Vangelo del 24 maggio 2019


Vi ho chiamato amici
Gv 15, 12-17

"In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri»".


"Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi".
Che strano comandamento ci ha lasciato Gesù! Erano molto più "facili" e umani quelli della legge di Mosè!
Sia che fossero dieci, come li conosciamo noi, sia che fossero 613 precetti per gli ebrei, certo una codificazione di norme ci è più congeniale, che amarci tra di noi come ci ha amato lui!
E' sottolineato che il comandamento "è suo". Non è un comandamento che si aggiunge agli altri, uno in più a quelli che già ci sono, ma "suo", importante per ogni "suo" discepolo.
Il "come io ho amato" dice il nuovo, il modo di amare di Gesù, gratuito, unilaterale, immeritato, che non si arrende a nessuna divisione e che va oltre la morte.
Esplicitando, Paolo scrive: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene" (Rm 12,21).

Questa esortazione ai discepoli Gesù l'aveva già fatta nel capitolo 13. Ci ritorna più volte perché il centro del Vangelo entri nel loro cuore.
E' il tema a cui Gesù tiene di più dei discorsi dell'addio, che Giovanni ci riporta dal cap. 13 al 16, esortazioni che preparano i discepoli alla croce e che Giovanni rilegge a partire dalla riflessione scaturita dopo la Resurrezione.
Perché Gesù annuncia la sua morte e si incammina deciso, a viso duro, verso Gerusalemme, impedendo a tutti di fermarlo?
Perché: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici".
Non c'è altra logica che l'amore, anzi l'illogicità dell'amore è l'esegesi di tutto il cammino che Gesù ha scelto di fare!
La morte non è tenebra, ma luce che fa risplendere l'amore; la rinuncia a difendersi da chi lo arresta è volontà di consegnarsi tutto in mano agli uomini per i quali è venuto; accettare il bacio da chi lo tradisce è l'amore grande che accoglie tutto, ma proprio tutto di noi.

"Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando".
Per noi è sempre difficile stare dentro all'amore.
Nei nostri rapporti dosiamo l'amore alle diverse persone che fanno parte della nostra vita e soppesiamo l'amore che ognuno ci dimostra.
E' una ricerca continua di rassicurazioni e di affetto a cui siamo spinti dalla paura di essere traditi e non amati.
Gesù lo sa e aiuta i discepoli, confusi e smarriti che si chiedono se amano il Maestro e fino a quale punto sono disposti a rinunciare per lui.
C'è un metodo sicuro per scoprirsi suoi amici: ricordare le sue parole e fare le opere che egli chiede.
Non è un'osservanza di leggi, in cui se non osservo pago una pena per la trasgressione. L'amore non ha regole scritte da seguire, non è un codice "civile" che ci aiuta nei rapporti con gli altri, visti come contrapposti negli interessi e nei diritti.
Amare è il modo di agire di Dio, in se stesso, nel rapporto col Figlio nello Spirito, e verso di noi.
"Resto nell'amore se faccio le cose che Dio fa" (Ermes Ronchi). 
E lo faccio non da esecutore di leggi, ma da chi ha scoperto che le opere di Dio sono per me, per la mia vita e per il mio bene.

"Il servo non sa quello che fa il suo padrone".
Il servo è un esecutore di comandi a cui non è chiesto di condividere un fine, un progetto e le motivazioni che spingono il padrone ad agire. Deve solo obbedire.
Come un padrone, e il più grande e pericoloso di tutti, era visto il dio dei pagani, tanto che gli uomini dovevano fare di tutto per non scatenare la sua ira e ingraziarselo con doni e servigi.
Ma Gesù vuole instaurare con ogni discepolo un rapporto tra amici, perché rivela le motivazioni del Padre, condivide con loro la strada del cammino verso di lui, e mostra il progetto finale.
Nessuno di noi è servo di Dio! A nessuno di noi è chiesto di essere servo del Padre, piuttosto Gesù chiede di metterci al servizio dei fratelli: "Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri" (Gv 13,14).

"Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi".
È il capovolgimento radicale che Gesù porta nella relazione con Dio.
È lui che cerca l'uomo: "Adamo dove sei?" (Gen 3,9); è lui, Dio, che "ci ha amati per primo" (1Gv 4,19) e noi amiamo come risposta al suo amore.
Gesù ci dà la prospettiva giusta: l'iniziativa è sempre di Dio, e il suo rapporto con i discepoli ne è la prova.

"Andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga"
Il senso di queste parole è nell'immagine della vite e i tralci che Gesù ha raccontato nei versetti precedenti (cfr. Gv 15,2).
Il nostro frutto viene dal "lavoro" del Padre e dall'essere legati a Gesù come il tralcio alla vite. Paolo nella sua lucidità, descrive le opere che siamo capaci di produrre noi e quali i frutti che invece produce lo Spirito di Gesù e del Padre in noi:
"Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge" (Gal 5,19-23).

"...perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda". Il nome indica la realtà di chi è nominato e la sua autorità, la sua forza.

In nome di chi noi viviamo e compiamo le nostre scelte?
Nel nome di Gesù, appoggiandosi cioè alla forza del suo amore, alla sua misericordia, alla gratuità della sua presenza nella nostra vita, ci sarà data ogni cosa.
Senza di lui non possiamo fare nulla (cfr. Gv 15,5), e, al contrario "tutto posso in colui che mi dà la forza" (Fil 4,13).

Commenti

  1. In questa pagina del quarto vangelo Gesù ha anche l’audacia di reinterpretare il rapporto tra Dio e il credente tracciato da tutte le Scritture prima di lui. Il credente è certamente un servo (termine che indica un rapporto di sottomissione e di obbedienza) del Signore, ma Gesù dice ai suoi che ormai non sono più servi, bensì sono da lui resi amici: “Non vi chiamo più servi … ma vi ho chiamati amici (phíloi), perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”. Intimità più profonda di quell’amicizia di Abramo (cf. Gc 2,23) o di Mosè (cf. Es 33,11) con Dio; intimità che è comunione di vita, comunione di amore. Il discepolo di Gesù è stato da lui scelto, l’amore di Cristo lo ha preceduto e il frutto che Cristo attende è l’amore per gli altri. Questo sarà anche l’unico segno di riconoscimento del discepolo cristiano nel mondo (cf. Gv 13,35): null’altro, anzi il resto offusca l’identità del cristiano e non permette di vederla.
    (Enzo Bianchi)

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  2. A questo punto Gesù – ed è la prima volta nel Vangelo – dichiara che i suoi discepoli sono i suoi amici:
    “Voi siete miei amici”. Mosè, il servo di Dio, aveva instaurato una relazione fra dei servi e il loro Signore,
    basata sull’obbedienza, Gesù, che è il Figlio di Dio, propone un’alleanza non tra dei servi, ma tra dei figli,
    e non con un Signore, ma con un Padre. Quindi la proposta che ci fa Gesù è una relazione di Figli con il
    Padre basata sulla somiglianza. Bene, questa relazione porta all’amicizia con Gesù. E Gesù in maniera
    enfatica dice “Non vi ho mai chiamato servi” – la traduzione dice “non vi chiamo più servi”, ma in realtà
    Gesù MAI ha chiamato i suoi discepoli ‘servi’, il testo greco è enfatico dice “no, non vi ho mai chiamato servi!”
    (Alberto Maggi)

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  3. Non basta amare, potrebbe essere solo mero opportunismo, dipendenza oscura o necessità storica, perché se non ci amiamo ci distruggiamo. Non dice neanche: amate gli altri con la misura con cui amate voi stessi. Conosco gli sbandamenti del cuore, i testacoda della volontà, io non sono misura a nessuno. Dice invece: amatevi come io vi ho amato. E diventa Dio la misura dell'amore.
    Ma poi ecco che è Lui ad assumere un nostro modo di amare, l'amicizia, lui a vestirsi di una misura umana (voi siete miei amici). L'amicizia è un mettersi alla pari, dentro il gruppo e non al di sopra, dice uguaglianza e gioia.
    L'amicizia è umanissimo strumento di rivelazione: tutto ho fatto conoscere a voi: il tutto di una vita non si impara da lezioni o da comandi, ma solo per comunione ed empatia d'amico.
    (Ermes Ronchi)

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  4. Empatia, unione, comunione, capacità di soccombere ad una logica di sopraffazione
    Sono cose a cui mi devo allenare molto!
    Mi affido a Te per abbassare il mio collo

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  5. È veramente molto bello questo passo evangelico di Giovanni. Mi colpisce tanto la frase: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi.....
    È il Signore che cerca me e in lui tutto posso, la presenza del Signore nella mia vita è dono e grazia. Gesù si è chiamato nostro amico ed è una amicizia in continua crescita, che si rinnova ogni giorno.
    Ti benedico Gesù per questa tua opera di amicizia con me, grazie per questa fiducia, per la tua allenza senza fine. Padre della vita fiduciosa mi abbandono a te.

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