Vangelo di domenica 12 maggio 2019


Nessuno le strapperà dalla mia mano.
Gv 10, 27-30
  
"In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola»".


Come abbiamo avuto modo di notare, nel tempo di Pasqua che va fino alla Pentecoste, le prime letture sono tratte dagli Atti degli Apostoli per percorrere le vie dei primi cristiani dopo la resurrezione di Gesù.
I Vangeli, invece, sono tratti da Giovanni perché questo evangelista ha fatto proprio questo percorso: alla luce della Resurrezione, ha riletto tutta la predicazione e i segni compiuti dal maestro, arrivando fino alla Passione che, nel suo Vangelo, è l'esaltazione della sua Gloria.

È bello sentire in queste parole del Vangelo l'eco del Salmo 23, un canto di fiducia in Dio pastore, che si prende cura della vita dei suoi figli in tanti modi e con tanti mezzi, descritti con immagini poetiche di grande bellezza.
Dio è "pastore di Israele" (Sal 80), Gesù è pastore "bello" (Gv 10, 11).
Giovanni utilizza unicamente in riferimento a Gesù e alla sua missione l’aggettivo kalos (bello).
Bello è ciò che risponde alla volontà creatrice di Dio che tutto opera nella bellezza: "Ed ecco, era cosa molto bella!" (Gen 1, 31) esclama alla creazione dell'uomo.
La bellezza è ciò che salva portando alla pienezza. "È Dio l'unica grande bellezza eterna" (Papa Francesco- Santa Marta 13/11/2015)

La similitudine col pastore da sempre era stata menzionata e annunciata dai profeti.
Il vero pastore non è un mercenario, pastore a giornata, ma il custode delle pecore, proprio perché stà con loro sempre.
Le conosce, cioè le distingue l'una dall'altra.
Le cura, cioè sa ciò di cui ha bisogno ognuna di essa.
Le conduce, cioè le porta su una via sicura, di refrigerio, di sazietà.
Le difende, cioè rischia la sua vita se le vede minacciate.

"Ascoltano la mia voce".
È l'inizio, il principio del rapporto, perché dall'ascolto nasce la fede (cfr. Rm 10,17) come Giovanni ha mostrato nel racconto della samaritana, con l'affermazione finale: "Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo" (Gv 4, 42).
Si diventa discepoli ascoltando la sua voce, riconoscendola fra le tante che raggiungono le nostre orecchie.
Penso che chi ha intrapreso un cammino di ascolto vero della Parola si renda conto di come la sua fede acerba e iniziale sia stata convertita piano piano ad un Dio sconvolgente e totalmente altro da quello immaginato.
L'esperienza dell'incontro, del fermarsi ai piedi di Gesù e ascoltarlo a lungo, è la via che realizza la relazione ed l'esperienza di vicinanza personale.
Gesù insiste nel sottolineare "le mie pecore", "la mia voce", per indicare un rapporto diretto, esclusivo, intimo.

"Le conosco e mi seguono".
Io seguo quel Signore dal quale mi sò conosciuta, e che imparo a conoscere continuando a camminare dietro lui.
La conoscenza del Signore è la più misteriosa delle conoscenze, ma anche la più vera.
Il Salmo 139 la celebra:
"Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,
intendi da lontano i miei pensieri,
osservi il mio cammino e il mio riposo,

ti sono note tutte le mie vie.
La mia parola non è ancora sulla lingua ed ecco,
Signore, già la conosci tutta" (Sal 139, 1-4).

Sapersi conosciuti è inizio di conoscenza vera, come sapersi amati è apertura all'amore profondo.
Essere conosciuti toglie dall'anonimato, fa scoprire chi sono io e risponde ad un bisogno di comunione che tutti desideriamo.

"Non andranno perdute".
È una promessa rassicurante. Appoggiato a questa parola il discepolo si butta nell'avventura della vita con la sicurezza di chi è certo della presenza provvidente del Padre. Nessuno può essere al di sopra del Padre tanto da forzargli la mano per farci perdere. "Se Dio è per noi chi sarà contro di noi?" (Rm 8, 31) si domanda Paolo, certo nel suo cuore della risposta.

"Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti ".
È lui che ci ha consegnati al Figlio. Ci ha messo in buone mani.
Se il nostro cuore pensa che qualcuno o qualcosa possa modificare la volontà salvifica del Padre per noi, sbaglia sicuramente.
Il Padre è il più grande! Di tutti!
E Gesù realizza la volontà del Padre suo perché lui e il Padre sono una cosa sola. La nostra vita, tra Gesù e il Padre, cammina sicura verso la promessa della vita eterna.

Gesù con fermezza afferma che i suoi non saranno strappati dalle sue mani e dalle mani del Padre. Questa sicurezza gli viene dalla sua stessa esperienza.
La sua vita non è stata distrutta da nemici contrari alla volontà di Dio. Coloro che lo hanno tradito, arrestato, messo in croce e trafitto, sono stati sempre al servizio della volontà del Padre che per la nostra salvezza, ha donato all'umanità la vita del Pastore.
Nessuno lo ha strappato dalle sue mani, nessuno ha impedito la volontà salvifica che invece voleva strappare noi dalla morte!
Questo mistero della fede è per noi fonte di sicurezza e fiducia: se il Figlio non è stato strappato dalle mani del Padre e non è stato lasciato nella morte, come non salverà anche noi, visto che ce lo ha promesso Gesù con tanta fermezza e tante volte?!
Paolo dirà: "Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati" (Rom 8, 35.37).
Niente e nessuno potrà portarci via dalle braccia di chi ci ha dato tutto ed è il Signore del tempo e della storia!
Questa è la grande certezza di oggi!

Commenti

  1. Il Vangelo mostra le tre caratteristiche del pastore: Io do loro la vita eterna / non andranno mai perdute / nessuno le rapirà dalla mia mano!
    Io do la vita eterna, adesso, non alla fine del tempo. È salute dell'anima ascoltare, respirare queste parole: Io do loro la vita eterna! Senza condizioni, prima di qualsiasi risposta, senza paletti e confini. La vita di Dio è data, seminata in me come un seme potente, seme di fuoco nella mia terra nera. Come linfa che risale senza stancarsi, giorno e notte, e si dirama per tutti i tralci, dentro tutte le gemme. Le vicende di Galilea, la tragedia del Golgota, le parole di Cristo, che vengono come fiamma e come manna, non hanno altro scopo che questo: darci una vita piena di cose che meritano di non morire, di una qualità e consistenza capaci di attraversare l'eternità.
    Il Vangelo prosegue con un raddoppio straordinario: Nessuno le strapperà dalla mia mano. Poi, come se avessimo ancora dei dubbi: nessuno le può strappare dalla mano del Padre.
    È il pastore della combattiva tenerezza.
    (Ermes Ronchi)

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  2. Se il credente dovesse perdersi, Dio non resta inattivo. Come il pastore cerca la pecora smarrita o la donna, la moneta perduta (cfr Lc 15), così Dio cerca il figlio che si è perso. Le pecore del gregge di Gesù "non andranno mai perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano".
    (Renato De Zan)

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  3. Il Pastore buono dice di poter dare sì qualcosa, ma che è addirittura eterno, ed è la stessa vita. Espressione amata da Giovanni – che la usa più di qualsiasi altro scritto del Nuovo Testamento – “vita eterna” ricorre molte altre volte nel suo vangelo: è il risultato della morte del Messia, innalzato affinché tutti quelli che credono in lui abbiano la vita eterna (cfr. Gv 3,14-15); è il dono dell’“acqua viva” dato alla Samaritana, acqua che zampilla “per la vita eterna” (4,14); è il frutto dell’ascolto della parola di Gesù e della fede nel Padre che lo ha mandato (cfr. 5,24), e anche del mangiare il suo corpo e il suo sangue (cfr. 6,54), e così via… Nella sacramentaria cristiana, è data col Battesimo. Si veda l’attuale Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, nel dialogo tra il celebrante e il candidato: “Che cosa domandi alla Chiesa di Dio? – La fede. – E la fede cosa ti dona? – La vita eterna”.
    (Giulio Michelini)

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  4. "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono" sembra assolutamente sicuro di se è di noi Gesù , nel pronunciare queste parole, con una leggerezza che consola e accarezza il nostro incerto andare spesso faticoso e incerto. Il mistero pasquale è un dono che colloca la nostra vita nel palmo di una mano sicura e stabile , quella del Padre, il cui volto è ormai lo specchionel quale possiamo imparare a scrutare i nostri lineamenti, per essere capaci di accogliere ugualmente quelli dei nostri fratelli.

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  5. Quanta tenerezza questo Vangelo!
    Signore nelle Tue mani affido la mia vita.
    Tu sei Padre e mi conosci bene, sai tutto di me.....sai le mie gioie, le mie tristezze, le mie paure, i miei pensieri e sapermi amata da Te mi dà serenità, conforto e sicurezza.
    Vieni presto a liberarci da falsi idoli a strapparci dalle tenebre,
    Tu unico Signore di vita vera e feconda.

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