Prima lettura di domenica 19 maggio 2019



Una sposa adorna per il suo sposo.

Ap 21,1-5

"Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più.
E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»".


Come si conclude il libro dell'Apocalisse? Con un matrimonio! E qui viene presentata la sposa, la nuova città santa, pronta per lo Sposo, il Signore.
Nel nostro immaginario l'Apocalisse è tutt'altro: qui si rivela come l'ultimo capitolo del Cantico dei Cantici, che era rimasto sospeso, in una fuga, in una ricerca dei due amanti: "Fuggi, amato mio, simile a gazzella o a cerbiatto sopra i monti dei balsami" (Ct 8, 14).
Quel versetto sospeso si compie qui, nelle nozze che finalmente celebrano una nuova vita in cui non c'è più separazione e angoscia di perdita.
Qui si rivela il volto dei protagonisti, che si sono sempre tenuti vicino, l'uno all'altra per tutto lo svolgimento dell'intera storia dell'umanità.
Che senso ha tutta la storia umana? Dov'era l'Amato nello scorrere dei tempi? Perché Dio ha messo in moto l'intera storia cosmica?
La risposta della Scrittura è ardita e inaspettata.
L'ultima parola non è un giudizio ma una festa nuziale, non è per la condanna, ma per la gioia dello Sposo e della Sposa.
Le nozze tra Dio e l'umanità sono il senso e il segreto di tutto.

"Un cielo nuovo e una terra nuova".
Cosa vede Giovanni?
Paolo dice: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano" (1Cor 2,9).
Inutile cercare nell'Apocalisse la descrizione esatta di come sarà la realtà che ci attende. A questa domanda la Bibbia non risponde; nessuno, dice Paolo, può sondare questo futuro, neanche Giovanni.
Piuttosto è un modo di vedere la realtà con occhi diversi e Giovanni, il discepolo amato, scrive l'Apocalisse partendo dalla Resurrezione del suo amico.
Il Signore, come ai discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,31), gli apre gli occhi e l'evangelista vede due cose: il cielo e terra nuovi, e il prima che scompare, o meglio il prima che "passa".
È un "miracolo", un grande dono riuscire a vedere questo mondo che passa, e insieme cogliere il nuovo che avanza, la vita nuova che è entrata nel nostro mondo vecchio.
Gli occhi degli apostoli sono stati "convertiti" ad un nuovo modo di leggere la storia, il modo che sempre il Maestro gli aveva mostrato, e che dopo la sua salita al Padre, diventa il loro modo di guardare, aiutati dallo Spirito.

"E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova".
Il nome significa "città dello shalom", cioè della pace divina, della pace finale, della pace pienezza che solo il Signore può dare.
Ma quella che conosciamo, quella storica, dei conflitti e delle divisioni, non mostra questo nome realizzato.
Giovanni vede la città, la Gerusalemme come è veramente: pacificata, divinizzata, che scende dal cielo, fatta da Dio, preparata da lui stesso e sin dalla nascita destinata alle nozze.
È questo il mistero che porta allegria nel cuore credente:
"Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché sono giunte le nozze dell’Agnello; la sua sposa è pronta: le fu data una veste di lino puro e splendente" (Ap 19,7-8).

"Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio".
La Scrittura ci ha annunciato un nome di Dio che non è semplice nome: Emmanuele, Dio con noi (cfr. Is 7,14; Mt 1,23): nel nome la relazione, in quel "con noi" la sua volontà di non essere solo.
Questo Dio, non più lontano, "venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14): il versetto, tradotto alla lettera, richiama la tenda di Dio posta tra le tende del popolo, nei giorni dell'esodo.
E ora l'Apocalisse piena di stupore annuncia: "Ecco la tenda di Dio con gli uomini!"
La visione di Giovanni dice di più dei profeti: non più Dio con Israele, ma Dio con i suoi popoli!
Tutti i popoli sono suoi e il suo nome nuovo, "Dio con loro", lo svela sposo di tutta l'umanità.
La sposa umanità, in un lungo cammino di secoli, è arrivata finalmente alle nozze con colui che l'ha voluta da sempre!
Gerusalemme non è solo la città Santa, città del Santo che conosciamo noi, ma, trasfigurata, mostra che tutti gli uomini sono Santi e del Santo.

"Le cose di prima sono passate".
Quali sono le cose di prima? Le lacrime, il lutto, la morte, il lamento, l'affanno.
Poche pennellate essenziali che descrivono tutta la drammaticità dell'esistenza umana.
Tutto il male passato, nostro e dell'umanità che ruolo ha nell'oggi e nel futuro, che senso scopriamo con gli occhi di Dio? E' stato tutto inutile, tutto sarà spazzato via come se non fosse mai esistito?
Come la croce è mezzo di salvezza scandalosa e difficile da accettare, anche tutto il dolore, la morte, la sofferenza dell'umanità sono assunte nella carne del Figlio e portati alla Vita.
Questo il senso di quella che vedo come l'estrema cura del Padre, ripetuta due volte nel libro dell'apocalisse (cfr. Ap 7, 17), perché decisiva e necessaria: "asciugherà ogni lacrima dai loro occhi"!
Lacrime che sgorgano da cuori affaticati e oppressi, che cercano ristoro, che non riescono più ad essere trattenute perché il dolore è troppo!
Non sono scomparse, ma asciugate, non cancellate, ma riempite d'amore.
Questa è l'opera prodigiosa del Padre, solo la sua: passare nella morte e farla diventare luce e vita, assumere il dolore e tramutarlo in gloria, asciugare un viso rigato dalle lacrime e ridargli il sorriso!

Il grande profeta Isaia continua a riecheggiare anche negli ultimi capitoli della Scrittura:
"Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?" (Is 43,19).
Quello che ha visto Giovanni non è solo il futuro: è la visione che la vita oggi è nuova perché risorta, rinata, salvata e redenta.
E il nostro destino sta germogliando come un seme che credevamo morto, ma che dormiva aspettando il momento della nascita.
L'Apocalisse, libro di gioia, è profezia e rivelazione del nostro oggi che può essere letto con gli occhi della fede, scoprendo che la morte non è l'ultima parola.
Lo Sposo è con noi e ci prende per mano per farci entrare, gioiosi e nuovi, alle nozze.

Commenti

  1. La meraviglia delle Parole di oggi ci aiuta a cogliere il carattere universale della salvezza. Non è un “giudizio morale” sulle persone, ma è radicalmente e semplicemente il volto nuovo della creazione e della storia. Cogliamo dunque con attenzione la presenza insistente dell’attributo “nuovo”, e la dimensione globale dei termini: il cielo e la terra, la città santa Gerusalemme, la tenda di Dio con gli uomini. Quindi, non una contrapposizione tra il cielo e la terra o tra il paradiso e l’inferno, ma appunto la novità divina della creazione e della storia.
    (Giovanni Nicolini)

    RispondiElimina
  2. Grazie per prenderti cura di me, più di me!
    Donami gli occhi di chi scruta Oltre l'ostacolo, il problema
    Comunque sei tu li con me.
    Aiutami a capire che Tu e non io decide il da farsi
    Amen

    RispondiElimina
  3. Davanti alla Sposa, in atto di venire c’è l’Amato, Colui viene, il Cristo Gesù. È Lui l’Agnello che è stato immolato e che, vinta la morte, sta ora in piedi a significare la propria signoria eterna. È Lui che è venuto. È Lui che viene. È Lui che verrà. In quest’ultimo dialogo di fede e di amore, Gesù “è soprattutto il nostro futuro. Siamo ancora nel crepuscolo del mattino: il giorno pieno sarà la realizzazione di Cristo tutto in tutti. (Bruno Forte)

    RispondiElimina
  4. Una simile si trova nel Vangelo di Luca: «Beato colui che prenderà parte al banchetto nel regno di Dio» (14,15). La gioia della festa nuziale è un’ immagine per descrivere la meta verso cui tende la storia umana, per farci balenare il destino di gloria a cui siamo chiamati. Dobbiamo vivere con intensità la “beatitudine” nuziale, segno della “beatitudine” messianica. L’ abbraccio d’ amore degli sposi ci rimanda all’ incontro tra la Sposa e l’ Agnello, tra la Chiesa e Cristo. Nel suo Cantico Spirituale san Giovanni della Croce, grande mistico spagnolo del ’ 500, scriveva: «O notte più amabile dell’ alba, o notte che unisti l’ Amato con l’ amata, l’ amata nell’ Amato trasformata...!».
    (Gianfranco Ravasi)

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Perché un blog con questo titolo?!

Vangelo del 12 gennaio 2019

Vangelo dei domenica 13 gennaio 2019

Salmo 23 per il mio papà

Prima lettura del 21 agosto 2019