo amore. Un rapporto
    questo che rende il credente figlio di Dio. Ecco Gesù propone un’alternativa, lui non impone, ma offre. O si diventa figli di Dio, quindi pienamente
    liberi di amare di servire, o si rimane nella condizione di servi. Ma chi rimane nella condizione di servo non
    potrà mai sperimentare la libertà, la pienezza e la gioia che la comunione di Dio che si rivela come un
    Padre ai suoi può manifestare.
    PADRE ALBERTO MAGGI.

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