Vangelo del 22 maggio 2019


In questo è glorificato il Padre mio.
Gv 15,1-8

"In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.
Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli»".


Il capitolo 15 nel vangelo di Giovanni è una vera perla in un meraviglioso tesoro che l'evangelista e la fede della chiesa ci hanno tramandato.
Inizia parlando del Padre, finisce parlando dello Spirito, e tutto dalla bocca del Figlio Gesù, che è "Uno" con i due.
Quando pensiamo alla Trinità come un concetto astratto difficile da capire e che non ha niente a che vedere con la nostra vita, questo capitolo ci immerge nella vita del Dio vivente, senza teorie.

Il simbolo della vite è uno dei più usati nella Bibbia e Gesù non fa eccezione.
Non a caso il simbolo d'Israele è un grappolo enorme, portato da due uomini e ricorda l'episodio degli esploratori inviati da Mosè per controllare se la terra di Canaan fosse ospitale e fertile, per preparare l'entrata di tutto il popolo.
Gli uomini tornarono all'accampamento con vari frutti e un grappolo enorme di uva; un miracolo per un popolo che proveniva da 40 anni di peregrinazione nel deserto, dove acqua e cibo erano centellinati (cfr. Nr 13, 17-24).
Quasi nessuna operazione agricola, se non la raccolta, è possibile ad un nomade che deve spostarsi secondo le necessità climatiche e di sopravvivenza e la vite è una pianta da sedentari.
Ha bisogno di anni per radicare e mettere su un fusto legnoso. Solo allora porta frutto per moltissimi anni.
Per questo Israele paragonato ad una vigna dice il lavoro costante e amorevole del Padre per farlo crescere stabilmente e renderlo rigoglioso in una terra sua.

In questo brano Giovanni usa l'immagine della vite non per descriverne la crescita, né per il momento del raccolto, ma quello della potatura, preludio necessario alla fruttificazione.
Per un contadino la potatura è un lavoro sapiente e antico, dove l’esperienza è fondamentale per comprendere i tagli appropriati da effettuare per lo sviluppo della vegetazione e l’equilibrio della capacità produttiva della vite.
La vendemmia dipende dalla potatura accorta, perché è rispettosa della vite e ne vede in ogni getto il futuro fecondo.

"Io sono la vite vera".
Che reazione avranno avuto gli uditori di Gesù ad ascoltare questa affermazione?!
Sanno bene che per i profeti la vigna del Signore è Israele (cfr. Is 5, 2-3).
Come fa questo nuovo profeta a sostituirsi al popolo, a dirsi lui l'eccellenza del popolo. E fa questa affermazione più che ardita, blasfema per loro: "senza di me non potete far nulla"!
Gesù si pone come la vera vite, quella curata e fatta crescere dall'agricoltore, dal Padre stesso.

"Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto".
Rimanere, cosa vuol dire per noi?
Dimorare, abitare, condividere, perdurare, stare nel tempo in una relazione che ci descrive e ci dice chi siamo.
Siamo già stati innestati in Cristo Gesù, e chi si affida, vive in questa nuova realtà senza paura.
I discepoli rimangono, dimorano stabilmente col Maestro. E anche quando le difficoltà e la Croce spingerebbero a scappare, sorge nel cuore un'affermazione di affidamento estremo, perché unica è la via possibile: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (Gv 6, 68-69).
Rimanere è portare frutto, è vedere la grazia che fa crescere la vita dove sembrava non essercene più.

"Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto".
Questa promessa di Gesù, che ci piace molto "chiedete e vi sarà fatto", ha una premessa che noi spesso dimentichiamo: "Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi"!
Camminare insieme, stare in ascolto, conservare la Parola, è già ricevere; è già entrare in una relazione d'amore in cui si chiede il bene e viene fatto, si chiede vita e si riceve, si chiede pace e la si trova.

Questo capitolo è necessario alla nostra vita di fede.
Noi viviamo di una illusione: finché siamo piccoli abbiamo gli educatori nella famiglia, nella scuola, nei vari maestri che ci vengono in soccorso per indirizzarci e potarci!
Quando invece diventiamo adulti, crediamo di non averne più bisogno e di poter continuare a vivere autonomamente. Niente di più falso!
Noi abbiamo sempre bisogno dell'Agricoltore (il Padre) che non estirpa, ma fa crescere, che non taglia per far disseccare, ma pota per far accrescere i frutti.


Altro problema che abbiamo noi è il tagliare: recidere relazioni che non stanno in piedi, rompere con un passato distruttivo, lasciare vivere autonomamente i figli, uscire dal lutto per la perdita di un nostro caro, e via dicendo...
Tutte le separazioni e i tagli noi sappiamo che sono portatrici di nuova vita, ma ci fanno male.
Abbiamo bisogno di un potatore che ci aiuti a scegliere, che ci impedisca una via di morte e ci indirizzi su una via di vita.
"Le mani di Dio sono mani ora di grazia ora di dolore, ma sono sempre mani di amore" (Dietrich Bonhoeffer).

Il Signore non ha verso di noi altro che la "pretesa" di un padre: "In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli".
Portare frutto è arrivare a maturazione piena, godere del cammino faticoso di educazione e di attesa, gustare i cibi deliziosi della grazia.
Sant'Ireneo diceva "La gloria di Dio è l'uomo vivente"!
Questo dice Gesù: glorificare il Padre è vivere in pienezza, senza sprecare vita, cogliendo i doni che copiosi ci vengono fatti nell'amore.

Commenti

  1. Questa definizione di Dio come viticoltore per me è una delle
    più belle in assoluto, perché sì, anche quella di Padre, di madre
    rende molto, però siamo abituati a sentirle; poi il padre e la madre
    possono avere certe esigenze con i figli e tirarli su po’ spicci e può
    arrabbiarsi; un viticoltore non si arrabbia con la vite, non può
    arrabbiarsi; deve avere pazienza infinita, deve avere tutte le cure,
    deve aspettarsi assolutamente niente per i primi anni e poi aspetta
    che il tempo, le condizioni siano propizie per avere il frutto. Cioè
    mette tutte le premesse, tutta la cura, tutta la pazienza, tutto
    l’amore, tutta l’intelligenza, tutta la fatica e lo sforzo, senza potere
    tirar fuori nulla, perché non può tirare fuori lui dalla vite il grappolo
    – come tante volte dai figli tiriamo fuori ciò che vogliamo noi e
    quindi li uccidiamo. È bella questa metafora di Dio come viticoltore,
    che fa tutto il suo lavoro e aspetta con pazienza che l’altro produca,
    risponda.
    (Silvano Fausti)

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  2. È la logica della vita, come ce l’ha descritta il Vangelo: «Chi ama la propria vita la perde e chi perde la propria vita per il Vangelo, la ritrova».
    Ma potare è un arte difficile e fonte di sofferenza, lenta da apprendere… È Dio il potatore della nostra vita: «Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti maggior frutto… Io sono la vera vite e il Padre mio è l’agricoltore» (Gv 15,1-2).
    Lui sa quando e cosa potare. Dio conosce quali cose dobbiamo lasciare e quando ne è il momento. Ed anche il perché. Perché la potatura non è mai fatta per “tagliare soltanto”. È fatta soprattutto per ridare nuova vitalità. Certo, il contadino quando taglia, non guarda il ramo che cade. Spesso, anzi, taglia proprio il ramo più grosso, lasciando un esile tralcio che tende al cielo. Ma in quel tralcio fragile, il contadino, con gli occhi della “fede”, già “intravede” l’abbondanza dell’uva matura.
    (Giancarlo Bregantini)

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  3. Il rimanere è la condizione che identifica i discepoli di Gesù. Non sono i più bravi, i più religiosi o i più morali. Sono semplicemente quelli che rimangono presso di Lui e in Lui. Il cristianesimo è sempre così: innanzitutto un incontro, occasione data, assolutamente gratuita. Lo stupore e l’attrattiva dell’incontro stesso sollecitano la libertà a rimanere, a starci a quell’incontro. È in questa convivenza, nel tempo dato a questa convivenza, che lo stupore iniziale e la scoperta crescono, proprio perché le occasioni per stupirsi ancora di quella presenza si moltiplicano. Se Giovanni e Andrea, che pur lo riconobbero quel giorno come Messia, non l’avessero più visto, pur conservando per sempre l’impressione della sua eccezionalità, si sarebbero nella vita come dimenticati di Lui. Invece, riaccostandolo, si approfondiva l’impressione originale. Per questo dopo i miracoli ritorna l’espressione “i discepoli credettero in lui”. Non che prima non credessero, ma la convivenza e il constatare ogni giorno l’eccezionalità della sua presenza accresceva la loro certezza.
    (Ignace de la Potterie)

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  4. Certezza è una cosa seria
    Nessuno può senza di essa
    Lui mi garantisce attenzione, cura, sorveglianza, abnegazione
    Cosa pretendo ancora?
    Io brontolone?

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  5. I discepoli rimangono, dimorano stabilmente col Maestro. E anche quando le difficoltà e la Croce spingerebbero a scappare, sorge nel cuore un'affermazione di affidamento estremo.................................Questo Signore io cerco, cerco la tua casa, la tua presenza, il tuo volto. Io credo che dimorare in te Padre, sia la scelta migliore da fare, perché so e credo che tu sei il buon pastore che ama alla follia le sue pecore e non vuoi assolutamente che nemmeno una si perda. Tu che sei la luce dell' anima e il seminatore di vita che prolifica, insegnami a fidarmi e ad affidarmi senza temere.



    Come altre volte, tornerà il sereno. Dovrò solo attendere il riapparire del sole interiore......
    CARLO MARIA MARTINI.

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  6. Signore,ho bisogno di Te: metto nelle tue mani la mia vita,benedici i miei giorni e rendili fecondi con la Tua grazia. Cecilia

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