Prima lettura di domenica 20 ottobre 2019
Le sue mani rimasero ferme
Es 17, 8-13
"In quei giorni, Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm.
Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle.
Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole.
Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada".
Bellissimo episodio della vita di Mosè, altamente simbolico.
In molti trattati sulla preghiera i padri della chiesa hanno colto il profondo insegnamento sulla forza della preghiera.
Israele è il popolo di Dio, sua proprietà, e da Dio gli viene ogni cosa, vita e morte, sconfitta e vittoria. Questa è l'esperienza della fede di un popolo da cui dobbiamo imparare la concretezza di eventi su cui poggia la nostra fede.
"Scegli per noi alcuni uomini".
Mosè è anziano e guida il popolo tramite il suo aiutante Giosuè. E a lui dà il compito di scendere in battaglia contro Amalèk.
Scegliere gli uomini giusti per la battaglia è già avviare il popolo verso la vittoria. È un gesto importante, che richiede discernimento. Certe scelte nella vita pesano di più di quello che sembra. Mosè non dice genericamente: prendi l'esercito e vai in guerra.
Ricordiamo che l'esercito ebraico era inferiore in numero e in forze rispetto a quello del bellicoso Amalèk. Far scegliere gli uomini è mettere nelle mani del giovane Giosuè le sorti del popolo.
E' come la scelta di un mister che nomina la rosa dei partecipanti alla partita di una squadra di calcio: in essi si ripongono le speranze della vittoria di tutto il club calcistico.
"Esci in battaglia contro Amalèk".
Esci e combatti, sono due azioni fondamentali nella vita.
Uscire, andare verso il mondo, è l'unico movimento vitale. Il rintanarsi, il chiudersi, è invece un movimento mortale.
E una volta "fuori", affrontare le situazioni, "combattere" sui vari fronti dell'esistenza, è inevitabile.
La nostra paura dei conflitti è un impedimento forte a vivere. Non vedere, mettere a tacere, rinunciare ai conflitti, è più distruttivo che affrontarli.
I conflitti portano crescita perché un adulto è colui che gestisce i conflitti e ne esce rafforzato; portano confronto con le posizioni dell'altro e si mettono a fuoco le proprie priorità; sono opportunità di uscita dal proprio piccolo mondo e scoperta del punto di vista dell'altro, conflittuale, ma per questo necessario da scoprire.
Il giovane Giosuè è buttato nella battaglia, contro un grande, un colosso. Sarà motivo di crescita e di scoperta delle sue possibilità e delle sue doti. E sarà scoperta di chi determina le sorti della vita.
"Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle".
È il luogo in alto, elevato, per la preghiera. Mentre i giovani combattono, gli anziani seguono lo svolgersi della guerra, stando alla presenza di Dio. La scena assomiglia a quella di Marta e Maria, nel Vangelo. Una parte del popolo prega e un'altra è impegnata in una azione liberatrice. Due dimensioni che vanno tenute insieme, entrambe necessarie nella vita di ogni fedele.
"Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk".
Chi decide le sorti della guerra? A chi Israele affida la sua faticosa storia? La risposta è in un salmo:
"Se il Signore non fosse stato per noi,
quando eravamo assaliti,
allora ci avrebbero inghiottiti vivi" (Sal 124, 2-3).
È la profonda coscienza che gli eventi della nostra storia hanno il suo senso più profondo fuori dalla nostra storia. La nostra azione è senza fondamento se non poggia in Dio. Mosè, con le mani alzate nella preghiera, accompagna Israele alla vittoria. Mosè che abbassa le mani, accompagna il popolo verso la sconfitta. È il misterioso potere della preghiera che interagisce con la storia umana.
Aronne e Cur, probabilmente stanchi anch'essi e scoraggiati per le sorti della guerra sempre più incerte, con un piccolo stratagemma fanno in modo che la mani di Mosè rimangano sempre alzate in preghiera, come è detto nel vangelo che insiste sulla "necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai" (Lc 18,1).
E così Mosè rimane, grazie a questi fratelli, in continua preghiera.
Mosè è l'intercessore del popolo, colui che saliva sempre sul monte per parlare con Dio, colui che non aveva paura di vederlo faccia a faccia. Ma anche lui ha bisogno di aiuto, non è un sacerdote solitario in dialogo con la divinità.
Questo è un aspetto della preghiera comunitaria della Chiesa che spesso ci sfugge.
Guardo il mio fratello che prega e trovo forza per la mia preghiera. Il mio fratello mi guarda ed è sostenuto dalla mia perseveranza nel pregare.
"Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole".
Nell'antichità si combatteva dalle prime luci dell'alba fino al tramonto, per poi entrare nella tregua notturna.
Mosè rimane in preghiera fino alla fine della battaglia. Non può lasciare soli i suoi figli.
Nessuna mamma e nessun papà lascerebbero soli un figlio in sala operatoria mentre i dottori lottano per salvargli la vita. Loro non operano chirurgicamente, ma operano nell'amore e nell'unione con quelle mani che si prodigano sul figlio.
Le sue mani ferme, sono il segno che Mosè è lì, vecchio e stanco, ma fermo nella decisione di non abbandonare i suoi figli.
Risultato? "Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada".
Certo per noi è sconcertante legare la preghiera alla guerra, che per giunta si chiude con uno spietato Giosuè che uccide tutti i superstiti nemici.
Ma noi leggiamo questi racconti sapendo che la nostra guerra non è contro le forze di questo mondo...
Il messaggio è pregnante: lotta e contemplazione, preghiera e impegno faticoso di vivere, vanno di pari passo e mantenuti insieme se si vuole "vincere" nel Nome del Signore.
Incredibilmente, contro forze impossibili da annientare, Giosuè riesce nell'impresa.
La sua mano era guidata dalla certezza di non essere solo, di avere Mosè e Dio dalla sua parte.
Questa certezza è la forza vincente nelle difficoltà insormontabili della vita.
In fin dei conti non ci interessa vincere, abbiamo bisogno di sapere di non essere soli nella lotta.
La scrittura ci rivela che ciò è una realtà che cambia il nostro modo di vivere.
La preghiera dei fratelli sale al Padre quando la nostra non esce dalla bocca e vince la paura e lo scoraggiamento perché non siamo più soli.
"Dammi la suprema certezza dell'amore.
Questa è la mia preghiera:
la certezza che appartiene alla vita nella morte,
alla vittoria nella sconfitta,
alla potenza nascosta nella più fragile bellezza".
(Il coraggio e la certezza dell'amore - Tagore)
L'intenzione primaria del racconto è mostrare quale forza abbia la preghiera instancabile e perseverante.
RispondiEliminaAlla fine apparirà chiaro che il reale vincitore della battaglia è Mosè l'orante e non il guerriero Giosuè.
In tutto il passo non è nominato Jahveh, ma davanti al grande intercessore si intuisce la sua presenza.
Le mani di Mosè elevate al cielo ne sono il segno, vanno intese nel senso di un'azione profetica simbolica, perché Israele comprenda che l'origine della sua forza è la vicinanza con il Signore.
C'è un ultimo particolare da mettere in rilievo. Anche Mosè, quantunque eletto ad essere segno di Dio, mentre stende le mani a implorare riparazione e protezione e a infondere incoraggiamento tra i combattenti, sottostà egli stesso alla debolezza umana.
I suoi accompagnatori Aronne e Cur hanno il compito di sostenere le sue braccia infiacchite nella preghiera. E' una indicazione eloquente come l'incarico affidato da Dio ai suoi collaboratori supera talvolta le forze dell'individuo singolo.
E' suggestivo infine pensare che le braccia alzate in preghiera disegnano una croce e ricordano la potenza delle braccia di Cristo distese sulla croce, potenza che donerà protezione e vittoria.
(Carla Sprinzeles)
Le braccia levate di Mosè sulla cime del colle sono un segno di preghiera che sgorga dal cuore dell'uomo quando si sente in pericolo. E' quando ci sentiamo deboli, che "il nostro aiuto viene dal Signore" e se le braccia "alzate come sacrificio della sera" diventano pesanti c'è la pietra soccorritrice che è Cristo a sostenerci e farci rimanere in piedi.
RispondiElimina(CPM Italia)
Per questa intercessione presso Dio per la vittoria, Mosé pensava, all'inizio, di salire sul monte a pregare con il «bastone di Dio». Con quel bastone aveva provocato le piaghe in Egitto: era il segno della potenza che veniva dal Signore. Quindi Mosé pensava a una preghiera che avesse tutta la forza meravigliosa di Dio. Solo che, poi, quando sale sulla montagna, il bastone sembra scomparso: non se ne fa più cenno. All'opposto, lì in alto Mosé sperimenta tutta la debolezza della propria umanità nella preghiera: «Quando Mosé alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk … Mosé sentiva pesare le mani». La preghiera è anche esperienza umana di debolezza: perché non sempre ci risulta facile, spontanea, fiduciosa. Tante volte vi sperimentiamo una grande debolezza. Ma, insieme, possiamo coglierne l'importanza: come Mosé, che vedeva Israele vincere o perdere quando lui alzava o abbassava le mani in preghiera. È un'esperienza severa cogliere l'efficacia della propria preghiera e, insieme, non avere la forza per perseverarvi: responsabili ma impotenti.
RispondiEliminaC'è un'unica soluzione: il sostegno fraterno. Come Aronne e Cur, che sostengono le mani di Mosé. Non si sostituiscono o aggiungono alla sua preghiera: la propria preghiera non può essere delegata ad altri. Ma gli altri sono d'aiuto alla debolezza, in modo che Mosé possa continuare la sua intercessione.
(Alberto Vianello)
E' una grazia particolarmente preziosa riuscire, come Mosè, a restare a lungo con le braccia alzate verso Dio, fino a non sentirle più. Braccia stanche ma non sfiduciate, una cosa sola con la preghiera che implora. Se si prega bene e dal cuore, occorre coinvolgere anche tutto il corpo. Le braccia di Mosè sono anch'esse parola forte e insistente per le orecchie di Dio e un segno efficace per i suoi occhi di Padre.
RispondiEliminaMosè comprende che quelle braccia alzate contengono la vittoria. Le braccia che cadono portano alla sconfitta. Per questo lui prega senza tempo, senza interruzione, senza stancarsi o, anche se si stanca, senza abbattersi, perché occorre arrivare alla vittoria. Se non ha più le braccia che riescono a reggersi da sole, rimangono sempre due pietre per sostenerle. C'è sempre la forza di Aronne e di Cur per tenerle alte, rivolte a Dio.
Dietro questi dettagli si nasconde una verità consolante ma da conquistare: la preghiera ha bisogno di comunità, anche se è fatta da soli, deve essere sempre inserita nella vita di una comunità.
Gesù lo dice con molta chiarezza: ?Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono con loro?. L'implorazione non può essere mai interrotta. Suo dono, sua qualità, sua forza è che sia un'implorazione perseverante. Anche quando il nostro Dio ci appare il Dio del silenzio o della distrazione, il Dio nascosto e lontano.
Mosè è maestro di preghiera. Una preghiera semplice e fiduciosa che scaturisce dall'intima amicizia che lo lega al suo Dio con il quale ha consuetudine di parlare faccia a faccia.
In fin dei conti non ci interessa vincere, abbiamo bisogno di sapere di non essere soli nella lotta.....mi hanno tanto colpito queste parole, perché vere, io so per esperienza di non essere sola nella nella battaglia. Il Padre non lascia mai i suoi figli, nella gioia partecipa e festeggia con loro e nel dolore ascolta, vede e soccorre.
RispondiEliminaSalmo 22
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.